Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Don Giovanni Salvi, l’addio commosso di Cortona.

Domenica 6 febbraio è deceduto don Giovanni Salvi, ospite della Casa del clero di Cortona. Era nato il 20 ottobre 1916. Le esequie sono state celebrate mercoledì 9 febbraio nella Concattedrale di Cortona. La sua lunga vita può essere circoscritta entro queste date più significative: ordinato sacerdote il 25 marzo 1941 dal vescovo Giuseppe Francolini, fa un’esperienza di circa tre anni a Roma con l’Onarmo, poi viene nominato parroco a Tornia, nella montagna cortonese, dove vive le drammatiche vicende del periodo bellico; viene quindi trasferito come parroco a Santa Maria delle Grazie al Calcinaio fino al 1984, dove ancora oggi è ricordato per la sua bontà, dedizione e generosità. A lui si deve la costruzione, nel territorio della parrocchia, ma nella zona di maggiore espansione demografica, in prossimità di Camucia, della cappella della Sacra Famiglia alle Piagge, per favorire la partecipazione dei fedeli alla pratica religiosa. È insegnante di materie letterarie nel Seminario di Cortona e di religione nelle scuole statali. Deve rinunciare al servizio in parrocchia per motivi di salute, ritirandosi in una struttura che nel frattempo la diocesi ha messo a disposizione dei sacerdoti in difficoltà a Cortona dove rimane fino al termine dei suoi giorni. Considerato il «patriarca» del presbiterio cortonese, don Giovanni rimane nella memoria della maggioranza come parroco del Calcinaio. Ma prima trascorre i suoi giovani anni nella parrocchia di Tornia mettendo a rischio anche la sua vita nelle vicende legate al passaggio del fronte di guerra nel 1944. «Ma dove si trova Tornia?», dirà qualche nostro lettore. Lo scrive lo stesso don Giovanni nel volumetto «La piccola patria», che contiene le memorie di quei tristissimi giorni: «Tornia, piccola, povera, nascosta in mezzo ai monti, senza strada, senza scuola, senza parroco che qui dimori, è ritenuta dall’opinione pubblica come il luogo di condanna a cui venga destinato che abbia commesso qualche fallo». Siamo nel mese di maggio 1944: è un momento duro per la popolazione residente e anche per quelli che, lasciando la Valdichiana o la città, si sono rifugiati tra i monti. Intanto l’esercito alleato, dopo avere occupato Roma, si dirige verso il Trasimeno. Si assiste ad un proliferare di bande e di individui armati. In questa situazione confusa, avvengono attentati, rappresaglie, uccisioni e vendette. Il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, don Giovanni ha appena terminato la Messa, quando un parrocchiano gli addita sui monti sopra Tornia, a Portole, un movimento sospetto e un denso fumo che si sprigiona da un caseggiato che i soldati tedeschi in ritirata hanno incendiato. Presto la situazione diventa chiara: arrivano i tedeschi pronti ad infierire su quella spaurita popolazione. «Mi vedo circondato da soldati tedeschi delle SS – scrive don Giovanni, – che hanno già stretto il paesetto in una morsa. Ritorno indietro, deciso di condividere la sorte dei miei parrocchiani. Giù nella piazzetta centrale, sei o sette soldati spingono donne e bambini. Radunate un ventina di persone, entra un ufficiale seguito dall’interprete e da alcuni soldati. Veniamo posti in fila, appoggiati ad uno stecconato; davanti a noi sono tre soldati con mitra e pistole spianati verso di noi; a destra un fucile mitragliatore è rivolto verso il fiume in direzione dei fuggiaschi. Stretti intorno a me sette o otto bambini promossi alla prima Comunione il giorno della festa del Patrono; ai miei lati un trentina di persone». Passano lunghissimi i minuti in un’attesa snervante e drammatica. Parla l’interprete: «Il tenente dice che voi recitiate le vostre preghiere». «Ci guardiamo in volto – ricorda don Giovanni – e comprendiamo che è arrivato l’ultimo momento della nostra vita. Recitiamo insieme d’atto di dolore ed io sto per impartire l’assoluzione generale. Ma la voce dell’ufficiale tedesco ci interrompe: “Abbiamo capito che voi siete religiosi. Che in questo momento voi riponete la vostra fiducia in Dio. Non vogliate credere che noi siamo degli increduli e che godiamo nel vedervi soffrire. Per dimostrarvi che più di voi sentiamo il nostro dovere di cattolici, per questa volta vi rimettiamo in libertà”. A queste parole ci sentiamo ribattere il cuore, i polmoni si allargano in un respiro grande e le labbra pronunciano un sentito grazie». Per questo suo gesto il Comune di Cortona, due anni fa, ha assegnato a don Giovani la medaglia al valore civile.Benito Chiarabolli