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Discorsi nella visita in Myanmar e Bangladesh

Incontro con le Autorità, con la Società civile e con il Corpo Diplomatico (martedì 28 novembre)

Signora Consigliere di Stato, Onorevoli Membri del Governo e altre Autorità, Signor Cardinale, Venerati Fratelli nell’Episcopato, Distinti Membri del Corpo Diplomatico, Signore e Signori,

Esprimo viva riconoscenza per il gentile invito a visitare il Myanmar e ringrazio la Signora Consigliere di Stato per le sue cordiali parole.

Sono molto grato a tutti coloro che hanno lavorato instancabilmente per rendere possibile questa visita. Sono venuto, soprattutto, a pregare con la piccola ma fervente comunità cattolica della nazione, per confermarla nella fede e incoraggiarla nella fatica di contribuire al bene del Paese. Sono molto lieto che la mia visita si realizzi dopo l’istituzione delle formali relazioni diplomatiche tra Myanmar e Santa Sede. Vorrei vedere questa decisione come segno dell’impegno della nazione a perseguire il dialogo e la cooperazione costruttiva all’interno della più grande comunità internazionale, come anche a rinnovare il tessuto della società civile.

Vorrei anche che la mia visita potesse abbracciare l’intera popolazione del Myanmar e offrire una parola di incoraggiamento a tutti coloro che stanno lavorando per costruire un ordine sociale giusto, riconciliato e inclusivo. Il Myanmar è stato benedetto con il dono di una straordinaria bellezza e di numerose risorse naturali, ma il suo tesoro più grande è certamente il suo popolo, che ha molto sofferto e tuttora soffre, a causa di conflitti interni e di ostilità che sono durate troppo a lungo e hanno creato profonde divisioni. Poiché la nazione è ora impegnata per ripristinare la pace, la guarigione di queste ferite si impone come una priorità politica e spirituale fondamentale. Posso solo esprimere apprezzamento per gli sforzi del Governo nell’affrontare questa sfida, in particolare attraverso la Conferenza di Pace di Panglong, che riunisce i rappresentanti dei vari gruppi nel tentativo di porre fine alla violenza, di costruire fiducia e garantire il rispetto dei diritti di tutti quelli che considerano questa terra la loro casa.

In effetti, l’arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani. La sapienza dei saggi ha definito la giustizia come la volontà di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto, mentre gli antichi profeti l’hanno considerata come il fondamento della pace vera e duratura. Queste intuizioni, confermate dalla tragica esperienza di due guerre mondiali, hanno portato alla creazione delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo come base per gli sforzi della comunità internazionale di promuovere in tutto il mondo la giustizia, la pace e lo sviluppo umano e per risolvere i conflitti mediante il dialogo e non con l’uso della forza. In questo senso, la presenza del Corpo Diplomatico in mezzo a noi testimonia non solo il posto che il Myanmar occupa tra le nazioni, ma anche l’impegno del Paese a mantenere e osservare questi principi fondamentali. Il futuro del Myanmar dev’essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo – nessuno escluso – di offrire il suo legittimo contributo al bene comune.

Nel grande lavoro della riconciliazione e dell’integrazione nazionale, le comunità religiose del Myanmar hanno un ruolo privilegiato da svolgere. Le differenze religiose non devono essere fonte di divisione e di diffidenza, ma piuttosto una forza per l’unità, per il perdono, per la tolleranza e la saggia costruzione del Paese. Le religioni possono svolgere un ruolo significativo nella guarigione delle ferite emotive, spirituali e psicologiche di quanti hanno sofferto negli anni di conflitto. Attingendo ai valori profondamente radicati, esse possono aiutare ad estirpare le cause del conflitto, costruire ponti di dialogo, ricercare la giustizia ed essere voce profetica per quanti soffrono. È un grande segno di speranza che i leader delle varie tradizioni religiose di questo Paese si stiano impegnando a lavorare insieme, con spirito di armonia e rispetto reciproco, per la pace, per soccorrere i poveri e per educare agli autentici valori religiosi e umani. Nel cercare di costruire una cultura dell’incontro e della solidarietà, essi contribuiscono al bene comune e pongono le indispensabili basi morali per un futuro di speranza e prosperità per le generazioni a venire.

Quel futuro è ancora oggi nelle mani dei giovani della nazione. I giovani sono un dono da amare e incoraggiare, un investimento che produrrà una ricca rendita solo a fronte di reali opportunità di lavoro e di una buona istruzione. Questo è un requisito urgente di giustizia tra le generazioni. Il futuro del Myanmar, in un mondo in rapida evoluzione e interconnessione, dipenderà dalla formazione dei suoi giovani, non solo nei settori tecnici, ma soprattutto nei valori etici di onestà, integrità e solidarietà umana, che possono garantire il consolidamento della democrazia e della crescita dell’unità e della pace a tutti i livelli della società. La giustizia intergenerazionale richiede altresì che le generazioni future possano ereditare un ambiente naturale incontaminato dall’avidità e dalla razzia umana. È indispensabile che i nostri giovani non siano derubati della speranza e della possibilità di impiegare il loro idealismo e i loro talenti nella progettazione del futuro del loro Paese, anzi, dell’intera famiglia umana.

Signora Consigliere di Stato, cari amici!

In questi giorni, desidero incoraggiare i miei fratelli e sorelle cattolici a perseverare nella loro fede e a continuare a esprimere il proprio messaggio di riconciliazione e fraternità attraverso opere caritative e umanitarie, di cui tutta la società possa beneficiare. È mia speranza che, nella cooperazione rispettosa con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, essi contribuiscano ad aprire una nuova era di concordia e di progresso per i popoli di questa amata nazione. Lunga vita al Myanmar! Vi ringrazio per la vostra attenzione e, con i migliori auguri per il vostro servizio per il bene comune, invoco su tutti voi le benedizioni divine di saggezza, forza e pace. Grazie.

Omelia nella Messa nel Kyaikkasan Ground (Yangon, mercoledì 29)

Cari fratelli e sorelle, (saluto in lingua birmana)

prima di venire in questo Paese, ho atteso a lungo questo momento. Molti di voi sono giunti da lontano e da remote aree montagnose, alcuni anche a piedi. Sono venuto come pellegrino per ascoltare e imparare da voi, e per offrirvi alcune parole di speranza e consolazione.

La prima Lettura odierna, dal Libro di Daniele, ci aiuta a vedere quanto sia limitata la sapienza del re Baldassàr e dei suoi veggenti. Essi sapevano come lodare «gli dèi d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra» (Dn 5,4), ma non possedevano la sapienza per lodare Dio nelle cui mani è la nostra vita e il nostro respiro. Daniele, invece, aveva la sapienza del Signore ed era capace di interpretare i suoi grandi misteri.

L’interprete definitivo dei misteri di Dio è Gesù. Egli è la sapienza di Dio in persona (cfr 1 Cor 1,24). Gesù non ci ha insegnato la sua sapienza con lunghi discorsi o mediante grandi dimostrazioni di potere politico e terreno, ma dando la sua vita sulla croce. Qualche volta possiamo cadere nella trappola di fare affidamento sulla nostra stessa sapienza, ma la verità è che noi possiamo facilmente perdere il senso dell’orientamento. In quel momento è necessario ricordare che disponiamo di una sicura bussola davanti a noi, il Signore crocifisso. Nella croce, noi troviamo la sapienza, che può guidare la nostra vita con la luce che proviene da Dio.

Dalla croce viene anche la guarigione. Là Gesù ha offerto le sue ferite al Padre per noi, le ferite mediante le quali noi siamo guariti (cfr 1  Pt 2,24). Che non ci manchi mai la sapienza di trovare nelle ferite di Cristo la fonte di ogni cura! So che molti in Myanmar portano le ferite della violenza, sia visibili che invisibili. La tentazione è di rispondere a queste lesioni con una sapienza mondana che, come quella del re nella prima Lettura, è profondamente viziata. Pensiamo che la cura possa venire dalla rabbia e dalla vendetta. Tuttavia la via della vendetta non è la via di Gesù.

La via di Gesù è radicalmente differente. Quando l’odio e il rifiuto lo condussero alla passione e alla morte, Egli rispose con il perdono e la compassione. Nel Vangelo di oggi, il Signore ci dice che, come Lui, anche noi possiamo incontrare rifiuto e ostacoli, ma che tuttavia Egli ci donerà una sapienza alla quale nessuno può resistere (cfr Lc 21,15). Egli qui parla dello Spirito Santo, per mezzo del quale l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5). Con il dono dello Spirito, Gesù rende capace ciascuno di noi di essere segno della sua sapienza, che trionfa sulla sapienza di questo mondo, e della sua misericordia, che dà sollievo anche alle ferite più dolorose.

Alla vigilia della sua passione, Gesù si offrì ai suoi Apostoli sotto le specie del pane e del vino. Nel dono dell’Eucaristia, non solo riconosciamo, con gli occhi della fede, il dono del suo corpo e del suo sangue; noi impariamo anche come trovare riposo nelle sue ferite, e là essere purificati da tutti i nostri peccati e dalle nostre vie distorte. Rifugiandovi nelle ferite di Cristo, cari fratelli e sorelle, possiate assaporare il balsamo risanante della misericordia del Padre e trovare la forza di portarlo agli altri, per ungere ogni ferita e ogni memoria dolorosa. In questo modo, sarete fedeli testimoni della riconciliazione e della pace che Dio vuole che regni in ogni cuore umano e in ogni comunità.

So che la Chiesa in Myanmar sta già facendo molto per portare il balsamo risanante della misericordia di Dio agli altri, specialmente ai più bisognosi. Vi sono chiari segni che, anche con mezzi assai limitati, molte comunità proclamano il Vangelo ad altre minoranze tribali, senza mai forzare o costringere, ma sempre invitando e accogliendo. In mezzo a tante povertà e difficoltà, molti di voi offrono concreta assistenza e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Attraverso le cure quotidiane dei suoi vescovi, preti, religiosi e catechisti, e particolarmente attraverso il lodevole lavoro del Catholic Karuna Myanmar e della generosa assistenza fornita dalle Pontificie Opere Missionarie, la Chiesa in questo Paese sta aiutando un gran numero di uomini, donne e bambini, senza distinzioni di religione o di provenienza etnica. Posso testimoniare che la Chiesa qui è viva, che Cristo è vivo ed è qui con voi e con i vostri fratelli e sorelle delle altre Comunità cristiane. Vi incoraggio a continuare a condividere con gli altri la sapienza inestimabile che avete ricevuto, l’amore di Dio che sgorga dal cuore di Gesù.

