Cultura & Società

Don Milani, l’etica della scrittura

di Carmelo MezzasalmaIl cardinal Silvano Piovanelli, in una sua preziosa testimonianza su Don Milani (in Uomini di Vangelo. Preti in Toscana nel Novecento, a cura di R. Bigi, Edifir Edizioni, Firenze 2003, pagina 93), ha scritto a proposito del suo incontro in seminario con il futuro Priore di Barbiana: «Ricordo che, quando arrivò, ci fece molta impressione: aveva una formazione diversa dalla nostra, una cultura più elevata. Ma si immerse subito nella vita del seminario, in un modo che qualche volta ci strappava perfino qualche sorriso, tanto era attento a tutto, anche alle più piccole regole. Abbiamo subito scoperto che era un uomo intero, coerente, che una volta fatta una scelta non tornava indietro. Era incapace di infingimenti e quasi indifeso, per questo, di fronte agli altri».

Una testimonianza, si direbbe, in punta di penna, ma al contempo nitida, precisa e dunque capace di farci da indicatore per avvicinare la personalità di Don Milani al di là di tutti gli schieramenti di parte di cui è stato oggetto nel corso degli anni. Di fatto, questi tratti dell’uomo Don Milani debbono aver interferito, in qualche modo, con tutta la sua esistenza vissuta intensamente sul crinale di quella storia italiana del dopoguerra che compiva, proprio nella seconda metà del Novecento, un salto, per certi aspetti drammatico, nel pieno crogiolo della modernità. Così, su Don Milani è stato scritto o detto quasi tutto e il contrario di tutto, fino al tentativo di fare di lui una bandiera per ideologie contrapposte e, tutto sommato, perdenti.

In realtà, Don Milani, a distanza di tanti anni dalla sua parabola umana e spirituale, ci appare una personalità ricca e composita in cui la dimensione del sacerdote è strettamente legata a quella dell’educatore per vocazione, ad un uomo di fede molto attento ai problemi di quella società e di quella cultura in cui stava avvenendo una trasformazione che oggi possiamo, sotto certi aspetti, intravedere anche nel nostro inquieto e confuso presente. In questo senso, ha scritto bene Tullio De Mauro quando annota: «A me continua a parere che alla radice di tutta l’esperienza di Don Milani ci sia stata la scelta religiosa, la scelta del Vangelo. Questa scelta gli fa percepire la difficoltà immane di viverla e farla vivere nella realtà popolare di San Donato, nel suburbio fiorentino. Era una realtà già in via di disgregazione sotto i colpi del consumismo nascente.

C’è già negli anni Cinquanta in Don Milani una percezione acuta e precoce di questo e dei guasti che arreca: c’è in lui come, in quegli anni, che io sappia, solo in Pier Paolo Pasolini. In quella realtà è impossibile portare il Vangelo perché vi manca o vi si sta isterilendo la parola, perché vi manca o vi si sta isterilendo una cultura capace di reagire alle trasformazioni indotte dal consumismo». La citazione è lunga, ma preziosa e puntuale, poiché ci consente di prendere in mano l’opera scritta di Don Lorenzo Milani e di guardarla ben oltre gli accadimenti e le polemiche che, in un modo o nell’altro, l’hanno investita.

È tempo, dunque, di studiare e di capire lo stile di Don Milani, così in apparenza immediato, appassionato, ma che muove da un centro ben preciso e che spiega tutto il suo sforzo di portare la parola e la cultura ai poveri, agli emarginati, ma certo non solo a quelli. Un aspetto che, chissà perché, non sembra aver attirato molto l’attenzione su questo prete che ha scritto tanto e ha scritto libri senza i quali, forse, ci mancherebbe una comprensione più lucida del nostro immediato passato.

Infatti, la sua polemica contro la cultura scolastica delle classi così dette alte, quale emerge soprattutto in Lettera a una professoressa, non era fine a se stessa, non era dettata, cioè, solo dal fatto che i poveri di Barbiana ne venissero ingiustamente esclusi. La sua passione, la forza del suo stile, in un certo senso, lo tradisce e ci fa intuire che egli avvertiva, forse confusamente ma con determinazione, che la cultura, come primato della ricerca della coscienza e della dignità dell’uomo, stava cambiando di segno così come stava cambiando la funzione della parola e della comunicazione. Il consumismo, in altre parole, stava cambiando proprio questa visione umana, non solo scolastica, della cultura. Questo mutamento lo cogliamo nello svuotamento che ha subìto la parola nella società attuale.

