Vita Chiesa
Don Maurizio Pallù si racconta: «Ho avuto tanta paura. Pregare il Rosario, l’unica cosa che potevo fare»
«Ho avuto paura, tanta, e ho pregato molto e in quei giorni trascorsi nella foresta ho sperimentato la mia impotenza e il timore vero di morire. Ho parlato col Signore e gli ho detto: ‘Io non sono pronto per morire, ma se tu pensi che questo sia il mio momento ti affido la mia vita. Dammi la forza di morire e di offrire la mia vita per la salvezza dei fratelli che la vita me la stanno togliendo. Se tu, però, pensi che debba stare ancora un po’ sulla terra, io ti offro gli anni che restano per raddoppiare lo zelo per annunciare il Vangelo’. Il Signore mi ha ascoltato». Così don Maurizio Pallù, missionario del cammino neocatecumenale, ha raccontato a Grosseto, ospite della diocesi, i drammatici giorni del suo rapimento in Nigeria, paese nel quale vive e porta avanti il servizio di annuncio del Vangelo. Padre Pallù non ha perso il suo simpatico accento fiorentino, nonostante abbia trascorso molti anni fuori dall’Italia come missionario itinerante. Ordinato prete nella diocesi di Roma a 36 anni, si trova in Nigeria dal 2015 assieme ad una famiglia romana (padre, madre e 5 figli) e a un seminarista del Camerun. «Lavoriamo nella Chiesa nigeriana per il cammino neocatecumenale – spiega -. Abbiamo comunità a Kaduna, città del centro-nord del Paese con quasi 2 milioni di abitanti, e a Calabar, città al confine col Camerun».
La missione. Don Maurizio vive in un modesto alloggio vicino alla casa della famiglia che ha dato loro ospitalità, «mentre la famiglia che con noi svolge questa missione – racconta ancora – vive in una casa semplice di fronte a noi. Insieme preghiamo, insieme prepariamo le catechesi e insieme facciamo evangelizzazione nelle città. Se tornerò in Nigeria? Spero il più presto possibile – risponde deciso – e affido alla Madonna il proseguo di questa missione. Come diceva san Giovanni Paolo II, l’Africa è il futuro della Chiesa e personalmente vedo questo come un momento favorevole».
Il rapimento. È uomo di profonda fede, don Pallù. In Nigeria c’era già stato, come missionario laico, a metà degli anni ‘80. Nel 2015 ha accettato di tornarvi come sacerdote impegnato nell’opera di evangelizzazione. Ed è con gli occhi della fede che legge e racconta il rapimento di cui è stato vittima il 12 ottobre scorso. «Ero in macchina con una studentessa e un padre di famiglia nigeriano, lungo la strada che da Abuja, capitale della Nigeria, ci portava verso Benin City, dove avevamo un incontro del movimento – ha raccontato il sacerdote -. A un certo punto ci siamo trovati davanti quattro banditi armati di mitra e machete. Hanno iniziato a sparare, ci siamo trovati a terra e poi ci hanno portati nella foresta. Abbiamo camminato otto ore. È stato un choc. Ho avuto paura e ho visto la morte in faccia». Con sé don Pallù aveva solo un’«arma»: una corona del Rosario proveniente da Fatima. «Mi sono messo a pregare il Rosario: era l’unica cosa che potevo fare». E a pregare si sono messi in tanti, in Italia e all’estero. A partire dall’anziana mamma di don Maurizio, che vive a Firenze. «Lei – dice il sacerdote – ha reagito alla notizia del mio rapimento con dignità e fede impressionanti».
La preghiera. I rapitori volevano soldi, ma il sacerdote non ne aveva. Al collo aveva una catenina d’oro che gli è stata strappata. Solo quella. «Il secondo giorno – racconta ancora – ho potuto avviare un dialogo col capo della banda. ‘Non vi giudico – gli ho detto – siete miei fratelli e prego per voi’. Ho provato paura, mai odio e le mie parole in qualche modo hanno provocato il capo, che si è sentito accettato da me». Don Pallù sa che l’intercessione della Madonna è stata essenziale per la sua liberazione. «È lei assieme ai santi e alle preghiere di tante persone ad aver evitato il peggio per me. La preghiera davvero sposta le montante!» Il rapimento è avvenuto il 12 ottobre; il giorno successivo i vescovi della Nigeria hanno celebrato Messa riconsacrando il Paese alla Vergine ed è quel 13 ottobre che è iniziato anche il dialogo coi rapitori.
«Il giorno più brutto è stato il sabato, perché tra i rapitori ce n’era uno particolarmente violento. La notte ho pregato tanto e la domenica il capo della banda ha rimandato via il suo compagno più violento e altri due. In questo gesto ho visto un segno dal cielo».
Due giorni dopo il rilascio e la fine dell’incubo. La disavventura non ha fiaccato l’animo di don Pallù, che anzi anche a Grosseto ha offerto un’entusiasmante testimonianza di fede, assieme a cinque giovani toscani del cammino neocatecumenale, che hanno anch’essi portato la loro testimonianza di una fede viva, che può cambiare davvero il cuore e la vita.