Gesù vuole donare questa sapienza in abbondanza. Certamente Egli premierà i vostri sforzi di seminare semi di guarigione e riconciliazione nelle vostre famiglie, comunità e nella più vasta società di questa nazione. Non ci ha forse detto che la sua sapienza è irresistibile (cfr Lc 21,15)? Il suo messaggio di perdono e misericordia si serve di una logica che non tutti vorranno comprendere, e che incontrerà ostacoli. Tuttavia il suo amore, rivelato sulla croce è, in definitiva, inarrestabile. È come un “GPS spirituale” che ci guida infallibilmente verso la vita intima di Dio e il cuore del nostro prossimo.

La Beata Vergine Maria ha seguito suo Figlio anche sull’oscura montagna del Calvario e ci accompagna in ogni passo del nostro cammino terreno. Possa Ella ottenerci sempre la grazia di essere messaggeri della vera sapienza,  profondamente misericordiosi verso i bisognosi, con la gioia che deriva dal riposare nelle ferite di Gesù, che ci ha amati sino alla fine.

Dio benedica tutti voi! Benedica la Chiesa in Myanmar! Benedica questa terra con la sua pace! Dio benedica il Myanmar!

Incontro con il Consiglio Supremo “Sangha” dei Monaci buddisti nel Kaba Aye Centre (Yangon, mercoledì 29)

È una grande gioia per me essere con voi. Ringrazio il Ven. Bhaddanta Kumarabhivamsa, Presidente del Comitato di Stato Sangha Maha Nayaka, per le sue parole di benvenuto e per il suo impegno nell’organizzare la mia visita qui oggi. Nel salutare tutti voi, esprimo il mio particolare apprezzamento per la presenza di Sua Eccellenza Thura Aung Ko, Ministro per gli Affari Religiosi e la Cultura.

Il nostro incontro è un’importante occasione per rinnovare e rafforzare i legami di amicizia e rispetto tra buddisti e cattolici. E’ anche un’opportunità per affermare il nostro impegno per la pace, il rispetto della dignità umana e la giustizia per ogni uomo e donna. Non solo in Myanmar, ma in tutto il mondo le persone hanno bisogno di questa comune testimonianza da parte dei leader religiosi. Perché, quando noi parliamo con una sola voce affermando i valori perenni della giustizia, della pace e della dignità fondamentale di ogni essere umano, noi offriamo una parola di speranza. Aiutiamo i buddisti, i cattolici e tutte le persone a lottare per una maggiore armonia nelle loro comunità.

In ogni epoca, l’umanità sperimenta ingiustizie, momenti di conflitto e disuguaglianza tra le persone. Nel nostro tempo queste difficoltà sembrano essere particolarmente gravi. Anche se la società ha compiuto un grande progresso tecnologico e le persone nel mondo sono sempre più consapevoli della loro comune umanità e del loro comune destino, le ferite dei conflitti, della povertà e dell’oppressione persistono, e creano nuove divisioni. Di fronte a queste sfide, non dobbiamo mai rassegnarci. Sulla base delle nostre rispettive tradizioni spirituali, sappiamo infatti che esiste una via per andare avanti, una via che porta alla guarigione, alla mutua comprensione e al rispetto. Una via basata sulla compassione e sull’amore.

Esprimo la mia stima per tutti coloro che in Myanmar vivono secondo le tradizioni religiose del Buddismo. Attraverso gli insegnamenti del Buddha, e la zelante testimonianza di così tanti monaci e monache, la gente di questa terra è stata formata ai valori della pazienza, della tolleranza e del rispetto della vita, come pure a una spiritualità attenta e profondamente rispettosa del nostro ambiente naturale. Come sappiamo, questi valori sono essenziali per uno sviluppo integrale della società, a partire dalla più piccola ma più essenziale unità, la famiglia, per estendersi poi alla rete di relazioni che ci pongono in stretta connessione, relazioni radicate nella cultura, nell’appartenenza etnica e nazionale, ma in ultima analisi radicate nell’appartenenza alla comune umanità. In una vera cultura dell’incontro, questi valori possono rafforzare le nostre comunità e aiutare a portare la luce tanto necessaria all’intera società.

La grande sfida dei nostri giorni è quella di aiutare le persone ad aprirsi al trascendente. Ad essere capaci di guardarsi dentro in profondità e di conoscere sé stesse in modo tale da riconoscere le reciproche relazioni che le legano a tutti gli altri. A rendersi conto che non possiamo rimanere isolati gli uni dagli altri. Se siamo chiamati ad essere uniti, come è nostro proposito, dobbiamo superare tutte le forme di incomprensione, di intolleranza, di pregiudizio e di odio. Come possiamo farlo? Le parole del Buddha offrono a ciascuno di noi una guida: «Sconfiggi la rabbia con la non-rabbia, sconfiggi il malvagio con la bontà, sconfiggi l’avaro con la generosità, sconfiggi il menzognero con la verità» (Dhammapada, XVII, 223). Sentimenti simili esprime la preghiera attribuita a San Francesco d’Assisi: «Signore, fammi strumento della tua pace. Dov’è odio che io porti l’amore, dov’è offesa che io porti il perdono, […] dove ci sono le tenebre che io porti la luce, dov’è tristezza che io porti la gioia».

Possa questa Sapienza continuare a ispirare ogni sforzo per promuovere la pazienza e la comprensione, e per guarire le ferite dei conflitti che nel corso degli anni hanno diviso genti di diverse culture, etnie e convinzioni religiose. Tali sforzi non sono mai solo prerogative di leader religiosi, né sono di esclusiva competenza dello Stato. Piuttosto, è l’intera società, tutti coloro che sono presenti all’interno della comunità, che devono condividere il lavoro di superamento del conflitto e dell’ingiustizia. Tuttavia è responsabilità particolare dei leader civili e religiosi assicurare che ogni voce venga ascoltata, cosicché le sfide e i bisogni di questo momento possano essere chiaramente compresi e messi a confronto in uno spirito di imparzialità e di reciproca solidarietà. Mi congratulo per il lavoro che sta svolgendo la  Panglong Peace Conference a questo riguardo, e prego affinché coloro che guidano tale sforzo possano continuare a promuovere una più ampia partecipazione da parte di tutti coloro che vivono in Myanmar. Questo sicuramente contribuirà all’impegno per far avanzare la pace, la sicurezza e una prosperità che sia inclusiva di tutti.

Certamente, se questi sforzi produrranno frutti duraturi, si richiederà una maggiore cooperazione tra leader religiosi. A tale riguardo, desidero che sappiate che la Chiesa Cattolica è un partner disponibile. Le occasioni di incontro e di dialogo tra i leader religiosi dimostrano di essere un fattore importante nella promozione della giustizia e della pace in Myanmar. Ho appreso che nell’aprile scorso la Conferenza dei Vescovi Cattolici ha ospitato un incontro di due giornate sulla pace, al quale hanno partecipato i capi delle diverse comunità religiose, insieme ad ambasciatori e rappresentanti di agenzie non governative. Tali incontri sono indispensabili, se siamo chiamati ad approfondire la nostra reciproca conoscenza e ad affermare le relazioni tra noi e il comune destino. La giustizia autentica e la pace duratura possono essere raggiunte solo quando sono garantite per tutti.

Cari amici, possano i buddisti e i cattolici camminare insieme lungo questo sentiero di guarigione, e lavorare fianco a fianco per il bene di ciascun abitante di questa terra. Nelle Scritture cristiane, l’Apostolo Paolo chiama i suoi ascoltatori a gioire con quelli che sono nella gioia e a piangere con coloro che sono nel pianto (cfr Rm 12,15), portando umilmente i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2). A nome dei miei fratelli e sorelle cattolici, esprimo la nostra disponibilità a continuare a camminare con voi e a seminare semi di pace e di guarigione, di compassione e di speranza in questa terra.

Vi ringrazio nuovamente per avermi invitato ad essere oggi qui con voi. Su tutti invoco le benedizioni divine di gioia e di pace.

Incontro con i Vescovi del Myanmar in un salone della Cattedrale di St. Mary (Yangon, mercoledì 29)

Eminenza,  cari Fratelli Vescovi,

per tutti noi è stata una giornata piena, ma di grande gioia! Stamani abbiamo celebrato l’Eucaristia insieme ai fedeli provenienti da ogni parte del Paese e nel pomeriggio abbiamo incontrato i leader della maggioritaria comunità buddista. Mi piacerebbe che il nostro incontro stasera fosse un momento di serena gratitudine per queste benedizioni e di tranquilla riflessione sulle gioie e sulle sfide del vostro ministero di Pastori del gregge di Cristo in questo Paese. Ringrazio Mons. Felix [Lian Khen Thang] per le parole di saluto che mi ha rivolto a nome vostro; tutti vi abbraccio con grande affetto nel Signore.

Vorrei raggruppare i miei pensieri attorno a tre parole: guarigione, accompagnamento e profezia.

La prima, guarigione. Il Vangelo che predichiamo è soprattutto un messaggio di guarigione, riconciliazione e pace. Mediante il sangue di Cristo sulla croce Dio ha riconciliato il mondo a sé, e ci ha inviati ad essere messaggeri di quella grazia risanante, grazia di guarigione. Qui in Myanmar, tale messaggio ha una risonanza particolare, dato che il Paese è impegnato a superare divisioni profondamente radicate e costruire l’unità nazionale. Le vostre greggi portano i segni di questo conflitto e hanno generato valorosi testimoni della fede e delle antiche tradizioni; per voi dunque la predicazione del Vangelo non dev’essere soltanto una fonte di consolazione e di fortezza, ma anche una chiamata a favorire l’unità, la carità e il risanamento nella vita del popolo. L’unità che condividiamo e celebriamo nasce dalla diversità – non dimenticare questo, nasce dalla diversità -; valorizza le differenze tra le persone quale fonte di mutuo arricchimento e di crescita; le invita a ritrovarsi insieme, in una cultura dell’incontro e della solidarietà.

