Chiesa Italiana
Don Mattia Ferrari e i migranti: «Noi li soccorriamo, loro ci salvano»
Intervista all cappellano di Mediterranea
«All’inizio il nostro motto era: prima si salva, poi si discute. Adesso è cambiato: la frase che ci ripetiamo sempre è “noi li soccorriamo, loro ci salvano”». Don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans, spiega così il titolo del libro in cui racconta la sua esperienza: «Salvato dai migranti». Un volume pubblicato da Edb, che nei giorni scorsi don Mattia è venuto a presentare a Firenze in un incontro che ha visto anche l’intervento dell’arcivescovo Gherardo Gambelli. Importanti le parole che scrive papa Francesco nella presentazione posta in apertura: «Il sogno della fraternità, che i migranti ci chiedono di coltivare e che ho messo al centro del mio pontificato, è il sogno di Dio e la Chiesa lo ha promosso da sempre, rilanciandolo con forza a partire dal Concilio Vaticano II e dal pontificato di san Giovanni XXIII».
Nel libro scrivi che «se apriamo il cuore ai poveri, agli scartati, la vita ci sorprenderà». Come ti ha sorpreso?
«Quella di Mediterranea è una realtà che va dalla Chiesa ai centri sociali, ci sono cattolici, agnostici. Siamo uniti dal fatto che la dignità della persona umana, la fraternità che lega gli esseri umani, sono indiscutibili. Chi pratica l’accoglienza sa che quando vivi l’amicizia, la fraternità con quelli che sono gli scartati della società, questa relazione ti libera, ti salva dalle prigioni mentali. Incontro tanti studenti e loro ci dicono che oggi c’è un problema enorme di sofferenza mentale: disturbi d’ansia che vengono da un forte individualismo, e allo stesso tempo da quella che i sociologi chiamano la società della prestazione in cui vali per quello che produci. Questo ti manda in tilt. Stare con chi è ai margini della società ti restituisce la cosa più importante, la fraternità: il sapersi tutti fratelli. È quello che il Papa ripete: lasciarsi evangelizzare dai poveri. Questa è l’esperienza concreta che facciamo ogni giorno».
Lavori molto con i giovani. Cosa vedi?
«Racconto un episodio. A Roma c’è una forte emergenza sgomberi. Alcuni giovani legati a Mediterranea sono andati a conoscere le persone che vivono per strada, poi sono andati dalle istituzioni e hanno proposto di trovare delle soluzioni insieme, e adesso queste persone sono seguite dai servizi sociali, da varie associazioni, sono entrati a giocare nelle società sportive del quartiere… È un’esperienza che è diventata un modello di “accoglienza partecipata” che sta prendendo piede. Anche la lettera che il Papa ha mandato alle parrocchie e agli istituti religiosi di Roma non chiede solo di mettere a disposizione spazi, chiede di agire insieme, Chiesa, istituzioni, servizi sociali, associazioni, movimenti popolari. Tutto questo è nato dai giovani».
Nel tuo libro ci sono analisi di sociologia, economia, spesso accompagnate da citazioni della Laudato si’ o di altri documenti del Papa. C’è sintonia tra quello che fai e il magistero di papa Francesco e del tuo vescovo Erio Castellucci.
«La sintonia di quello che facciamo, prima ancora che col vescovo, con la Cei o col Papa, è con Gesù. Questo spesso ce lo dimentichiamo: il Papa non ha la facoltà di cambiare il Vangelo, cosa volete che dica sui poveri, sui migranti? Chi contesta il Papa se vuole essere coerente deve criticare Gesù. Il problema del cristianesimo è che non ti converti una volta per tutte, la conversione è continua: è un processo in cui si cresce, e tutti dobbiamo crescere».
Il tema dei migranti, degli stranieri suscita anche tante paure. Come si affrontano?
«Studio scienze sociali alla Gregoriana ma non sono un esperto, ti parlo della mia esperienza personale. La prima cosa è che la paura è reale. Spesso sono paure socialmente costruite, ma è un sentimento che va accolto, non va banalizzato. Quello che si può fare è cercare di far capire che è un tema estremamente complesso, è vero, ma non è solo una questione politica, riguarda vite umane. Tutti gli studi ci dicono che un approccio sicuritario non ferma la delinquenza ma l’alimenta: l’unica cosa che crea sicurezza è offrire relazioni. A Roma abbiamo l’esperienza di Spin Time, il palazzo occupato che divenne famoso nel 2019 quando il cardinale Krajewski venne a riallacciare la corrente elettrica. Ci abitano 400 persone che erano sulla strada, tra cui molti minori. La dispersione scolastica è zero. Questo grazie a una rete di relazioni, di associazioni, di persone che si prendono cura. L’importante è che nessuno sia lasciato solo, che nessuno sia escluso».
Spesso invece parliamo dei migranti come problema, e facciamo finta di non vedere il dramma che c’è dietro.
«Il problema dell’indifferenza è enorme. C’è anche razzismo ma per quello che vediamo noi c’è soprattutto indifferenza. Non solo verso i migranti, verso tutti coloro che soffrono. Tra gli sfrattati di cui dicevo prima ci sono tanti italiani, ma le cose non cambiano. C’è un saldarsi tra il cinismo delle scelte politiche e l’indifferenza dei cittadini. Noi riceviamo allerte dal mare e dal deserto. Qualche tempo fa ci sono arrivate segnalazioni da un gruppo di persone che erano in mare, sono stati catturati dalla guardia costiera tunisina che in base all’accordo Europa Tunisia li ha riportati indietro e poi li ha abbandonati nel deserto. È una pratica tremenda che viene fatta con i soldi dell’Europa. Ne hanno parlato in pochissimi, tra cui L’Osservatore Romano e Scomodo, un giornale di studenti molto seguito sui social. I politici non hanno detto una parola. L’indifferenza uccide: queste persone si potrebbero salvare. E non è colpa della politica: se tutti noi fossimo più attenti, più umani, la politica interverrebbe».
Il libro si conclude con una postfazione di Marco Damilano, che fa un parallelo tra il tuo libro e le «Esperienze pastorali» di don Milani.
«È un paragone improprio. Abbiamo un’affinità con tante esperienze ecclesiali del passato, come quelle di don Milani, di don Primo Mazzolari, però dobbiamo dire che all’epoca se la Chiesa parlava con certe persone, con certi ambienti, sembrava eretica. Adesso è assodato che la Chiesa cammina con tutte le persone di buona volontà. È una cosa che dobbiamo a Giovanni XXIII, al Concilio Vaticano II. A me all’inizio alcuni settori del cattolicesimo dicevano che io e alcuni vescovi eravamo manipolati da Luca Casarini; allo stesso tempo c’erano i centri sociali che accusavano me e i vescovi di manipolare Casarini. Quando ne parlo con Luca, lui dice che in realtà è lo Spirito Santo che ci manipola tutti. Ci siamo incontrati grazie ai migranti, all’essere accanto ai poveri. Fratelli venuti da lontano che ci fanno riscoprire fratelli e sorelle tra noi. Camminare insieme nella diversità, nel rispetto delle identità, è bello, è evangelico».