Cet Notizie
Discorsi nel viaggio in Armenia
Parole del Santo Padre ai giornalisti durante il volo da Roma a Yerevan
Sull’aereo che lo ha portato in Armenia, Papa Francesco come di consueto si è recato a salutare gli operatori dei media che lo accompagnano sul volo papale. Introdotto dalla presentazione del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, P. Federico Lombardi,il Papa ha risposto a due domande, il cui testo riportiamo di seguito:
Le due domande sono: una, a proposito del Suo Continente, cioè la buona notizia che abbiamo sentito ieri della Colombia, dell’andare avanti del processo di pace in Colombia; e la seconda è la notizia con cui ci siamo svegliati stamattina, invece, che riguarda il Continente europeo e l’esito di questo referendum [sulla “Brexit”]. Se Lei ci dice due battute su queste due cose, dopo La lasciamo fare i saluti che desidera…
Sulla prima domanda, io sono felice di questa notizia che mi è arrivata ieri: più di 50 anni di guerra, di guerriglia, tanto sangue versato… E’ stata una bella notizia e mi auguro che i Paesi che hanno lavorato per fare la pace e che danno la garanzia che questo vada avanti, “blindino” questo a tal punto che mai si possa tornare, né da dentro né da fuori, a uno stato di guerra. E tanti auguri per la Colombia che adesso fa questo passo.
Sul secondo, la seconda domanda: io ho saputo l’esito finale qui, sull’aereo, perché quando sono uscito da casa ho visto “Il Messaggero” e ancora non era definitivo. E’ stata la volontà espressa del popolo, e questo richiede a tutti noi una grande responsabilità per garantire il bene del popolo del Regno Unito e anche il bene e la convivenza di tutto il Continente europeo. Così io spero.
E grazie tante, e poi ci rivedremo nel viaggio al rientro. E grazie: grazie di nuovo.
Visita di preghiera alla Cattedrale Armeno-Apostolica della Santa Etchmiadzin (venerdì 24 giugno)
Con commozione ho varcato la soglia di questo luogo sacro, testimone della storia del vostro popolo, centro irradiante della sua spiritualità; e considero un prezioso dono di Dio potermi avvicinare al santo altare dal quale rifulse la luce di Cristo in Armenia. Saluto il Catholicos di Tutti gli Armeni, Sua Santità Karekin II, che ringrazio di cuore per il gradito invito a visitare la Santa Etchmiadzin, gli Arcivescovi e i Vescovi della Chiesa Apostolica Armena, e ringrazio tutti per la cordiale e gioiosa accoglienza che mi avete offerto. Grazie, Santità, per avermi accolto nella Sua casa; tale segno di amore dice in maniera eloquente, molto più delle parole, che cosa significhino l’amicizia e la carità fraterna.
In questa solenne occasione rendo grazie al Signore per la luce della fede accesa nella vostra terra, fede che ha conferito all’Armenia la sua peculiare identità e l’ha resa messaggera di Cristo tra le Nazioni. Cristo è la vostra gloria, la vostra luce, il sole che vi ha illuminato e vi ha donato una nuova vita, che vi ha accompagnato e sostenuto, specialmente nei momenti di maggiore prova. Mi inchino di fronte alla misericordia del Signore, che ha voluto che l’Armenia diventasse la prima Nazione, fin dall’anno 301, ad accogliere il Cristianesimo quale sua religione, in un tempo nel quale nell’impero romano ancora infuriavano le persecuzioni.
La fede in Cristo non è stata per l’Armenia quasi come un abito che si può indossare o togliere a seconda delle circostanze o delle convenienze, ma una realtà costitutiva della sua stessa identità, un dono di enorme portata da accogliere con gioia e da custodire con impegno e fortezza, a costo della stessa vita. Come scrisse san Giovanni Paolo II, «col “Battesimo” della comunità armena, […] nasce un’identità nuova del popolo, che diverrà parte costitutiva e inseparabile dello stesso essere armeno. Non sarà più possibile da allora pensare che, tra le componenti di tale identità, non figuri la fede in Cristo, come costitutivo essenziale» (Lett. ap. nel 1700° anniversario del battesimo del popolo armeno [2 febbraio 2001], 2). Voglia il Signore benedirvi per questa luminosa testimonianza di fede, che dimostra in modo esemplare la potente efficacia e fecondità del Battesimo ricevuto più di millesettecento anni fa con il segno eloquente e santo del martirio, che è rimasto un elemento costante della storia del vostro popolo.
Ringrazio il Signore anche per il cammino che la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena hanno compiuto attraverso un dialogo sincero e fraterno, al fine di giungere alla piena condivisione della Mensa eucaristica. Lo Spirito Santo ci aiuti a realizzare quell’unità per la quale pregò nostro Signore, affinché i suoi discepoli siano una cosa sola e il mondo creda. Mi è caro qui ricordare il decisivo impulso dato all’intensificazione dei rapporti e al rafforzamento del dialogo fra le nostre due Chiese nei tempi recenti dalle Loro Santità Vasken I e Karekin I, da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Tra le tappe particolarmente significative di questo impegno ecumenico ricordo la commemorazione dei Testimoni della fede del XX secolo, nel contesto del Grande Giubileo dell’anno 2000; la consegna a Vostra Santità della reliquia del Padre dell’Armenia cristiana san Gregorio l’Illuminatore per la nuova cattedrale di Yerevan; la Dichiarazione congiunta di Sua Santità Giovanni Paolo II e di Vostra Santità, sottoscritta proprio qui nella Santa Etchmiadzin; e le visite che Vostra Santità ha compiuto in Vaticano in occasione di importanti eventi e commemorazioni.