Che nel vostro ministero episcopale possiate fare costantemente esperienza della guida e dell’aiuto del Signore nell’impegno a favorire la guarigione e la comunione ad ogni livello della vita della Chiesa, così che il santo Popolo di Dio, il vostro gregge, mediante il suo esempio di perdono e di amore riconciliante, possa essere sale e luce per i cuori che aspirano a quella pace che il mondo non può dare. La comunità cattolica in Myanmar può essere orgogliosa della sua profetica testimonianza di amore a Dio e al prossimo, che si esprime nell’impegno per i poveri, per coloro che sono privi di diritti e soprattutto, in questi tempi, per i tanti sfollati che, per così dire, giacciono feriti ai bordi della strada. Vi chiedo di trasmettere il mio ringraziamento a tutti coloro che, come il Buon Samaritano, si adoperano con generosità per portare a loro e al prossimo che è nel bisogno, senza tener conto della religione o dell’etnia, il balsamo della guarigione.

Il vostro ministero di guarigione trova una particolare espressione nell’impegno per il dialogo ecumenico e per la collaborazione interreligiosa. Prego affinché i vostri continui sforzi a costruire ponti di dialogo e ad unirvi ai seguaci di altre religioni nel tessere relazioni di pace producano frutti abbondanti per la riconciliazione nella vita del Paese. La conferenza di pace interreligiosa tenutasi a Yangon la scorsa primavera è stata una testimonianza importante, davanti al mondo, della determinazione delle religioni a vivere in pace e a rigettare ogni atto di violenza e di odio perpetrato in nome della religione.

E in questa guarigione ricordatevi che la Chiesa è un “ospedale da campo”. Guarire, guarire ferite, guarire le anime, guarire. Questa è la prima vostra missione, guarire, guarire i feriti.

La mia seconda parola per voi stasera è accompagnamento. Un buon Pastore è costantemente presente nei riguardi del suo gregge, conducendolo mentre cammina al suo fianco. Come mi piace dire, il Pastore dovrebbe avere l’odore delle pecore; ma anche l’odore di Dio, non dimenticatevi!, anche l’odore di Dio. Ai nostri giorni siamo chiamati a essere una “Chiesa in uscita” per portare la luce di Cristo ad ogni periferia (cfr Esort. ap.  Evangelii gaudium, 20). In quanto Vescovi, le vostre vite e il vostro ministero sono chiamati a conformarsi a questo spirito di coinvolgimento missionario, soprattutto attraverso le visite pastorali regolari alle parrocchie e alle comunità che formano le vostre Chiese locali. È questo un mezzo privilegiato per accompagnare, come padri amorevoli, i vostri sacerdoti nell’ impegno quotidiano a far crescere il gregge in santità, fedeltà e spirito di servizio. Ho parlato di accompagnare i sacerdoti: siate vicini ai sacerdoti, non dimenticate che il prossimo più prossimo che un vescovo ha è il sacerdote. Che ogni sacerdote non solo sappia, ma senta che ha un padre nel vescovo.

Per grazia di Dio, la Chiesa in Myanmar ha ereditato una fede solida e un fervente anelito missionario dall’opera di coloro che portarono il Vangelo in questa terra. Su queste fondamenta stabili, e in comunione con i presbiteri e i religiosi, continuate a permeare il laicato nello spirito di un autentico discepolato missionario e a ricercare una sapiente inculturazione del messaggio evangelico nella vita quotidiana e nelle tradizioni delle vostre comunità locali. Il contributo dei catechisti è al riguardo essenziale; il loro arricchimento formativo deve rimanere per voi una priorità. E non dimenticate che i catechisti sono i pilastri, in ogni parrocchia, dell’evangelizzazione.

Soprattutto, vorrei chiedervi un impegno speciale nell’accompagnare i giovani. Occupatevi della loro formazione ai sani principi morali che li guideranno nell’affrontare le sfide di un mondo minacciato dalle colonizzazioni ideologiche e culturali. Il prossimo Sinodo dei Vescovi non solo riguarderà tali aspetti, ma interpellerà direttamente i giovani, ascoltando le loro storie e coinvolgendoli nel comune discernimento su come meglio proclamare il Vangelo negli anni a venire. Una delle grandi benedizioni della Chiesa in Myanmar è la sua gioventù e, in particolare, il numero di seminaristi e di giovani religiosi. Ringraziamo Dio per questo. Nello spirito del Sinodo, per favore, coinvolgeteli e sosteneteli nel loro percorso di fede, perché sono chiamati, attraverso il loro idealismo ed entusiasmo, a essere evangelizzatori gioiosi e convincenti dei loro coetanei.

La mia terza parola per voi è profezia. La Chiesa in Myanmar testimonia quotidianamente il Vangelo mediante le sue opere educative e caritative, la sua difesa dei diritti umani, il suo sostegno ai principi democratici. Possiate mettere la comunità cattolica nelle condizioni di continuare ad avere un ruolo costruttivo nella vita della società, facendo sentire la vostra voce nelle questioni di interesse nazionale, particolarmente insistendo sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, in modo speciale dei più poveri e vulnerabili. Sono fiducioso che la strategia pastorale quinquennale, che la Chiesa ha sviluppato nel più ampio contesto della costruzione dello Stato, porterà frutto abbondante non solo per il futuro delle comunità locali, ma anche dell’intero Paese. Mi riferisco specialmente alla necessità di proteggere l’ambiente e di assicurare un corretto utilizzo delle ricche risorse naturali del Paese a beneficio delle generazioni future. La custodia del dono divino della creazione non può essere separata da una sana ecologia umana e sociale. Infatti, «la cura autentica delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri» (Enc.  Laudato si’, 70).

Cari fratelli Vescovi, ringrazio Dio per questo momento di comunione e prego che questo nostro stare insieme ci rafforzerà nell’impegno ad essere pastori fedeli e servitori del gregge che Cristo ci ha affidato. So che il vostro ministero è impegnativo e che, insieme ai vostri sacerdoti, spesso faticate sotto «il peso della giornata e il caldo» (Mt 20,12). Vi esorto a mantenere l’equilibrio nella salute fisica come in quella spirituale, e a darvi pensiero, in modo paterno, della salute dei vostri preti.

E parlando di salute spirituale, ricordate il primo compito del vescovo. Quando i primi cristiani hanno ricevuto le lamentele degli ellenisti perché non erano curati bene le loro vedove e i loro figli, si sono riuniti gli apostoli e hanno “inventato” i diaconi. E Pietro annuncia questa notizia e annuncia anche il compito del vescovo dicendo così: “A noi spettano la preghiera e l’annuncio della Parola” (cfr At 6,1-6). La preghiera è il primo compito del vescovo. Ognuno di noi vescovi dovrà domandarsi, alla sera, nell’esame di coscienza: “Quante ore ho pregato oggi?”.

Cari fratelli, vi esorto a mantenerre l’equilibrio nella salute fisica e spirituale. Soprattutto, vi incoraggio a crescere ogni giorno nella preghiera e nell’esperienza dell’amore riconciliante di Dio, perché è la base della vostra identità sacerdotale, la garanzia della solidità della vostra predicazione e la fonte della carità pastorale con la quale conducete il popolo di Dio sui sentieri della santità e della verità. Con grande affetto invoco la grazia del Signore su di voi, sui sacerdoti, i religiosi e su tutti i laici delle vostre Chiese locali. Vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

E adesso vi invito a pregare tutti insieme, voi in birmano, io in spagnolo, l’Ave Maria alla Madonna.

[Ave Maria]

Vi benedica Dio Onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo.

Omelia nella Messa con i giovani nella Cattedrale di St. Mary (giovedì 30 novembre)

Mentre la mia visita alla vostra bella terra si avvia alla conclusione, mi unisco a voi nel ringraziare Dio per le molte grazie che abbiamo ricevuto in questi giorni. Guardando a voi, giovani del Myanmar, e a tutti coloro che ci seguono al di fuori di questa cattedrale, desidero condividere un’espressione della prima Lettura di oggi, che risuona dentro di me. Tratta dal profeta Isaia, viene ripresa da San Paolo nella sua Lettera alla giovane comunità cristiana di Roma. Ascoltiamo una volta ancora queste parole: «Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!» (Rm 10,15; cfr Is 52,7).

Cari giovani del Myanmar, dopo aver sentito le vostre voci e avervi ascoltato oggi cantare, vorrei applicare queste parole a voi. Sì, sono belli i vostri passi, ed è bello e incoraggiante vedervi, perché ci recate «un lieto annuncio di bene», il lieto annuncio della vostra gioventù, della vostra fede e del vostro entusiasmo. Certo, voi siete un lieto annuncio, perché siete segni concreti della fede della Chiesa in Gesù Cristo, che reca a noi una gioia e una speranza che non avranno mai fine.

Alcuni si chiedono come sia possibile parlare di lieti annunci quando tanti attorno a noi soffrono. Dove sono i lieti annunci quando tanta ingiustizia, povertà e miseria gettano ombra su di noi e sul nostro mondo? Vorrei, però, che da questo luogo uscisse un messaggio molto chiaro. Vorrei che la gente sapesse che voi, giovani uomini e donne del Myanmar, non avete paura di credere nel buon annuncio della misericordia di Dio, perché esso ha un nome e un volto: Gesù Cristo. In quanto messaggeri di questo lieto annuncio, siete pronti a recare una parola di speranza alla Chiesa, al vostro Paese, al mondo. Siete pronti a recare il lieto annuncio ai fratelli e alle sorelle che soffrono e hanno bisogno delle vostre preghiere e della vostra solidarietà, ma anche della vostra passione per i diritti umani, per la giustizia e per la crescita di quello che Gesù dona: amore e pace.

