Vita Chiesa
Don Jan torna in Russia
DI RICCARDO BIGI
Per tanti anni la fede di queste persone è sopravvissuta solo nel cuore, non poteva essere professata pubblicamente. Oggi si stanno pian piano riaffacciando alla vita religiosa: è un cammino lento ma anche pieno di entusiasmo».
Nato in Slovacchia 67 anni fa, don Hermanovsky è arrivato in Italia nel 1968 per frequentare il seminario a Roma. Dopo l’ordinazione ha fatto servizio in alcune parrocchie romane, quindi nel 1978 è arrivato a Firenze, accolto dal cardinale Benelli, ed è stato incardinato a pieno titolo nel presbiterio diocesano fiorentino: per tutti è diventato semplicemente don Giovanni.
Dopo il crollo del Muro però, per lui si è riaperta la possibilità di tornare nell’Est: dal 1995 al 1999 ha trascorso 4 anni in Slovacchia, quindi gli è stato chiesto di andare in Russia dove le comunità cattoliche, che si stanno pian piano riformando, hanno grande bisogno di sacerdoti. Per alcuni mesi è stato a Mosca come assistente spirituale nella «Casa di Maria», un’esperienza nata nel 1998 dove si pratica l’adorazione eucaristica perpetua e l’assistenza ai poveri: un istituto cattolico frequentato anche da cristiani ortodossi. Lo scorso dicembre poi è stato mandato nella cittadina di Brjansk, con l’incarico di ricostituire l’antica parrocchia.
Tornato a Firenze per una breve vacanza, è venuto a trovarci in redazione prima di partire nuovamente, il 21 gennaio, per la Russia. «Non so bene quanti siano i miei parrocchiani – racconta – a Brjansk c’è una comunità cattolica, nata ai tempi dell’immigrazione dalla Polonia, dalla Bielorussia e dalla Lituania. La vecchia chiesa cattolica però è stata confiscata prima dai nazisti, che la usarono come rimessa per i cavalli, quindi dal Comune che l’ha trasformata in abitazioni private. L’ultimo parroco cattolico della città è stato fucilato il 3 gennaio del 1938. Anche tra gli ortodossi ci sono state chiese distrutte o confiscate, e molti sacerdoti uccisi. Il sacrificio di questi martiri, pagato col sangue, è una testimonianza di fede che ci aiuta a crescere».
Oggi, racconta don Jan, la gente sta ricominciando a professare pubblicamente la fede che in questi anni è stata tramandata nella case, nelle famiglie: «Ho trovato perfino, in casa di una signora, una stanza trasformata in cappella, con immagini sacre alle pareti: qui lei pregava, anche se era proibito». Nei primi tempi, don Hermanovsky ha celebrato messa nelle case private, per poche persone: «Adesso abbiamo trovato una stanza piuttosto grande, nella casa di un uomo rimasto vedovo. C’entra più gente, ma non è ancora abbastanza». La comunità cattolica, seppur minoritaria, ha chiesto da alcuni anni al sindaco di essere riconosciuta ufficialmente come Chiesa; per i primi tempi è stata assistita solo da alcuni sacerdoti che venivano sporadicamente, a Pasqua e Natale. Adesso vuole costruirsi un proprio spazio per pregare: «Abbiamo trovato un terreno sul quale sarà costruita la nuova chiesa. In questo modo la gente potrà più facilmente partecipare alle celebrazioni. Tra le persone c’è un grande desiderio di conoscere Dio, chiedono soprattutto di potersi confessare. Io sto cercando, prima di tutto, di costruire buoni rapporti di amicizia: la conversione del cuore è un dono che solo Dio può concedere».
Una delle questioni da affrontare è quella dei rapporti, non sempre facili, con la Chiesa ortodossa. «Non posso negare che ci siano a volte alcune incomprensioni; ma tra la gente comune ci sono buoni rapporti, c’è rispetto reciproco. Noi cerchiamo di riaffermare la nostra identità senza creare divisioni, in un clima di dialogo».
Prima di ripartire per la Russia, don Jan ha una richiesta da fare a noi che restiamo: quella di accompagnarlo con la preghiera. «Il ritorno alla fede di queste persone dipende anche dalla nostra preghiera. Dobbiamo pregare perché la luce di Cristo arrivi a illuminare anche loro, dopo gli anni bui che hanno passato».