Il mondo è purtroppo segnato da divisioni e conflitti, come pure da gravi forme di povertà materiale e spirituale, compreso lo sfruttamento delle persone, persino di bambini e anziani, e attende dai cristiani una testimonianza di reciproca stima e fraterna collaborazione, che faccia risplendere davanti ad ogni coscienza la potenza e la verità della Risurrezione di Cristo. Il paziente e rinnovato impegno verso la piena unità, l’intensificazione delle iniziative comuni e la collaborazione tra tutti i discepoli del Signore in vista del bene comune, sono come luce fulgida in una notte oscura e un appello a vivere nella carità e nella mutua comprensione anche le differenze. Lo spirito ecumenico acquista un valore esemplare anche al di fuori dei confini visibili della comunità ecclesiale, e rappresenta per tutti un forte richiamo a comporre le divergenze con il dialogo e la valorizzazione di quanto unisce. Esso inoltre impedisce la strumentalizzazione e manipolazione della fede, perché obbliga a riscoprirne le genuine radici, a comunicare, difendere e propagare la verità nel rispetto della dignità di ogni essere umano e con modalità dalle quali traspaia la presenza di quell’amore e di quella salvezza che si vuole diffondere. Si offre in tal modo al mondo – che ne ha urgente bisogno – una convincente testimonianza che Cristo è vivo e operante, capace di aprire sempre nuove vie di riconciliazione tra le nazioni, le civiltà e le religioni. Si attesta e si rende credibile che Dio è amore e misericordia.
Cari fratelli, quando il nostro agire è ispirato e mosso dalla forza dell’amore di Cristo, si accrescono la conoscenza e la stima reciproche, si creano migliori condizioni per un cammino ecumenico fruttuoso e, nello stesso tempo, si mostra ad ogni persona di buona volontà e all’intera società una concreta via percorribile per armonizzare i conflitti che lacerano la vita civile e scavano divisioni difficili da sanare. Dio Onnipotente, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, per intercessione di Maria Santissima, di san Gregorio l’Illuminatore, “colonna di luce della Santa Chiesa degli Armeni”, e di san Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa, benedica tutti voi e l’intera Nazione Armena e la custodisca sempre nella fede che ha ricevuto dai padri e che ha gloriosamente testimoniato nel corso dei secoli.
Incontro con le Autorità Civili e con il Corpo Diplomatico nel Palazzo presidenziale (venerdì 24 giugno)
È per me motivo di grande gioia poter essere qui, toccare il suolo di questa terra armena tanto cara, fare visita ad un popolo dalle antiche e ricche tradizioni, che ha testimoniato con coraggio la sua fede, che ha molto sofferto, ma che è sempre tornato a rinascere.
«Il nostro cielo turchese, le acque chiare, il lago di luce, il sole d’estate e d’inverno la fiera borea, […] la pietra dei millenni, […] i libri incisi con lo stilo, divenuti preghiera» (Elise Ciarenz, Ode all’Armenia). Sono queste alcune immagini potenti che un vostro illustre poeta ci offre per illuminarci sulla profondità della storia e sulla bellezza della natura dell’Armenia. Esse racchiudono in poche espressioni l’eco e la densità dell’esperienza gloriosa e drammatica di un popolo e lo struggente amore per la sua Patria.
Le sono vivamente grato, Signor Presidente, per le gentili espressioni di benvenuto che Ella mi ha rivolto a nome del Governo e degli abitanti dell’Armenia, e per avermi offerto la possibilità, grazie al Suo cortese invito, di contraccambiare la visita da Lei compiuta l’anno scorso in Vaticano, quando presenziò alla solenne celebrazione nella Basilica di San Pietro, insieme alle Loro Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni, e Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni, recentemente scomparso. In quella occasione si è fatta memoria del centenario del Metz Yeghérn, il “Grande Male”, che colpì il vostro popolo e causò la morte di un’enorme moltitudine di persone. Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia in questo come negli altri – le grandi potenze guardavano da un’altra parte.
Rendo onore al popolo armeno, che, illuminato dalla luce del Vangelo, anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità. Questo rivela quanto profonde siano le radici della fede cristiana e quale infinito tesoro di consolazione e di speranza essa racchiude. Avendo davanti ai nostri occhi gli esiti nefasti a cui condussero nel secolo scorso l’odio, il pregiudizio e lo sfrenato desiderio di dominio, auspico vivamente che l’umanità sappia trarre da quelle tragiche esperienze l’insegnamento ad agire con responsabilità e saggezza per prevenire i pericoli di ricadere in tali orrori. Si moltiplichino perciò, da parte di tutti, gli sforzi affinché nelle controversie internazionali prevalgano sempre il dialogo, la costante e genuina ricerca della pace, la collaborazione tra gli Stati e l’assiduo impegno degli organismi internazionali, al fine di costruire un clima di fiducia propizio al raggiungimento di accordi duraturi, che guardino al futuro.