Ma vorrei anche proporvi una sfida. Avete ascoltato attentamente la prima Lettura? Lì san Paolo ripete per tre volte la parola “senza”. E’ una piccola parola, che però ci provoca a pensare al nostro posto nel progetto di Dio. In effetti, Paolo pone tre domande, che io vorrei rivolgere a ciascuno di voi personalmente. La prima: “Come crederanno in lui senza averne sentito parlare?”. La seconda: “Come ne sentiranno parlare senza un messaggero che lo annunci?”. La terza: “Come può esserci un messaggero senza che sia stato mandato?” (cfr Rm 10,14-15).

Mi piacerebbe che tutti voi pensaste a fondo a queste tre domande. Ma non abbiate paura! Come padre (o meglio come nonno!) che vi vuole bene, non voglio lasciarvi soli di fronte a queste domande. Permettetemi di offrirvi alcuni pensieri che possano guidarvi nel vostro cammino di fede e aiutarvi a discernere che cosa il Signore vi sta domandando.

La prima domanda di San Paolo è: “Come crederanno in lui senza averne sentito parlare?”. Il nostro mondo è pieno di tanti rumori e distrazioni che possono soffocare la voce di Dio. Affinché altri siano chiamati a sentirne parlare e a credere in Lui, hanno bisogno di trovarlo in persone che siano autentiche, persone che sanno come ascoltare. È certamente quello che voi volete essere. Ma solo il Signore può aiutarvi a essere genuini; perciò parlategli nella preghiera. Imparate ad ascoltare la sua voce, parlandogli con calma nel profondo del vostro cuore.

Ma parlate anche ai santi, nostri amici in cielo che possono ispirarci. Come Sant’Andrea, che festeggiamo oggi. Era un semplice pescatore e divenne un grande martire, un testimone dell’amore di Gesù. Ma prima di diventare un martire, fece i suoi errori ed ebbe bisogno di essere paziente, di imparare gradualmente come essere un vero discepolo di Cristo. Anche voi, non abbiate paura di imparare dai vostri errori! Che i santi vi possano guidare a Gesù, insegnandovi a mettere la vostra vita nelle sue mani. Sapete che Gesù è pieno di misericordia. Dunque condividete con Lui tutto quello che avete nel cuore: le paure e le preoccupazioni, i sogni e le speranze. Coltivate la vita interiore, come fareste con un giardino o con un campo. Questo richiede tempo, richiede pazienza. Ma come un contadino sa attendere la crescita della messe, così, se saprete aver pazienza, il Signore vi concederà di portare molto frutto, un frutto che potrete poi condividere con gli altri.

La seconda domanda di Paolo è: “Come ne sentiranno parlare senza un messaggero che lo annunci?”. Ecco un grande compito affidato in modo speciale ai giovani: essere “discepoli missionari”, messaggeri del lieto annuncio di Gesù, soprattutto per i vostri coetanei e amici. Non abbiate paura di fare scompiglio, di porre domande che facciano pensare la gente. E non abbiate paura se a volte percepirete di essere pochi e sparpagliati. Il Vangelo cresce sempre da piccole radici. Per questo, fatevi sentire! Vorrei chiedervi di gridare, ma non con la voce, no, vorrei che gridaste con la vita, con il cuore, così da essere segni di speranza per chi è scoraggiato, una mano tesa per chi è malato, un sorriso accogliente per chi è straniero, un sostegno premuroso per chi è solo.

L’ultima domanda di Paolo è:“Come può esserci un messaggero senza che sia stato mandato?”. Al termine della Messa saremo tutti mandati a prendere i doni che abbiamo ricevuto e a condividerli con altri. Ciò potrebbe essere un po’ scoraggiante, dal momento che non sappiamo sempre dove Gesù ci può mandare. Ma Egli non ci invia mai senza camminare al tempo stesso al nostro fianco, e sempre un po’ davanti a noi, per introdurci in nuove e magnifiche parti del suo regno.

In che modo il Signore manda Sant’Andrea e suo fratello Simon Pietro nel Vangelo di oggi? «Seguitemi», dice loro (cfr Mt 4,19). Ecco cosa significa essere inviati: seguire Cristo, non precipitarsi in avanti con le proprie forze! Il Signore inviterà alcuni di voi a seguirlo come preti e a diventare in questo modo “pescatori di uomini”. Altri li chiamerà a diventare persone consacrate. E altri ancora li chiamerà alla vita matrimoniale, a essere padri e madri amorevoli. Qualunque sia la vostra vocazione, vi esorto: siate coraggiosi, siate generosi e, soprattutto, siate gioiosi!

Qui in questa bella Cattedrale dedicata all’Immacolata Concezione, vi incoraggio a guardare a Maria. Quando lei disse “sì” al messaggio dell’Angelo, era giovane come voi. Ma ebbe il coraggio di confidare nel lieto annuncio che aveva ascoltato e di tradurlo in una vita di fedele dedizione alla sua vocazione, di totale donazione di sé e di completo affidamento all’amorevole premura di Dio. Come Maria, possiate tutti voi essere miti ma coraggiosi nel portare Gesù e il suo amore agli altri.

Cari giovani, con grande affetto affido tutti voi e le vostre famiglie alla sua materna intercessione. E vi chiedo, per favore, di ricordarvi di pregare per me. Dio benedica il Myanmar! [Myanmar pyi ko Payarthakin Kaung gi pei pa sei]

Incontro con le Autorità, con la Società civile e con il Corpo Diplomatico nel Palazzo Presidenziale (Dhaka, giovedì 30 novembre)

Signor Presidente, Onorevoli Autorità, Eminenza, Cari Fratelli nell’Episcopato Distinti Membri del Corpo Diplomatico, Signore e Signori!

All’inizio della mia permanenza in Bangladesh vorrei ringraziarLa, Signor Presidente, per il gentile invito a visitare questo Paese e per le Sue cortesi parole di benvenuto. Mi trovo qui sulle orme di due miei Predecessori, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, a pregare con i miei fratelli e sorelle cattolici e ad offrire loro un messaggio di affetto e di incoraggiamento. Il Bangladesh è uno Stato giovane, eppure ha sempre avuto un posto speciale nel cuore dei Papi, che fin dal principio hanno espresso solidarietà con il suo popolo, intesa ad accompagnarlo nel superare le difficoltà iniziali, e lo hanno sostenuto nell’esigente compito di costruire la nazione e il suo sviluppo. Sono grato dell’opportunità di rivolgermi a questa assemblea, che raduna uomini e donne con particolari responsabilità nel delineare il futuro della società del Bangladesh.

Durante il mio volo per giungere qui, mi è stato ricordato che il Bangladesh – “Golden Bengal” – è un Paese tutto avvolto da una vasta rete fluviale e di vie d’acqua, grandi e piccole. Questa bellezza naturale è, credo, emblematica della vostra particolare identità come popolo. Il Bangladesh è una nazione che si sforza di raggiungere un’unità di linguaggio e di cultura nel rispetto per le diverse tradizioni e comunità, che fluiscono come tanti rivoli e ritornano ad arricchire il grande corso della vita politica e sociale del Paese.

Nel mondo di oggi, nessuna singola comunità, nazione o Stato, può sopravvivere e progredire nell’isolamento. In quanto membri dell’unica famiglia umana, abbiamo bisogno l’uno dell’altro e siamo dipendenti l’uno dall’altro. Il Presidente Sheikh Mujibur Rahman ha compreso e cercato di incorporare questo principio nella Costituzione nazionale. Egli ha immaginato una società moderna, pluralistica e inclusiva, in cui ogni persona e ogni comunità potesse vivere in libertà, pace e sicurezza, nel rispetto dell’innata dignità e uguaglianza di diritti di tutti. Il futuro di questa giovane democrazia e la salute della sua vita politica sono essenzialmente connessi alla fedeltà a questa visione fondativa. Infatti, solo attraverso un dialogo sincero e il rispetto della legittima diversità un popolo può riconciliare le divisioni, superare prospettive unilaterali e riconoscere la validità di punti di vista differenti. Perché il vero dialogo guarda al futuro, costruisce unità nel servizio del bene comune ed è attento ai bisogni di tutti i cittadini, specialmente dei poveri, degli svantaggiati e di coloro che non hanno voce.

Nei mesi scorsi, lo spirito di generosità e di solidarietà che caratterizza la società del Bangladesh si è manifestato molto chiaramente nel suo slancio umanitario a favore dei rifugiati affluiti in massa dallo Stato di Rakhine, provvedendoli di un riparo temporaneo e delle necessità primarie per la vita. Questo è stato fatto con non poco sacrificio. Ed è stato fatto sotto gli occhi del mondo intero. Nessuno di noi può mancare di essere consapevole della gravità della situazione, dell’immenso costo richiesto di umane sofferenze e delle precarie condizioni di vita di così tanti nostri fratelli e sorelle, la maggioranza dei quali sono donne e bambini, ammassati nei campi-profughi. È necessario che la comunità internazionale attui misure efficaci nei confronti di questa grave crisi, non solo lavorando per risolvere le questioni politiche che hanno condotto allo spostamento massivo di persone, ma anche offrendo immediata assistenza materiale al Bangladesh nel suo sforzo di rispondere fattivamente agli urgenti bisogni umani.

Nonostante la mia visita sia primariamente diretta alla Comunità cattolica del Bangladesh, un momento privilegiato sarà il mio incontro domani a Ramna con i Responsabili ecumenici e interreligiosi. Insieme pregheremo per la pace e riaffermeremo il nostro impegno a lavorare per la pace. Il Bangladesh è noto per l’armonia che tradizionalmente è esistita tra i seguaci di varie religioni. Questa atmosfera di mutuo rispetto e un crescente clima di dialogo interreligioso consentono ai credenti di esprimere liberamente le loro più profonde convinzioni sul significato e sullo scopo della vita. Così essi possono contribuire a promuovere i valori spirituali che sono la base sicura per una società giusta e pacifica. In un mondo dove la religione è spesso – scandalosamente – mal utilizzata al fine di fomentare divisione, questa testimonianza della sua forza di riconciliazione e di unione è quanto mai necessaria. Ciò si è manifestato in modo particolarmente eloquente nella comune reazione di indignazione che ha seguito il brutale attacco terroristico dell’anno scorso qui a Dhaka, e nel chiaro messaggio inviato dalle autorità religiose della nazione per cui il santissimo nome di Dio non può mai essere invocato per giustificare l’odio e la violenza contro altri esseri umani nostri simili.