Come la morale, anche la parola cessa di essere ricerca della vita buona per diventare ricerca di parole o di regole per l’interazione e la collaborazione sociale, nel migliore dei casi, ovvero per prevenire o risolvere i conflitti tra interessi diversi e contrastanti della società. «Che cos’è la parola agli occhi dei più? – si domandava Pavel Florenskij –. Un senso enucleato più o meno felicemente; un concetto plasmato in modo più o meno preciso, trasmesso a un altro mediante una traccia sonora e un segnale collegato esternamente al concetto». In realtà, per Don Milani la parola sembra essere, innanzitutto, incontro con la realtà e dunque capacità di identificazione della realtà. Da qui, ancora, la sua capacità di scuoterci, di farci riflettere, di farci sentire la parola come dono. Poiché non insegue un «posto», un vantaggio, ma la fedeltà alle persone e in primo luogo a Dio, la scrittura del Priore di Barbiana, sfrondata dei suoi obiettivi polemici del momento, ci presenta una parola che cresce sul terreno fertile della generosità in ogni scelta. Così, Don Milani è l’uomo, il sacerdote, l’educatore, l’osservatore della realtà, che «sa perdere» se stesso senza calcoli, per ritrovare sé e gli altri in Dio, unico immenso bene comune. In questo senso, ci sembra emblematica la conclusione della testimonianza del cardinal Piovanelli: «Il suo modo di vivere il Vangelo e di stare nella Chiesa, rimane per noi una benedizione». Sì, una benedizione perché, al di là di tutto, si è fidato del Dio di Gesù Cristo. Il convegnoDopo gli incontri dedicati alle figure di Domenico Giuliotti, Maria Bianca Viviani Della Robbia, Nicola Lisi e Carlo Betocchi, il tradizionale seminario di studio organizzato dalla comunità di San Leolino e dall’associazione culturale «Feeria» quest’anno è dedicato al parroco di Barbiana. «Don Lorenzo Milani. L’etica della scrittura» è il tema del convegno in programma domenica 16 ottobre nella Pieve di San Leolino a Panzano (Firenze). Questo è il programma:Ore 10: apertura lavoriOre 10,15: Carmelo Mezzasalma, docente di Letteratura poetica e drammatica all’Istituto musicale «Boccherini» di Lucca interviene su «Don Lorenzo Milani, un prete tra fede e cultura».Ore 11: il teologo Leo Di Simone parla su «Don Milani profeta del Concilio».Ore 11,45: Intervento di Beppe Manzotti su «Don Lorenzo Milani e Dietrich Bonhoeffer: comparazioni».Ore 12,30: testimonianza di Renzo Rossi, sacerdote e compagno di seminario di don Milani su «Don Lorenzo Milani e la Chiesa fiorentina».Ore 16: Bruno Becchi, storico e presidente del Centro di documentazione Don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana parla su «Preludi di intercultura in don Lorenzo Milani».Ore 16,45: la scrittrice e critica letteraria Vera Franci Riggio interviene su «Lo scrittore Don Lorenzo Milani in “Lettere alla madre”.Ore 17,30: Carlo Fiaschi, studioso della letteratura e cultura italiana del Novecento, parla su «Don Lorenzo Milani: dare la parola al povero».Il seminario, che ha il patrocinio della Provincia di Firenze e del comune di Greve in Chianti, è organizzato in collaborazione con il centro di documentazione Don Lorenzo Milani e la Scuola di Barbiana.Per informazioni: tel. 055-852041. La FondazioneViene presentata ufficialmente al pubblico, sabato 16 ottobre, in via don Facibeni 13 a Firenze (presso la Madonnina del Grappa), la Fondazione Don Lorenzo Milani. Contemporaneamente viene presentato il libro «Una lezione alla Scuola di Barbiana», edito dalla Libreria Editrice Fiorentina. La fondazione nasce con lo scopo di promuovere e divulgare gli insegnamenti di Don Lorenzo Milani, i quali hanno influenzato in modo trasversale tutti i comparti della società passata e di quella quotidiana, tanto che ancor oggi a molti anni dalla sua scomparsa il mondo sociale, civile, politico e religioso si rivolgono al suo pensiero. Non solo un’istituzione commemorativa del sacerdote, del maestro e dell’innovatore sociale, ma una struttura che porti avanti e renda note le idee del prete fiorentino. Tutto questo sarà realizzato attraverso una serie di progetti come il recupero degli spazi, l’officina, la fucina e la ricostruzione del pergolato dove si tenevano le lezioni estive, nonché il recupero e la conservazione del materiale didattico originario. La sede legale di questa fondazione non poteva che essere a Barbiana nei locali in cui don Milani viveva, insegnava e accoglieva i suoi parrocchiani; quella operativa sarà presso i locali della Madonnina del Grappa. R. R.