La Chiesa Cattolica desidera collaborare attivamente con tutti coloro che hanno a cuore le sorti della civiltà e il rispetto dei diritti della persona umana, per far prevalere nel mondo i valori spirituali, smascherando quanti ne deturpano il significato e la bellezza. A questo proposito, è di vitale importanza che tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio.
Oggi, in particolare i cristiani, come e forse più che al tempo dei primi martiri, sono in alcuni luoghi discriminati e perseguitati per il solo fatto di professare la loro fede, mentre troppi conflitti in varie aree del mondo non trovano ancora soluzioni positive, causando lutti, distruzioni e migrazioni forzate di intere popolazioni. È indispensabile perciò che i responsabili delle sorti delle nazioni intraprendano con coraggio e senza indugi iniziative volte a porre termine a queste sofferenze, facendo della ricerca della pace, della difesa e dell’accoglienza di coloro che sono bersaglio di aggressioni e persecuzioni, della promozione della giustizia e di uno sviluppo sostenibile i loro obiettivi primari. Il popolo armeno ha sperimentato queste situazioni in prima persona; conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione; conserva nella sua memoria non solo le ferite del passato, ma anche lo spirito che gli ha permesso, ogni volta, di ricominciare di nuovo. In tal senso, io lo incoraggio a non far mancare il suo prezioso contributo alla comunità internazionale.
Quest’anno ricorre il 25° anniversario dell’indipendenza dell’Armenia. È una felice circostanza per cui rallegrarsi e l’occasione per fare memoria dei traguardi raggiunti e per proporsi nuove mete a cui tendere. I festeggiamenti per questa lieta ricorrenza saranno tanto più significativi se diventeranno per tutti gli armeni, in Patria e nella diaspora, uno speciale momento nel quale raccogliere e coordinare le energie, allo scopo di favorire uno sviluppo civile e sociale del Paese, equo ed inclusivo. Si tratta di verificare costantemente che non si venga mai meno agli imperativi morali di eguale giustizia per tutti e di solidarietà con i deboli e i meno fortunati (cfr Giovanni Paolo II, Discorso di congedo dall’Armenia, 27 settembre 2001: Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 489). La storia del vostro Paese va di pari passo con la sua identità cristiana, custodita nel corso dei secoli. Tale identità cristiana, lungi dall’ostacolare la sana laicità dello Stato, piuttosto la richiede e la alimenta, favorendo la partecipe cittadinanza di tutti i membri della società, la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze. La coesione di tutti gli armeni, e l’accresciuto impegno per individuare strade utili a superare le tensioni con alcuni Paesi vicini, renderanno più agevole realizzare questi importanti obiettivi, inaugurando per l’Armenia un’epoca di vera rinascita.
La Chiesa Cattolica, da parte sua, pur essendo presente nel Paese con limitate risorse umane, è lieta di poter offrire il suo contributo alla crescita della società, particolarmente nella sua azione rivolta verso i più deboli e i più poveri, nei campi sanitario ed educativo, e in quello specifico della carità, come testimoniano l’opera svolta ormai da venticinque anni dall’ospedale “Redemptoris Mater” ad Ashotsk, l’attività dell’istituto educativo a Yerevan, le iniziative di Caritas Armenia e le opere gestite dalle Congregazioni religiose.
Dio benedica e protegga l’Armenia, terra illuminata dalla fede, dal coraggio dei martiri, dalla speranza più forte di ogni dolore.
Omelia nella Messa celebrata in Piazza Vartanants a Gyumri (sabato 25 giugno)
«Riedificheranno le rovine antiche, restaureranno le città desolate» (Is 61,4). In questi luoghi, cari fratelli e sorelle, possiamo dire che si sono realizzate le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato. Dopo le terribili devastazioni del terremoto, ci troviamo oggi qui a rendere grazie a Dio per tutto quanto è stato ricostruito.
Potremmo però anche domandarci: che cosa il Signore ci invita a costruire oggi nella vita, e soprattutto: su che cosa ci chiama a costruire la nostra vita? Vorrei proporvi, nel cercare di rispondere a questa domanda, tre basi stabili cu cui possiamo edificare e riedificare la vita cristiana, senza stancarci.
Il primo fondamento è la memoria. Una grazia da chiedere è quella di saper recuperare la memoria, la memoria di quello che il Signore ha compiuto in noi e per noi: richiamare alla mente che, come dice il Vangelo odierno, Egli non ci ha dimenticato, ma «si è ricordato» (Lc 1,72) di noi: ci ha scelti, amati, chiamati e perdonati; ci sono stati grandi avvenimenti nella nostra personale storia di amore con Lui, che vanno ravvivati con la mente e con il cuore. Ma c’è anche un’altra memoria da custodire: la memoria del popolo. I popoli hanno infatti una memoria, come le persone. E la memoria del vostro popolo è molto antica e preziosa. Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli. Anche fra tremende avversità, potremmo dire con il Vangelo di oggi, il Signore ha visitato il vostro popolo (cfr Lc 1,68): si è ricordato della vostra fedeltà al Vangelo, della primizia della vostra fede, di tutti coloro che hanno testimoniato, anche a costo del sangue, che l’amore di Dio vale più della vita (cfr Sal 63,4). È bello per voi poter ricordare con gratitudine che la fede cristiana è diventata il respiro del vostro popolo e il cuore della sua memoria.