I cattolici del Bangladesh, anche se relativamente pochi di numero, tuttavia cercano di svolgere un ruolo costruttivo nello sviluppo del Paese, specialmente attraverso le loro scuole, le cliniche e i dispensari. La Chiesa apprezza la libertà, di cui beneficia l’intera nazione, di praticare la propria fede e di realizzare le proprie opere caritative, tra cui quella di offrire ai giovani, che rappresentano il futuro della società, un’educazione di qualità e un esercizio di sani valori etici e umani. Nelle sue scuole la Chiesa cerca di promuovere una cultura dell’incontro che renda gli studenti capaci di assumersi le proprie responsabilità nella vita della società. In effetti, la grande maggioranza degli studenti e molti degli insegnanti in queste scuole non sono cristiani, ma provengono da altre tradizioni religiose. Sono certo che, in accordo con la lettera e lo spirito della Costituzione nazionale, la Comunità cattolica continuerà a godere la libertà di portare avanti queste buone opere come espressione del suo impegno per il bene comune.

Signor Presidente e cari amici,

vi ringrazio per la vostra attenzione e vi assicuro le mie preghiere, affinché nelle vostre nobili responsabilità siate sempre ispirati dagli alti ideali di giustizia e di servizio verso i vostri concittadini. Invoco volentieri su di voi e su tutto il popolo del Bangladesh le divine benedizioni di armonia e di pace. Grazie. 

Omelia nella Messa nel Suhrawardy Udyan Park (Dhaka, venerdì 1° dicembre)

[Omelia tratta dal Rituale per l’Ordinazione dei presbiteri]

Fratelli carissimi, questi nostri figli sono stati chiamati all’ordine del presbiterato. Riflettiamo attentamente a quale ministero saranno elevati nella Chiesa.

Come voi ben sapete, fratelli, il Signore Gesù è il solo sommo sacerdote del Nuovo Testamento; ma in lui anche tutto il popolo santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale. Nondimeno, tra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù volle sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’ufficio sacerdotale a favore di tutti gli uomini, continuassero la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore.

Come infatti per questo egli era stato inviato dal Padre, così egli inviò a sua volta nel mondo prima gli Apostoli e poi i vescovi loro successori, ai quali infine furono dati come collaboratori i presbiteri, che, ad essi uniti nel ministero sacerdotale, sono chiamati al servizio del popolo di Dio.

Dopo matura riflessione, ora noi stiamo per elevare all’ordine dei presbiteri questi nostri fratelli, perché al servizio di Cristo maestro, sacerdote e pastore cooperino a edificare il corpo di Cristo, che è la Chiesa, in popolo di Dio e tempio santo dello Spirito.

Quanto a voi, figli dilettissimi, che state per essere promossi all’ordine del presbiterato, considerate che esercitando il ministero della sacra dottrina sarete parte­cipi della missione di Cristo, unico maestro. Dispensate a tutti quella parola di Dio, che voi stessi avete ricevuto con gioia. Leggete e meditate assiduamente la parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato. Sia dunque nutrimento al popolo di Dio la vostra dottrina, gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo della vostra vita, perché con la parola e l’esempio edifichiate la casa di Dio, che è la Chiesa.

Voi continuerete l’opera santificatrice di Cristo. Mediante il vostro ministero il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché congiunto al sacrificio di Cristo, che per le vostre mani in nome di tutta la Chiesa viene offerto in modo incruento sull’altare nella celebrazione dei santi misteri.

Riconoscete dunque ciò che fate, imitate ciò che celebrate, perché partecipando al mistero della morte e risurrezione del Signore, portiate la morte di Cristo nelle vostre membra e camminiate con lui in novità di vita. 

Con il Battesimo aggregherete nuovi fedeli al popolo di Dio; con il sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa; con l’Olio santo darete sollievo agli infermi; celebrando i sacri riti e innalzando nelle varie ore del giorno la preghiera di lode e di supplica, vi farete voce del popolo di Dio e dell’umanità intera.

Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costituiti in loro favore per attendere alle cose di Dio, esercitate in letizia e carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi.

Infine, partecipando alla missione di Cristo, capo e pastore, in comunione filiale con il vostro vescovo, impegnatevi a unire i fedeli in un’unica famiglia, per condurli a Dio Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare ciò che era perduto.

Adesso voglio rivolgermi a voi, cari fratelli e sorelle che siete venuti a questa festa, a questa grande festa di Dio nell’Ordinazione di questi fratelli sacerdoti. So che tanti di voi siete venuti da lontano, con un viaggio di più di due giorni… Grazie per la vostra generosità! Questo indica l’amore che voi avete per la Chiesa, questo indica l’amore che voi avete per Gesù Cristo. Grazie tante! Grazie tante per la vostra generosità, grazie tante per la vostra fedeltà. Andate avanti, con lo spirito delle Beatitudini. E mi raccomando, oggi, mi raccomando, pregate sempre per i vostri sacerdoti, specialmente per questi che oggi riceveranno il sacramento dell’Ordine sacro. Il popolo di Dio sostiene i sacerdoti con la preghiera. E’ vostra responsabilità sostenere i sacerdoti. Qualcuno di voi potrà domandarmi: “Ma, padre, come si fa per sostenere un sacerdote?”. Fidatevi della vostra generosità. Il cuore generoso che voi avete vi dirà come sostenere i sacerdoti. Ma il primo sostegno del sacerdote è la preghiera. Il popolo di Dio – cioè tutti, tutti – sostiene il sacerdote con la preghiera. Non stancatevi mai di pregare per i vostri sacerdoti. Io so che lo farete. Grazie tante! E adesso continuiamo il rito dell’Ordinazione di questi diaconi che saranno i vostri sacerdoti. Grazie.

Incontro con i Vescovi del Bangladesh nella Casa dei Sacerdoti anziani (Dhaka, venerdì 1° dicembre)

Parole spontanee del Santo Padre prima di entrare in Cattedrale

Buonasera!

Ringrazio tutti voi che siete qui presenti, leader cristiani, laici che lavorano al servizio del Regno di Dio. 

Semplicemente mi hanno detto che devo fare un saluto e mi viene in mente una parola da condividere con voi. L’Apostolo Paolo diceva che sentiva dentro di sé: “Guai a me se non evangelizzo!”.

Noi vogliamo che si viva il Vangelo come una grazia, come un tesoro, e lo abbiamo ricevuto gratuitamente. Dobbiamo chiedere al Signore di sentire ciò che sentiva Paolo. Sentire quel fuoco, quell’ansia nel cuore per evangelizzare. Non si tratta di fare proselitismo, no. La Chiesa, Regno di Dio, non cresce per proselitismo, cresce con la testimonianza. Si tratta di mostrare con la parola e la vita il tesoro che ci è stato donato. E questo è evangelizzare. Io vivo così, vivo questa parola, e che gli altri vedano; ma non è fare proselitismo.

Vi ringrazio per quello che fate, vi ringrazio per l’impegno, vi ringrazio perché mostrate il dono che Dio ci ha dato.

E oso chiedervi un favore: custodite il tesoro che Dio ci ha donato nel Vangelo. E il modo migliore di custodirlo è la grazia di Dio. Perciò vi chiedo di pregare molto, pregate molto perché venga questa grazia e vi conservi il tesoro.

E andiamo avanti nel cammino facendo vedere questo tesoro che Dio ci ha donato gratuitamente e che dobbiamo offrire agli altri gratuitamente.

Ed ora come fratelli tutti insieme chiediamo questa grazia gli uni per gli altri, recitando la preghiera che Gesù ci ha insegnato.

[Padre nostro]

Il Signore vi benedica e vi protegga. Faccia splendere il suo volto su di voi e vi mostri la sua grazia. Vi sveli il suo volto e vi conceda la grazia. Amen.

Non dimenticatevi di pregare per me.

DISCORSO DEL SANTO PADRE AI VESCOVI DEL BANGLADESH

Eminenza, Cari Fratelli nell’Episcopato,

Quanto è bene per noi stare insieme! Ringrazio il Cardinale Patrick [D’Rozario] per le sue parole di introduzione, con cui ha presentato le svariate attività spirituali e pastorali della Chiesa in Bangladesh. Ho particolarmente apprezzato il suo riferimento al lungimirante Piano Pastorale del 1985, che ha messo in luce i principi evangelici e le priorità che hanno guidato la vita e la missione della comunità ecclesiale in questa giovane nazione. La mia personale esperienza di Aparecida, che ha lanciato la missione continentale in Sud America, mi ha convinto della fecondità di tali piani, che coinvolgono l’intero popolo di Dio in un continuo processo di discernimento e di azione.

Mi piace anche la durata di questo piano pastorale, perché una delle malattie dei piani pastorali è che muoiono giovani. Ma questo è vivo dall’’85: complimenti! Auguri! Si vede che è stato ben fatto, che riflette la realtà del Paese e i bisogni pastorali; e riflette anche la perseveranza dei vescovi. 

La realtà della comunione è stata al cuore del Piano Pastorale e continua ad ispirare lo zelo missionario che distingue la Chiesa in Bangladesh. La vostra stessa guida episcopale è stata tradizionalmente segnata dallo spirito di collegialità e di mutuo sostegno. E questo è grande! Questo spirito di affetto collegiale viene condiviso dai vostri sacerdoti e, tramite loro, si è propagato alle parrocchie, alle comunità e alle diverse forme di apostolato delle vostre Chiese locali. Esso trova espressione nella serietà con cui, nelle vostre diocesi, vi dedicate alle visite pastorali e dimostrate concreto interesse per il bene della vostra gente. Vi chiedo di perseverare in questo ministero di presenza. Voglio sottolineare che cosa vuol dire: non solo farsi vedere – si può farsi vedere mediante la tv -; ma una presenza come quella di Dio in noi, che si è fatto vicinanza, che si è fatto prossimità nell’Incarnazione del Verbo, nella condiscendenza, quella condiscendenza del Padre che ha mandato il Figlio a farsi uno di noi. E mi piace come voi abbiate coniato questa parola: “ministero di presenza”. Il vescovo è uno che è presente, che è vicino ed è prossimo. Sempre. Ripeto: perseverare in questo ministero di presenza, che solo può stringere legami di comunione unendovi ai vostri sacerdoti, che sono vostri fratelli, figli e collaboratori nella vigna del Signore, e ai religiosi e alle religiose che rendono un così fondamentale contributo alla vita cattolica in questo Paese.