La fede è anche la speranza per il vostro avvenire, la luce nel cammino della vita, ed è il secondo fondamento di cui vorrei parlarvi. C’è sempre un pericolo, che può far sbiadire la luce della fede: è la tentazione di ridurla a qualcosa del passato, a qualcosa di importante ma che appartiene ad altri tempi, come se la fede fosse un bel libro di miniature da conservare in un museo. Tuttavia, se rinchiusa negli archivi della storia, la fede perde la sua forza trasformante, la sua bellezza vivace, la sua positiva apertura verso tutti. La fede, invece, nasce e rinasce dall’incontro vivificante con Gesù, dall’esperienza della sua misericordia che dà luce a tutte le situazioni della vita. Ci farà bene ravvivare ogni giorno questo incontro vivo con il Signore. Ci farà bene leggere la Parola di Dio e aprirci nella preghiera silenziosa al suo amore. Ci farà bene lasciare che l’incontro con la tenerezza del Signore accenda la gioia nel cuore: una gioia più grande della tristezza, una gioia che resiste anche di fronte al dolore, trasformandosi in pace. Tutto questo rinnova la vita, la rende libera e docile alle sorprese, pronta e disponibile per il Signore e per gli altri. Può succedere anche che Gesù chiami a seguirlo più da vicino, a donare la vita a Lui e ai fratelli: quando invita, specialmente voi giovani, non abbiate paura, ditegli di “sì”! Egli ci conosce, ci ama davvero, e desidera liberare il cuore dai pesi del timore e dell’orgoglio. Facendo spazio a Lui, diventiamo capaci di irradiare amore. Potrete in questo modo dar seguito alla vostra grande storia di evangelizzazione, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno in questi tempi tribolati, che sono però anche i tempi della misericordia.
Il terzo fondamento, dopo la memoria e la fede, è proprio l’amore misericordioso: è su questa roccia, sulla roccia dell’amore ricevuto da Dio e offerto al prossimo, che si basa la vita del discepolo di Gesù. Ed è vivendo la carità che il volto della Chiesa ringiovanisce e diventa attraente. L’amore concreto è il biglietto da visita del cristiano: altri modi di presentarsi possono essere fuorvianti e persino inutili, perché da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli: se abbiamo amore gli uni per gli altri (cfr Gv 13,35). Siamo chiamati anzitutto a costruire e ricostruire vie di comunione, senza mai stancarci, a edificare ponti di unione e a superare le barriere di separazione. Che i credenti diano sempre l’esempio, collaborando tra di loro nel rispetto reciproco e nel dialogo, sapendo che «l’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande!» (Giovanni Paolo II, Omelia, 27 settembre 2001: Insegnamenti XXIV,2 [2001], 478).
Il profeta Isaia, nella prima lettura, ci ha ricordato che lo spirito del Signore è sempre con chi porta il lieto annuncio ai miseri, fascia le piaghe dei cuori spezzati e consola gli afflitti (cfr 61,1-2). Dio dimora nel cuore di chi ama; Dio abita dove si ama, specialmente dove ci si prende cura, con coraggio e compassione, dei deboli e dei poveri. C’è tanto bisogno di questo: c’è bisogno di cristiani che non si lascino abbattere dalle fatiche e non si scoraggino per le avversità, ma siano disponibili e aperti, pronti a servire; c’è bisogno di uomini di buona volontà, che di fatto e non solo a parole aiutino i fratelli e le sorelle in difficoltà; c’è bisogno di società più giuste, nelle quali ciascuno possa avere una vita dignitosa e in primo luogo un lavoro equamente retribuito.
Potremmo però chiederci: come si può diventare misericordiosi, con tutti i difetti e le miserie che ciascuno vede dentro di sé e attorno a sé? Vorrei ispirarmi a un esempio concreto, ad un grande araldo della misericordia divina, che ho voluto proporre all’attenzione di tutti annoverandolo tra i Dottori della Chiesa universale: san Gregorio di Narek, parola e voce dell’Armenia. È difficile trovare qualcuno pari a lui nello scandagliare le abissali miserie che si possono annidare nel cuore dell’uomo. Egli, però, ha sempre posto in dialogo le miserie umane e la misericordia di Dio, elevando un’accorata supplica fatta di lacrime e fiducia al Signore, «datore dei doni, bontà per natura […], voce di consolazione, notizia di conforto, slancio di gioia, […] tenerezza impareggiabile, misericordia traboccante, […] bacio salvifico» (Libro delle lamentazioni, 3,1), nella certezza che «mai è adombrata dalle tenebre della rabbia la luce della [sua] misericordia» (ibid., 16,1). Gregorio di Narek è un maestro di vita, perché ci insegna che è anzitutto importante riconoscerci bisognosi di misericordia e poi, di fronte alle miserie e alle ferite che percepiamo, non chiuderci in noi stessi, ma aprirci con sincerità e fiducia al Signore, «Dio vicino, tenerezza di bontà» (ibid., 17,2), «pieno d’amore per l’uomo, […] fuoco che consuma la sterpaglia del peccato» (ibid., 16,2).
Con le sue parole vorrei infine invocare la misericordia divina e il dono di non stancarci mai di amare: Spirito Santo, «potente protettore, intercessore e pacificatore, noi ti rivolgiamo le nostre suppliche […] Accordaci la grazia di incoraggiarci alla carità e alle opere buone […] Spirito di dolcezza, di compassione, di amore per l’uomo e di misericordia, […] Tu che non sei altro che misericordia, […] abbi pietà di noi, Signore nostro Dio, secondo la tua grande misericordia» (Inno di Pentecoste).
Al termine di questa Celebrazione desidero esprimere viva gratitudine al Catholicos Karekin II e all’Arcivescovo Minassian per le cortesi parole che mi hanno rivolto, come pure al Patriarca Ghabroyan e ai Vescovi presenti, ai sacerdoti e alle Autorità che ci hanno accolto.
Ringrazio tutti voi che avete partecipato, giungendo a Gyumri anche da diverse regioni e dalla vicina Georgia. Vorrei in particolare salutare chi, con tanta generosità e amore concreto, aiuta quanti si trovano nel bisogno. Penso soprattutto all’ospedale di Ashotsk, inaugurato venticinque anni fa e conosciuto come l’“Ospedale del Papa”: nato dal cuore di san Giovanni Paolo II, è ancora una presenza tanto importante e vicina a chi soffre; penso alle opere portate avanti dalla comunità cattolica locale, dalle Suore Armene dell’Immacolata Concezione e delle Missionarie della Carità della beata Madre Teresa di Calcutta.
La Vergine Maria, nostra Madre, vi accompagni sempre e guidi i passi di tutti sulla via della fraternità e della pace.
Incontro ecumenico e preghiera per la pace (Yerevan, Piazza della Repubblica, sabato 25 giugno)
la benedizione e la pace di Dio siano con tutti voi!
Ho tanto desiderato visitare questa terra amata, il vostro Paese che per primo abbracciò la fede cristiana. È una grazia per me trovarmi su queste alture, dove, sotto lo sguardo del monte Ararat, anche il silenzio sembra parlarci; dove i khatchkar – le croci di pietra – raccontano una storia unica, intrisa di fede rocciosa e di sofferenza immane, una storia ricca di magnifici testimoni del Vangelo, di cui voi siete gli eredi. Sono venuto pellegrino da Roma per incontrarvi e per esprimervi un sentimento che sale dalle profondità del cuore: è l’affetto del vostro fratello, è l’abbraccio fraterno della Chiesa Cattolica intera, che vi vuole bene e vi è vicina.
Negli anni scorsi le visite e gli incontri tra le nostre Chiese, sempre tanto cordiali e spesso memorabili, si sono, grazie a Dio, intensificati; la Provvidenza vuole che, proprio nel giorno in cui qui si ricordano i santi Apostoli di Cristo, siamo nuovamente insieme per rinforzare la comunione apostolica fra di noi. Sono molto grato a Dio per la «reale ed intima unità» fra le nostre Chiese (cfr Giovanni Paolo II, Celebrazione ecumenica, Yerevan, 26 settembre 2001: Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 466) e vi ringrazio per la vostra fedeltà al Vangelo, spesso eroica, che è un dono inestimabile per tutti i cristiani. Il nostro ritrovarci non è uno scambio di idee, è uno scambio di doni (cfr Id., Lett. enc. Ut unum sint, 28): raccogliamo quello che lo Spirito ha seminato in noi, come un dono per ciascuno (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 246). Condividiamo con grande gioia i tanti passi di un cammino comune già molto avanzato, e guardiamo davvero con fiducia al giorno in cui, con l’aiuto di Dio, saremo uniti presso l’altare del sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica. Verso quella meta tanto desiderata «siamo pellegrini, e peregriniamo insieme […] affidando il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze» (ibid., 244).
In questo tragitto ci precedono e accompagnano molti testimoni, in particolare i tanti martiri che hanno sigillato col sangue la comune fede in Cristo: sono le nostre stelle in cielo, che risplendono su di noi e indicano il cammino che ci resta da percorrere in terra, verso la comunione piena. Tra i grandi Padri, vorrei riferirmi al santo Catholicos Nerses Shnorhali. Egli nutriva un amore grande e straordinario nei confronti del suo popolo e delle sue tradizioni, ed era al contempo proteso verso le altre Chiese, instancabile nella ricerca dell’unità, desideroso di attuare la volontà di Cristo: che i credenti «siano una sola cosa» (Gv 17,21). L’unità non è infatti un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse, ma quello che Gesù ci chiede e che sta a noi adempiere con la buona volontà e con tutte le forze, per realizzare la nostra missione: donare al mondo, con coerenza, il Vangelo.
Per realizzare la necessaria unità non basta, secondo san Nerses, la buona volontà di qualcuno nella Chiesa: è indispensabile la preghiera di tutti. È bello essere qui radunati per pregare gli uni per gli altri, gli uni con gli altri. Ed è anzitutto il dono della preghiera che io sono venuto stasera a domandarvi. Da parte mia, vi assicuro che, nell’offrire il Pane e il Calice all’altare, non manco di presentare al Signore la Chiesa di Armenia e il vostro caro popolo.