Una parola vorrei sottolineare sui religiosi. Siamo abituati a dire: sì, ci sono due vie di santificazione nella Chiesa: la via presbiterale e la via laicale. Ma le suorine, cosa sono? Laiche? No. Per favore, bisogna far crescere l’idea che c’è una terza via di santificazione: la via della vita consacrata. Che non è un aggettivo: “questo è un laico, una laica consacrata”; è un sostantivo: “questo è un consacrato, questa è una consacrata”. Come diciamo “questo è un laico o una laica”, e “questo è un sacerdote”. E’ importante.

Nello stesso tempo, vi chiederei di mostrare una vicinanza anche più grande verso i fedeli laici. Loro devono crescere. Bisogna promuovere la loro effettiva partecipazione nella vita delle vostre Chiese particolari, non da ultimo tramite le strutture canoniche che fanno sì che le loro voci vengano ascoltate e le loro esperienze apprezzate. Riconoscete e valorizzate i carismi dei laici, uomini e donne, e incoraggiateli a mettere i loro doni al servizio della Chiesa e della società nel suo complesso. Penso qui ai numerosi zelanti catechisti di questa nazione – i catechisti sono i pilastri dell’evangelizzazione! -, il cui apostolato è essenziale alla crescita della fede e alla formazione cristiana delle nuove generazioni. Essi sono veri missionari e guide di preghiera, specie nelle zone più remote. Siate attenti ai loro bisogni spirituali e alla loro costante formazione nella fede. I catechisti. Ma anche i laici che ci aiutano e ci sono vicini, i consiglieri: i consiglieri pastorali, i consiglieri negli affari economici. In una riunione avuta sei mesi fa, ho sentito dire che forse un po’ più della metà delle diocesi, la metà o un po’ di più, ha i due consigli che il Diritto Canonico ci chiede di avere: quello pastorale e quello degli affari economici. E l’altra metà? Questo non può essere. Non è solo una legge, non è solo un aiuto, è spazio per i laici.

In questi mesi di preparazione per la prossima assemblea del Sinodo dei Vescovi, siamo tutti sollecitati a riflettere su come rendere meglio partecipi i nostri giovani della gioia, della verità e della bellezza della nostra fede. Il Bangladesh è stato benedetto con vocazioni al sacerdozio – oggi l’abbiamo visto! – e alla vita religiosa; è importante assicurare che i candidati siano ben preparati per comunicare le ricchezze della fede agli altri, particolarmente ai loro contemporanei. In uno spirito di comunione che unisce le generazioni, aiutateli a prendere in mano con gioia ed entusiasmo il lavoro che altri hanno iniziato, sapendo che essi stessi un giorno saranno chiamati a loro volta a trasmetterlo. Quell’atteggiamento interiore di ricevere l’eredità, farla crescere e trasmetterla: questo è lo spirito apostolico di un presbiterio. Che i giovani sappiano che il mondo non incomincia con loro, che loro devono cercare le radici, devono cercare le radici storiche, religiose… Far crescere quelle radici e trasmettere i frutti. Insegnate ai giovani a non essere sradicati; insegnate loro a colloquiare con gli anziani. Quando sono entrato qui [nell’Arcivescovado] c’erano i seminaristi delle medie. Dovevo fare loro due domande, en passant, ma ne ho fatta una soltanto, la prima, la più naturale: “Giocate a calcio?”. Tutti: “Sì!”. La seconda era: “Andate a trovare i nonni, i preti anziani? A sentire le storie della loro vita, del loro apostolato?”. I formatori del seminario devono educare i giovani seminaristi ad ascoltare i vecchi preti: lì ci sono le radici, lì c’è la saggezza della Chiesa.

Una notevole attività sociale della Chiesa in Bangladesh è diretta all’assistenza delle famiglie e, specificamente, all’impegno per la promozione delle donne. La gente di questo Paese è nota per il suo amore alla famiglia, per il suo senso di ospitalità, per il rispetto che mostra verso i genitori e i nonni e la cura verso gli anziani, gli infermi e i più indifesi. Questi valori sono confermati ed elevati dal Vangelo di Gesù Cristo. Una speciale espressione di gratitudine è dovuta a tutti coloro che lavorano silenziosamente per sostenere le famiglie cristiane nella loro missione di dare quotidiana testimonianza all’amore riconciliante del Signore e nel far conoscere il suo potere di redenzione. Come l’Esortazione Ecclesia in Asia ha segnalato, «la famiglia non è semplicemente l’oggetto della cura pastorale della Chiesa, ma ne è anche uno degli agenti di evengelizzazione più efficaci» (n. 46).

Un obiettivo significativo indicato nel Piano Pastorale, e che si è davvero dimostrato profetico, è l’opzione per i poveri. La Comunità cattolica in Bangladesh può essere fiera della sua storia di servizio ai poveri, specialmente nelle zone più remote e nelle comunità tribali; continua questo servizio quotidianamente attraverso il suo apostolato educativo, i suoi ospedali, le cliniche e i centri di salute, e la varietà delle sue opere caritative. Eppure, specie alla luce della presente crisi dei rifugiati, vediamo quanto ancora maggiori siano le necessità da raggiungere! L’ispirazione per le vostre opere di assistenza ai bisognosi sia sempre la carità pastorale, che è sollecita nel riconoscere le umane ferite e rispondere con generosità, a ciascuno personalmente. Nel lavorare per creare una “cultura di misericordia” (cfr Lett. ap. Misericordia et misera, 20). In questo lavoro, le vostre Chiese locali dimostrano la loro opzione per i poveri, rafforzano la proclamazione dell’infinita misericordia del Padre e contribuiscono in non piccola misura allo sviluppo integrale della loro patria. 

Un importante momento della mia visita pastorale in Bangladesh è l’incontro interreligioso ed ecumenico che avrà luogo immediatamente dopo il nostro incontro. La vostra è una nazione dove la diversità etnica rispecchia la diversità delle tradizioni religiose. L’impegno della Chiesa di portare avanti la comprensione interreligiosa tramite seminari e programmi didattici, come anche attraverso contatti e inviti personali, contribuisce al diffondersi della buona volontà e dell’armonia. Adoperatevi incessantemente a costruire ponti e a promuovere il dialogo, non solo perché questi sforzi facilitano la comunicazione tra diversi gruppi religiosi, ma anche perché risvegliano le energie spirituali necessarie per l’opera di costruzione della nazione nell’unità, nella giustizia e nella pace.

Quando i capi religiosi si pronunciano pubblicamente con una sola voce contro la violenza ammantata di religiosità e cercano di sostituire la cultura del conflitto con la cultura dell’incontro, essi attingono alle più profonde radici spirituali delle loro varie tradizioni. Essi provvedono anche un inestimabile servizio per il futuro dei loro Paesi e del nostro mondo insegnando ai giovani la via della giustizia: «occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente ricerca del bene» (Discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale per la pace, Al-Azhar, Il Cairo, 28 aprile 2017).

Cari confratelli Vescovi, sono grato al Signore per questi momenti di conversazione e condivisione fraterna. Sono anche contento che questo Viaggio Apostolico, che mi ha condotto in Bangladesh, mi ha permesso di testimoniare la vitalità e il fervore missionario della Chiesa in questa nazione. Nel presentare al Signore le gioie e le difficoltà delle vostre comunità locali, chiediamo insieme una rinnovata effusione dello Spirito Santo, perché ci conceda «il coraggio di annunciare la novità del Vangelo con audacia – parrhesía – a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 259). Possano i sacerdoti, i religiosi, i consacrati e le consacrate, e i fedeli laici affidati alla vostra cura pastorale, trovare una sempre rinnovata forza nei loro sforzi di essere «evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio» (ibid.). A tutti voi, con grande affetto, imparto la mia benedizione, e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.

Incontro Interreligioso ed Ecumenico per la pace nel giardino dell’Arcivescovado (Dhaka, venerdì 1° dicembre)

Illustri Ospiti,Cari Amici

Il nostro incontro, che riunisce i rappresentanti delle diverse comunità religiose di questo Paese, costituisce un momento molto significativo della mia visita in Bangladesh. Ci siamo radunati per approfondire la nostra amicizia e per esprimere il comune desiderio del dono di una pace genuina e duratura. 

Il mio ringraziamento va al Cardinale D’Rozario per le sue gentili parole di benvenuto e a quanti mi hanno accolto con calore a nome delle comunità musulmana, induista, buddista, cristiana e anche della società civile. Sono grato al Vescovo anglicano di Dhaka per la sua presenza, alle varie comunità cristiane e a tutti coloro che hanno contribuito a rendere possibile questa riunione. 

Le parole che abbiamo ascoltato, ma anche i canti e le danze che hanno animato la nostra assemblea, ci hanno parlato in modo eloquente del desiderio di armonia, fraternità e pace contenuto negli insegnamenti delle religioni del mondo. Possa il nostro incontro di questo pomeriggio essere un chiaro segno degli sforzi dei leader e dei seguaci delle religioni presenti in questo Paese a vivere insieme nel rispetto reciproco e nella buona volontà. In Bangladesh, dove il diritto alla libertà religiosa è un principio fondamentale, questo impegno sia un richiamo rispettoso ma fermo a chi cercherà di fomentare divisione, odio e violenza in nome della religione. 