San Nerses avvertiva il bisogno di accrescere l’amore reciproco, perché solo la carità è in grado di sanare la memoria e guarire le ferite del passato: solo l’amore cancella i pregiudizi e permette di riconoscere che l’apertura al fratello purifica e migliora le proprie convinzioni. Per quel santo Catholicos, nel cammino verso l’unità è essenziale imitare lo stile dell’amore di Cristo, che «da ricco che era» (2 Cor 8,9), «umiliò sé stesso» (Fil 2,8). Sul suo esempio, siamo chiamati ad avere il coraggio di lasciare i convincimenti rigidi e gli interessi propri, in nome dell’amore che si abbassa e si dona, in nome dell’amore umile: esso è l’olio benedetto della vita cristiana, l’unguento spirituale prezioso che risana, fortifica e santifica. «Alle mancanze suppliamo con carità unanime», scriveva san Nerses (Lettere del signore Nerses Shnorhali, Catholicos degli Armeni, Venezia 1873, 316), e persino – faceva intendere – con una particolare dolcezza d’amore, che ammorbidisca la durezza dei cuori dei cristiani, anch’essi non di rado ripiegati su sé stessi e sui propri tornaconti. Non i calcoli e i vantaggi, ma l’amore umile e generoso attira la misericordia del Padre, la benedizione di Cristo e l’abbondanza dello Spirito Santo. Pregando e «amandoci intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (cfr 1 Pt 1,22), con umiltà e apertura d’animo disponiamoci a ricevere il dono divino dell’unità. Proseguiamo il nostro cammino con determinazione, anzi corriamo verso la piena comunione tra noi!
«Vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Abbiamo ascoltato queste parole del Vangelo, che ci dispongono a implorare da Dio quella pace che il mondo tanto fatica a trovare. Quanto sono grandi oggi gli ostacoli sulla via della pace, e quanto tragiche le conseguenze delle guerre! Penso alle popolazioni costrette ad abbandonare tutto, in particolare in Medio Oriente, dove tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione, a causa dell’odio e di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di armi, dalla tentazione di ricorrere alla forza e dalla mancanza di rispetto per la persona umana, specialmente per i deboli, per i poveri e per coloro che chiedono solo una vita dignitosa.
Non riesco a non pensare alle prove terribili che il vostro popolo ha sperimentato: un secolo è appena passato dal “Grande Male” che si è abbattuto sopra di voi. Questo «immane e folle sterminio» (Saluto all’inizio della Santa Messa per i fedeli di rito armeno, 12 aprile 2015), questo tragico mistero di iniquità che il vostro popolo ha provato nella sua carne, rimane impresso nella memoria e brucia nel cuore. Voglio ribadire che le vostre sofferenze ci appartengono: «sono le sofferenze delle membra del Corpo mistico di Cristo» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica in occasione del 1700° anniversario del Battesimo del Popolo armeno: InsegnamentiXXIV, 1 [2001], 275); ricordarle non è solo opportuno, è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori!
Desidero, al tempo stesso, ricordare con ammirazione come la fede cristiana, «anche nei momenti più tragici della storia armena, è stata la molla propulsiva che ha segnato l’inizio della rinascita del popolo provato» (ibid., 276). Essa è la vostra vera forza, che permette di aprirsi alla via misteriosa e salvifica della Pasqua: le ferite rimaste aperte e causate dall’odio feroce e insensato, possono in qualche modo conformarsi a quelle di Cristo risorto, a quelle ferite che gli furono inferte e che porta ancora impresse nella sua carne. Egli le mostrò gloriose ai discepoli la sera di Pasqua (cfr Gv 20,20): quelle terribili piaghe di dolore patite sulla croce, trasfigurate dall’amore, sono divenute sorgenti di perdono e di pace. Così, anche il dolore più grande, trasformato dalla potenza salvifica della Croce, di cui gli Armeni sono araldi e testimoni, può diventare un seme di pace per il futuro.
La memoria, attraversata dall’amore, diventa infatti capace di incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti, dove le trame di odio si volgono in progetti di riconciliazione, dove si può sperare in un avvenire migliore per tutti, dove sono «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Farà bene a tutti impegnarsi per porre le basi di un futuro che non si lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta; un futuro, dove non ci si stanchi mai di creare le condizioni per la pace: un lavoro dignitoso per tutti, la cura dei più bisognosi e la lotta senza tregua alla corruzione, che va estirpata.
Cari giovani, questo futuro vi appartiene, ma facendo tesoro della grande saggezza dei vostri anziani. Ambite a diventare costruttori di pace: non notai dello status quo, ma promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione. Dio benedica il vostro avvenire e «conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh» (Messaggio agli Armeni, 12 aprile 2015).
In quest’ottica vorrei infine evocare un altro grande testimone e artefice della pace di Cristo, san Gregorio di Narek, che ho proclamato Dottore della Chiesa. Egli potrebbe essere definito anche “Dottore della pace”. Così ha scritto in quello straordinario Libroche mi piace pensare come la “costituzione spirituale del popolo armeno”: «Ricordati, [Signore,…] di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia. […] Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (Libro delle Lamentazioni, 83,1-2). Narek, «partecipe profondamente consapevole di ogni necessità» (ibid., 3,2), ha voluto persino identificarsi con i deboli e i peccatori di ogni tempo e luogo, per intercedere a favore di tutti (cfr ibid., 31,3; 32,1; 47,2): si è fatto «l’offripreghiera di tutto il mondo» (ibid., 28,2). Questa sua solidarietà universale con l’umanità è un grande messaggio cristiano di pace, un grido accorato che implora misericordia per tutti. Gli Armeni, presenti in tanti Paesi e che desidero da qui abbracciare fraternamente, siano messaggeri di questo anelito di comunione. Il mondo intero ha bisogno di questo vostro annuncio, ha bisogno della vostra presenza, ha bisogno della vostra testimonianza più pura. Pace a voi!
Partecipazione alla Divina Liturgia nella Cattedrale armeno-apostolica (Etchmiadzin, domenica 26 giugno)
al culmine di questa visita tanto desiderata e per me già indimenticabile, desidero elevare al Signore la mia gratitudine, che unisco al grande inno di lode e di ringraziamento salito da questo altare. Vostra Santità, in questi giorni, mi ha aperto le porte della Sua casa e abbiamo sperimentato «come è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme» (Sal 133,1). Ci siamo incontrati, ci siamo abbracciati fraternamente, abbiamo pregato insieme, abbiamo condiviso i doni, le speranze e le preoccupazioni della Chiesa di Cristo, di cui avvertiamo all’unisono i battiti del cuore, e che crediamo e sentiamo una. «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza […]; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6): possiamo davvero fare nostre con gioia queste parole dell’apostolo Paolo! È proprio nel segno dei santi Apostoli che ci siamo incontrati. I santi Bartolomeo e Taddeo, che proclamarono per la prima volta il Vangelo in queste terre, e i santi Pietro e Paolo, che diedero la vita per il Signore a Roma, mentre regnano con Cristo in cielo, certamente si rallegrano nel vedere il nostro affetto e la nostra aspirazione concreta alla piena comunione. Di tutto ciò ringrazio il Signore, per voi e con voi: Gloria a Dio!
In questa Divina Liturgia il solenne canto del trisagio si è elevato al cielo, inneggiando alla santità di Dio; scenda copiosa la benedizione dell’Altissimo in terra, per l’intercessione della Madre di Dio, dei grandi santi e dottori, dei martiri, specialmente dei tanti martiri che in questo luogo avete canonizzato lo scorso anno. “L’Unigenito che qui discese” benedica il nostro cammino. Lo Spirito Santo faccia dei credenti un cuore solo e un’anima sola: venga a rifondarci nell’unità. Per questo vorrei nuovamente invocarlo, facendo mie alcune splendide parole che sono entrate nella vostra Liturgia. Vieni, o Spirito, Tu «che con gemiti incessanti sei il nostro intercessore presso il Padre misericordioso, Tu che custodisci i santi e purifichi i peccatori»; effondi su di noi il tuo fuoco di amore e unità, e «vengano sciolti da questo fuoco i motivi del nostro scandalo» (Gregorio di Narek, Libro delle Lamentazioni, 33, 5), anzitutto la mancanza di unità tra i discepoli di Cristo.
La Chiesa armena cammini in pace e la comunione tra noi sia piena. In tutti sorga un forte anelito all’unità, a un’unità che non deve essere «né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo» (Parole del Santo Padre nella Divina Liturgia, Chiesa Patriarcale di San Giorgio, Istanbul, 30 novembre 2014).
Accogliamo il richiamo dei santi, ascoltiamo la voce degli umili e dei poveri, delle tante vittime dell’odio, che hanno sofferto e sacrificato la vita per la fede; tendiamo l’orecchio alle giovani generazioni, che implorano un futuro libero dalle divisioni del passato. Da questo luogo santo si diffonda nuovamente una luce radiosa; a quella della fede, che da san Gregorio, vostro padre secondo il Vangelo, ha illuminato queste terre, si unisca la luce dell’amore che perdona e riconcilia.
Come gli Apostoli il mattino di Pasqua, nonostante i dubbi e le incertezze, corsero verso il luogo della risurrezione, attirati dall’alba felice di una speranza nuova (cfr Gv 20,3-4), così anche noi, in questa santa domenica, seguiamo la chiamata di Dio alla piena comunione e acceleriamo il passo verso di essa.
Ed ora, Santità, in nome di Dio, Vi chiedo di benedirmi, di benedire me e la Chiesa Cattolica, di benedire questa nostra corsa verso la piena unità.
Dichiarazione comune di Papa Francesco e sua santità Karekin II
Oggi nella Santa Etchmiadzin, centro spirituale di Tutti gli Armeni, noi, Papa Francesco e Karekin II, Catholicos di Tutti gli Armeni, eleviamo le nostre menti e i nostri cuori nel ringraziare l’Onnipotente per la continua e crescente vicinanza nella fede e nell’amore tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica nella loro comune testimonianza al messaggio del Vangelo in un mondo lacerato da conflitti e desideroso di conforto e speranza. Lodiamo la Santissima Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, per averci consentito di venire nella biblica terra dell’Ararat, che si erge come a ricordarci che Dio sarà sempre la nostra protezione e salvezza. Siamo spiritualmente compiaciuti di ricordare che nel 2001, in occasione del 1700° anniversario della proclamazione del Cristianesimo quale religione dell’Armenia, san Giovanni Paolo II visitò l’Armenia e fu testimone di una nuova pagina delle calorose e fraterne relazioni tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica. Siamo grati di aver avuto la grazia di essere insieme in una solenne liturgia nella Basilica di San Pietro a Roma il 12 aprile 2015, nella quale ci siamo impegnati ad opporci ad ogni forma di discriminazione e violenza, e abbiamo commemorato le vittime di quello che la Dichiarazione Comune di Sua Santità Giovanni Paolo II e Sua Santità Karekin II menzionò quale «lo sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (27 settembre 2001).