È un segno particolarmente confortante dei nostri tempi che i credenti e le persone di buona volontà si sentano sempre più chiamati a cooperare alla formazione di una cultura dell’incontro, del dialogo e della collaborazione al servizio della famiglia umana. Ciò richiede più che una mera tolleranza. Ci stimola a tendere la mano all’altro in atteggiamento di reciproca fiducia e comprensione, per costruire un’unità che comprenda la diversità non come minaccia, ma come potenziale fonte di arricchimento e crescita. Ci esorta a coltivare una apertura del cuore, in modo da vedere gli altri come una via, non come un ostacolo. 

Permettetemi di esplorare brevemente alcune caratteristiche essenziali di questa “apertura del cuore” che è la condizione per una cultura dell’incontro.

In primo luogo, essa è una porta. Non è una teoria astratta, ma un’esperienza vissuta. Ci permette di intraprendere un dialogo di vita, non un semplice scambio di idee. Richiede buona volontà e accoglienza, ma non deve essere confusa con l’indifferenza o la reticenza nell’esprimere le nostre convinzioni più profonde. Impegnarsi fruttuosamente con l’altro significa condividere le nostre diverse identità religiose e culturali, ma sempre con umiltà, onestà e rispetto. 

L’apertura del cuore è anche simile ad una scala che raggiunge l’Assoluto. Ricordando questa dimensione trascendente della nostra attività, ci rendiamo conto della necessità di purificare i nostri cuori, in modo da poter vedere tutte le cose nella loro prospettiva più vera. Ad ogni passo la nostra visuale diventerà più chiara e riceveremo la forza per perseverare nell’impegno di comprendere e valorizzare gli altri e il loro punto di vista. In questo modo, troveremo la saggezza e la forza necessarie per tendere a tutti la mano dell’amicizia. 

L’apertura del cuore è anche un cammino che conduce a ricercare la bontà, la giustizia e la solidarietà. Conduce a cercare il bene del nostro prossimo. Nella sua Lettera ai cristiani di Roma, San Paolo ha così esortato: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (12,21). Questo è un atteggiamento che tutti noi possiamo imitare. La sollecitudine religiosa per il bene del nostro prossimo, che scaturisce da un cuore aperto, scorre come un grande fiume, irrigando le terre aride e deserte dell’odio, della corruzione, della povertà e della violenza che tanto danneggiano la vita umana, dividono le famiglie e sfigurano il dono della creazione. 

Le diverse comunità religiose del Bangladesh hanno abbracciato questa strada in modo particolare nell’impegno per la cura della terra, nostra casa comune, e nella risposta ai disastri naturali che hanno afflitto la nazione negli ultimi anni. Penso anche alla comune manifestazione di dolore, preghiera e solidarietà che ha accompagnato il tragico crollo del Rana Plaza, che rimane impresso nella mente di tutti. In queste diverse espressioni, vediamo quanto il cammino della bontà conduce alla cooperazione al servizio degli altri. 

Uno spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti non solo contribuisce a una cultura di armonia e di pace; esso ne è il cuore pulsante. Quanto ha bisogno il mondo di questo cuore che batte con forza, per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie religiose distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili! Quanta apertura è necessaria per accogliere le persone del nostro mondo, specialmente i giovani, che a volte si sentono soli e sconcertati nel ricercare il senso della vita! 

Cari amici, vi ringrazio per i vostri sforzi nel promuovere la cultura dell’incontro, e prego che, con la dimostrazione del comune impegno dei seguaci delle religioni a discernere il bene e a metterlo in pratica, aiuteremo tutti i credenti a crescere nella saggezza e nella santità, e a cooperare per costruire un mondo sempre più umano, unito e pacifico. 

Apro il mio cuore a tutti voi e vi ringrazio ancora una volta per la vostra accoglienza. Ricordiamoci vicendevolmente nelle nostre preghiere.

Incontro con i Sacerdoti, Religiosi/e, Consacrati, Seminaristi e Novizie nella Chiesa del Santo Rosario (sabato 2 dicembre)

DISCORSO PREPARATO DAL SANTO PADRE 

 

Cari fratelli e sorelle

sono molto contento di essere con voi. Ringrazio l’Arcivescovo Moses [Costa] per il caloroso saluto a nome vostro. Sono grato specialmente a quanti hanno offerto le loro testimonianze e condiviso con noi il loro amore per Dio. Esprimo anche la mia gratitudine a Padre Mintu [Palma] per aver composto la preghiera che tra poco reciteremo alla Madonna. In quanto successore di Pietro è mio dovere confermarvi nella fede. Ma vorrei che sappiate che oggi, attraverso le vostre parole e la vostra presenza, anche voi confermate me nella fede e mi date una grande gioia. 

La Comunità cattolica in Bangladesh è piccola. Ma siete come il granello di senape che Dio porta a maturazione a suo tempo. Mi rallegro di vedere come questo granello stia crescendo e di essere testimone diretto della fede profonda che Dio vi ha dato (cfr Mt 13,31-32). Penso ai missionari devoti e fedeli che hanno piantato e curato questo granello di fede per quasi cinque secoli. Tra poco visiterò il cimitero e pregherò per questi uomini e donne che con tanta generosità hanno servito questa Chiesa locale. Volgendo lo sguardo a voi, vedo missionari che proseguono questa santa opera. Vedo anche molte vocazioni nate in questa terra: sono un segno delle grazie con cui il Signore la sta benedicendo. Sono particolarmente lieto della presenza tra noi delle suore di clausura, e delle loro preghiere. 

È bello che il nostro incontro abbia luogo in quest’antica Chiesa del Santo Rosario. Il Rosario è una magnifica meditazione sui misteri della fede che sono la linfa vitale della Chiesa, una preghiera che forgia la vita spirituale e il servizio apostolico. Che siamo sacerdoti, religiosi, consacrati, seminaristi o novizi, la preghiera del Rosario ci stimola a dare le nostre vite completamente a Cristo, in unione con Maria. Ci invita a partecipare alla sollecitudine di Maria nei riguardi di Dio al momento dell’Annunciazione, alla compassione di Cristo per tutta l’umanità quando è appeso alla croce e alla gioia della Chiesa quando riceve il dono dello Spirito Santo dal Signore risorto.

La sollecitudine di Maria. C’è stata, in tutta la storia, una persona sollecita quanto Maria al momento dell’annunciazione? Dio la preparò per quel momento ed ella rispose con amore e fiducia. Così pure il Signore ha preparato ciascuno di noi e ci ha chiamati per nome. Rispondere a tale chiamata è un processo che dura tutta la vita. Ogni giorno siamo chiamati a imparare ad essere più solleciti nei riguardi del Signore nella preghiera, meditando le sue parole e cercando di discernere la sua volontà. So che il lavoro pastorale e l’apostolato richiedono da voi molto, e che le vostre giornate sono spesso lunghe e vi lasciano stanchi. Ma non possiamo portare il nome di Cristo o partecipare alla sua missione senza essere anzitutto uomini e donne radicati nell’amore, accesi dall’amore, attraverso l’incontro personale con Gesù nell’Eucaristia e nelle parole della Sacra Scrittura. Padre Abel, tu ci hai ricordato questo quando hai parlato dell’importanza di coltivare un’intima relazione con Gesù, perché lì sperimentiamo la sua misericordia e attingiamo una rinnovata energia per servire gli altri.

La sollecitudine per il Signore ci permette di vedere il mondo attraverso i suoi occhi e di diventare così più sensibili alle necessità di quanti serviamo. Cominciamo a comprendere le loro speranze e gioie, le paure e i pesi, vediamo più chiaramente i molti talenti, carismi e doni che essi apportano per edificare la Chiesa nella fede e nella santità. Fratel Lawrence, quando parlavi del tuo eremo, ci hai aiutati a comprendere l’importanza di prenderci cura delle persone per saziare la loro sete spirituale. Che tutti voi possiate, nella grande varietà del vostro apostolato, essere una fonte di ristoro spirituale e di ispirazione per coloro che servite, rendendoli capaci di condividere i loro doni sempre più pienamente tra di loro, facendo progredire la missione della Chiesa.

La compassione di Cristo. Il Rosario ci introduce nella meditazione della passione e morte di Gesù. Entrando più in profondità in questi misteri del dolore, giungiamo a conoscere la loro forza salvifica e siamo confermati nella chiamata a esserne partecipi con la nostra vita, con la compassione e il dono di sé. Il sacerdozio e la vita religiosa non sono carriere. Non sono veicoli per avanzare. Sono un servizio, una partecipazione all’amore di Cristo che si sacrifica per il suo gregge. Conformandoci quotidianamente a Colui che amiamo, giungiamo ad apprezzare il fatto che le nostre vite non ci appartengono. Non siamo più noi che viviamo, ma Cristo vive in noi (cfr Gal 2,20).

Incarniamo questa compassione quando accompagniamo le persone, specialmente nei loro momenti di sofferenza e di prova, aiutandole a trovare Gesù. Padre Franco, grazie per aver messo questo aspetto in primo piano: ciascuno di noi è chiamato a essere un missionario, portando l’amore misericordioso di Cristo a tutti, specialmente a quanti si trovano alle periferie delle nostre società. Sono particolarmente grato perché in tanti modi molti di voi sono impegnati nei campi dell’impegno sociale, della sanità e dell’educazione, servendo alle necessità delle vostre comunità locali e dei tanti migranti e rifugiati che arrivano nel Paese. Il vostro servizio alla più ampia comunità umana, in particolare a coloro che si trovano maggiormente nel bisogno, è prezioso per edificare una cultura dell’incontro e della solidarietà.

La gioia della Chiesa. Infine, il Rosario ci riempie di gioia per il trionfo di Cristo sulla morte, la sua ascensione alla destra del Padre e l’effusione dello Spirito Santo sul mondo. Tutto il nostro ministero è volto a proclamare la gioia del Vangelo. Nella vita e nell’apostolato, siamo tutti ben consapevoli dei problemi del mondo e delle sofferenze dell’umanità, ma non perdiamo mai la fiducia nel fatto che la forza dell’amore di Cristo prevale sul male e sul Principe della menzogna, che cerca di trarci in inganno. Non lasciatevi mai scoraggiare dalle vostre mancanze o dalle sfide del ministero. Se rimanete solleciti verso il Signore nella preghiera e perseverate nell’offrire la compassione di Cristo ai vostri fratelli e sorelle, allora il Signore riempirà certamente i vostri cuori della confortante gioia del suo Santo Spirito.

Suor Mary Chandra, tu hai condiviso con noi la gioia che sgorga dalla tua vocazione religiosa e dal carisma della tua Congregazione. Marcelius, anche tu ci hai parlato dell’amore che tu e i tuoi compagni di seminario avete per la vocazione al sacerdozio. Entrambi ci avete ricordato che siamo chiamati tutti e quotidianamente a rinnovare e approfondire la nostra gioia nel Signore sforzandoci di imitarlo sempre più pienamente. All’inizio, questo può sembrare difficile, ma riempie i nostri cuori di gioia spirituale. Perché ogni giorno diventa un’opportunità per ricominciare, per rispondere di nuovo al Signore. Non scoraggiatevi mai, perché la pazienza del Signore è per la nostra salvezza (cfr 2 Pt 3,15). Rallegratevi nel Signore sempre!

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra fedeltà nel servire Cristo e la sua Chiesa attraverso il dono della vostra vita. Assicuro a tutti voi la mia preghiera e ve la chiedo per me. Rivolgiamoci ora alla Madonna, Regina del Santo Rosario, chiedendole che ottenga a tutti noi la grazia di crescere in santità e di essere testimoni sempre più gioiosi della forza del Vangelo, per portare guarigione, riconciliazione e pace al nostro mondo.

SALUTO DAVANTI ALLA CHIESA DEL SANTO ROSARIO

Vi saluto e vi ringrazio di questa gioia, di questa accoglienza. Grazie tante a voi. E vorrei chiedervi una cosa: pregate per me. Me lo promettete? [“Sì!”] Ah, bene. E vorrei darvi un suggerimento, voglio darvi un consiglio. La sera, prima di andare a dormire, pregate un’Ave Maria alla Vergine. Ogni notte, prima di andare a letto, pregare alla Madonna un’Ave Maria. Lo farete? [“Sì!”] 

E adesso preghiamo la Madonna tutti insieme. 

Ave o Maria, …

[Benedizione]

Thank you very much.

Incontro con i giovani nel Notre Dame College di Dhaka (sabato 2 dicembre)

Cari giovani, cari amici, buonasera!

Sono grato a tutti voi per la vostra calorosa accoglienza. Ringrazio Mons. Gervas [Rozario] per le sue gentili parole, Upasana e Anthony per le loro testimonianze. C’è qualcosa di unico nei giovani: voi siete sempre pieni di entusiasmo, sempre. E questo è bello. E io mi sento ringiovanire ogni volta che vi incontro. Upasana, tu hai parlato di questo nella tua testimonianza, hai detto di essere davvero “molto entusiasta”, e io posso vederlo e anche percepirlo. Questo entusiasmo giovanile si collega con lo spirito di avventura. Uno dei vostri poeti nazionali, Kazi Nazrul Islam, lo ha espresso, definendo la gioventù del Paese «impavida», «abituata a strappar fuori la luce dal ventre dell’oscurità». È bello questo! I giovani sono sempre pronti a proiettarsi in avanti, a far accadere le cose e a rischiare. Vi incoraggio ad andare avanti con questo entusiasmo nelle circostanze buone e in quelle cattive. Andare avanti, specialmente in quei momenti nei quali vi sentite oppressi dai problemi e dalla tristezza e, guardandovi intorno, sembra che Dio non appaia all’orizzonte.

Ma, andando in avanti, assicuratevi di scegliere la strada giusta. Cosa vuol dire? Vuol dire saper viaggiare nella vita, non girovagare senza meta. Io vi faccio una domanda: voi viaggiate o girovagate? Cosa fate, viaggiate o girovagate? La nostra vita non è senza direzione, ha uno scopo, uno scopo datoci da Dio. Egli ci guida, orientandoci con la sua grazia. È come se avesse posizionato dentro di noi un software, che ci aiuta a discernere il suo programma divino e a rispondergli nella libertà. Ma, come ogni software, anch’esso necessita di essere costantemente aggiornato. Tenete aggiornato il vostro programma, prestando ascolto al Signore e accettando la sfida di fare la sua volontà. Il software aggiornato. È un po’ triste quando il software non è aggiornato; ed è ancora più triste quando è guasto e non serve.

Anthony, hai fatto riferimento a questa sfida nella tua testimonianza, quando hai detto che siete uomini e donne che stanno «crescendo in un mondo fragile che reclama sapienza». Hai usato la parola “sapienza” e, così facendo, ci hai fornito la chiave. Quando si passa dal viaggiare al girovagare senza meta, tutta la sapienza è persa! La sola cosa che ci orienta e ci fa andare avanti sul giusto sentiero è la sapienza, la sapienza che nasce dalla fede. Non è la falsa sapienza di questo mondo. E’ la sapienza che si intravede negli occhi dei genitori e dei nonni, che hanno posto la loro fiducia in Dio. Come cristiani, possiamo vedere nei loro occhi la luce della presenza di Dio, la luce che hanno scoperto in Gesù, che è la sapienza stessa di Dio (cfr 1 Cor 1,24). Per ricevere questa sapienza dobbiamo guardare il mondo, le nostre situazioni, i nostri problemi, tutto con gli occhi di Dio. Riceviamo questa sapienza quando cominciamo a vedere le cose con gli occhi di Dio, ad ascoltare gli altri con gli orecchi di Dio, ad amare col cuore di Dio e a valutare le cose coi valori di Dio.

Questa sapienza ci aiuta a riconoscere e respingere le false promesse di felicità. Ce ne sono tante! Una cultura che fa false promesse non può liberare, porta solo a un egoismo che riempie il cuore di oscurità e amarezza. La sapienza di Dio, invece, ci aiuta a sapere come accogliere e accettare coloro che agiscono e pensano diversamente da noi. È triste quando cominciamo a chiuderci nel nostro piccolo mondo e ci ripieghiamo su noi stessi. Allora facciamo nostro il principio del “come dico io o arrivederci”. E questo è un cattivo principio: “O si fa come dico io o ciao, arrivederci”. Questo non aiuta. E quando usiamo questo principio rimaniamo intrappolati, chiusi in noi stessi. Quando un popolo, una religione o una società diventano un “piccolo mondo”, perdono il meglio che hanno e precipitano in una mentalità presuntuosa, quella dell’“io sono buono, tu sei cattivo”. Tu, Upasana, hai evidenziato le conseguenze di questo modo di pensare, quando hai detto: «Perdiamo la direzione e perdiamo noi stessi» e «la vita ci diventa insensata». Ha detto bene! La sapienza di Dio ci apre agli altri. Ci aiuta a guardare oltre le nostre comodità personali e le false sicurezze che ci fanno diventare ciechi davanti ai grandi ideali che rendono la vita più bella e degna di esser vissuta.

Sono contento che, insieme ai cattolici, ci siano con noi molti giovani amici musulmani e di altre religioni. Col trovarvi insieme qui oggi mostrate la vostra determinazione nel promuovere un clima di armonia, dove si tende la mano agli altri, malgrado le vostre differenze religiose. Questo mi ricorda un’esperienza che ebbi a Buenos Aires, in una nuova parrocchia situata in un’area estremamente povera. Un gruppo di studenti stava costruendo alcuni locali per la parrocchia e il sacerdote mi aveva invitato ad andare a trovarli. Così andai e quando arrivai in parrocchia il sacerdote me li presentò uno dopo l’altro, dicendo: «Questo è l’architetto, è ebreo, questo è comunista, questo è cattolico praticante» (Saluto ai giovani del Centro culturale P.F. Varela, L’Avana, 20 settembre 2015). Quegli studenti erano tutti diversi, ma stavano tutti lavorando per il bene comune. Questo è importante! Non dimenticatevi: diversi, ma lavorando per il bene comune, in armonia! Avete capito? Questa è l’armonia bella che si percepisce qui nel Bangladesh. Quegli studenti, diversi tra loro, erano aperti all’amicizia sociale e determinati a dire “no” a tutto ciò che avrebbe potuto distoglierli dal proposito di stare insieme e aiutarsi a vicenda.

La sapienza di Dio ci aiuta anche a guardare oltre noi stessi per riconoscere la bontà del nostro patrimonio culturale. La vostra cultura vi insegna a rispettare gli anziani. Questo è molto importante. Come ho detto prima, gli anziani ci aiutano ad apprezzare la continuità delle generazioni. Portano con sé la memoria e la sapienza esperienziale, che ci aiuta ad evitare di ripetere gli errori del passato. Gli anziani hanno “il carisma di colmare le distanze”, in quanto assicurano che i valori più importanti vengano tramandati ai figli e ai nipoti. Attraverso le loro parole, il loro amore, il loro affetto e la loro presenza, comprendiamo che la storia non è iniziata con noi, ma che siamo parte di un antico “viaggiare” e che la realtà è più grande di noi. Parlate con i vostri genitori e  i vostri nonni; non passate tutta la giornata col cellulare, ignorando il mondo attorno a voi! Parlate con i nonni, loro vi daranno sapienza.

Upasana e Anthony, avete concluso le vostre testimonianze con parole di speranza. La sapienza di Dio rafforza in noi la speranza e ci aiuta ad affrontare il futuro con coraggio. Noi cristiani troviamo questa speranza nell’incontro personale con Gesù nella preghiera e nei Sacramenti, e nell’incontro concreto con Lui nei poveri, nei malati, nei sofferenti e negli abbandonati. In Gesù scopriamo la solidarietà di Dio, che costantemente cammina al nostro fianco.

Cari giovani, cari amici, guardando i vostri volti sono pieno di gioia e di speranza: gioia e speranza per voi, per il vostro Paese, per la Chiesa e per le vostre comunità. Che la sapienza di Dio possa continuare a ispirare il vostro impegno a crescere nell’amore, nella fraternità e nella bontà. Lasciando il vostro Paese oggi, vi assicuro la mia preghiera perché tutti possiate continuare a crescere nell’amore di Dio e del prossimo. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Dio benedica il Bangladesh! [Isshór Bangladeshké ashirbád korún]