Lodiamo il Signore per il fatto che oggi la fede cristiana è di nuovo una vibrante realtà in Armenia, e che la Chiesa Armena porta avanti la sua missione con uno spirito di fraterna collaborazione tra le Chiese, sostenendo i fedeli nel costruire un mondo di solidarietà, di giustizia e di pace.
Tuttavia, siamo purtroppo testimoni di un’immensa tragedia che avviene davanti ai nostri occhi: di innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da continui conflitti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo. Ne consegue che le minoranze etniche e religiose sono diventate l’obiettivo di persecuzioni e di trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell’appartenenza ad una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana. I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un “ecumenismo del sangue” che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo. Insieme preghiamo, per intercessione dei santi Apostoli Pietro e Paolo, Taddeo e Bartolomeo, per un cambiamento del cuore in tutti quelli che commettono tali crimini e in coloro che sono in condizione di fermare la violenza. Imploriamo i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani, che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi. Purtroppo assistiamo a una presentazione della religione e dei valori religiosi in un modo fondamentalistico, che viene usato per giustificare la diffusione dell’odio, della discriminazione e della violenza. La giustificazione di tali crimini sulla base di idee religiose è inaccettabile, perché «Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14,33). Inoltre, il rispetto per le differenze religiose è la condizione necessaria per la pacifica convivenza di diverse comunità etniche e religiose. Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace. A questo proposito esprimiamo anche la nostra speranza per una soluzione pacifica delle questioni riguardanti il Nagorno-Karabakh.
Memori di quanto Gesù insegnò ai suoi discepoli quando disse: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36), chiediamo ai fedeli delle nostre Chiese di aprire i loro cuori e le loro mani alle vittime della guerra e del terrorismo, ai rifugiati e alle loro famiglie. E’ in gioco il senso stesso della nostra umanità, della nostra solidarietà, compassione e generosità, che può essere espresso in modo appropriato solamente mediante un immediato e pratico impiego di risorse. Riconosciamo che tutto ciò è già stato fatto, ma ribadiamo che molto di più si richiede da parte dei responsabili politici e della comunità internazionale al fine di assicurare il diritto di tutti a vivere in pace e sicurezza, per sostenere lo stato di diritto, per proteggere le minoranze religiose ed etniche, per combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani.
La secolarizzazione di ampi settori della società, la sua alienazione da ciò che è spirituale e divino, conduce inevitabilmente ad una visione desacralizzata e materialistica dell’uomo e della famiglia umana. A questo riguardo siamo preoccupati per la crisi della famiglia in molti Paesi. La Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica condividono la medesima visione della famiglia, basata sul matrimonio, atto di gratuità e di amore fedele tra un uomo e una donna.
Siamo lieti di confermare che, nonostante le persistenti divisioni tra Cristiani, abbiamo compreso più chiaramente che ciò che ci unisce è molto più di quello che ci divide. Questa è la solida base sulla quale l’unità della Chiesa di Cristo sarà resa manifesta, secondo le parole del Signore: «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Nei decenni scorsi le relazioni tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica sono entrate con successo in una nuova fase, fortificate dalle nostre preghiere reciproche e dal nostro comune impegno nel superare le sfide attuali. Oggi siamo convinti dell’importanza cruciale di sviluppare queste relazioni, intraprendendo una profonda e più decisiva collaborazione non solo in campo teologico, ma anche nella preghiera e in un’attiva cooperazione a livello delle comunità locali, nella prospettiva di condividere una piena comunione ed espressioni concrete di unità. Esortiamo i nostri fedeli a lavorare in armonia per promuovere nella società i valori cristiani, che contribuiscono efficacemente alla costruzione di una civiltà di giustizia, di pace e di solidarietà umana. La via della riconciliazione e della fraternità è aperta davanti a noi. Lo Spirito Santo, che ci guida alla verità tutta intera (cfr Gv 16,13), sostenga ogni genuino sforzo per costruire ponti di amore e di comunione tra noi.
Dalla Santa Etchmiadzin invitiamo tutti i nostri fedeli ad unirsi a noi in preghiera, con le parole di san Nerses il Grazioso: «Glorioso Signore, accetta le suppliche dei Tuoi servi, e benevolmente esaudisci le nostre richieste, per intercessione della Santa Madre di Dio, di san Giovanni Battista, di santo Stefano Protomartire, di san Gregorio l’Illuminatore, dei santi Apostoli, dei Profeti, dei Santi “Divini”, dei Martiri, dei Patriarchi, degli Eremiti, delle Vergini e di tutti i Tuoi santi in cielo e sulla terra. E a Te, o indivisibile Santa Trinità, sia gloria e lode nei secoli dei secoli. Amen”.
Santa Etchmiadzin, 26 giugno 2016
Sua Santità Karekin II |
Conferenza stampa del Papa sul volo di ritorno da Yerevan
Nella serata di ieri, durante il volo che da Yerevan lo riportava a Roma al termine della Visita in Armenia, Papa Francesco ha incontrato i giornalisti a bordo dell’aereo in una conferenza stampa, la cui trascrizione pubblichiamo di seguito: