Lettere in redazione
Diritto internazionale, due pesi e due misure
Pienamente condivisibili gli articoli di Franco Vaccari (Libia, le troppe contraddizioni della «legalità internazionale») e di Romanello Cantini (Libia, non è così che si fa «ingerenza umanitaria») su Toscana Oggi del 27 marzo 2011. Finalmente qualcuno che parla chiaro. Il Presidente Napolitano (sostenitore dell’intervento umanitario dei Paesi fratelli chi ha la mia età non ha certo dimenticato il sostegno dato all’Unione Sovietica nel ’56 all’invasione dell’Ungheria ) va ripetendo ogni giorno che l’Onu sta facendo pienamente il suo dovere «fraterno» per evitare un genocidio.
Ma il presidente Napolitano, l’Onu e la Corte internazionale dell’Aja dov’erano quando, dopo un anno di balle colossali, gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra (i soliti noti) e via via tanti altri hanno invaso l’Iraq provocando migliaia di morti? Dov’erano costoro quando l’America e tutti gli altri dopo aver ammesso che di mistificazioni si trattava, hanno continuato imperterriti la guerra per accaparrarsi il petrolio iracheno? Nei loro confronti sono state proposte forse sanzioni, embarghi o processi davanti alla Corte Internazionale dell’Aja?
Ma il Presidente Napolitano, l’Onu e la Corte Internazionale dell’Aja dov’erano quando i soliti noti hanno iniziato una lunga guerra in Afghanistan (4 morti civili al giorno secondo le ultime statistiche) con il pretesto di catturare Bin Laden che in quel Paese non c’è mai stato?
Mi sembra che le guerre non ci abbiano insegnato nulla. Anche l’Italia a cavallo dei due secoli giustificava il suo intervento in Africa con la scusa della liberazione di quei popoli dalla schiavitù; salvo poi mandare a capo delle «truppe liberatrici» ufficiali come il Maresciallo Graziani e tutti sappiamo con quali risultati. Obama, che delusione! Cambiando il colore della pelle del Presidente Usa, non è cambiato assolutamente nulla nella politica estera americana. Anche l’Europa, che delusione! La Francia e la Spagna hanno chiuso le frontiere per impedire l’accesso ai migranti (gli altri fanno orecchi da mercante). Dove sono il Presidente Barroso e la Commissione Europea le cui principali attività in questi anni sono state quelle di accusare l’Italia di razzismo nei confronti degli extracomunitari? Non risulta che abbiano emesso comunicati di dura condanna.
Sull’intervento militare dei «volenterosi» contro il regime di Gheddafi abbiamo espresso fin dall’inizio tutte le nostre riserve e perplessità, perché rimaniamo convinti che con le bombe non si costruisce mai la pace. Ne è una riprova che ad un mese dall’inizio dell’intervento, Gheddafi è ancora al suo posto, Misurata è sempre stretta d’assedio, i civili continuano a morire e non si vedono concrete vie d’uscita. Però dobbiamo anche riconoscere che il «caso Libia» è particolarmente complesso. Il 17 marzo, quando il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato la risoluzione n. 1973 che autorizzava l’uso della forza per imporre la «no-fly zone», le truppe di Gheddafi stavano lanciando l’attacco definitivo a Bengasi e alle altre città in mano ai ribelli con la prospettiva concreta di un più che probabile bagno di sangue. C’era quindi l’urgenza di fare subito qualcosa. Certo, sarebbe stato meglio che la Comunità internazionale avvesse avuto la forza e la lungimiranza di prevenire gli eventi, di favorire un dialogo tra le varie fazioni libiche, di aiutare una transizione pacifica. Ma non potevamo nasconderci dietro a quello che sarebbe stato opportuno e non è avvenuto, per restare immobili a guardare un massacro. Che detto per inciso è quello che è avvenuto tante volte in passato e ad ogni latitudine. Da qui il disagio di tanti cattolici (Attacco alla Libia, i dubbi dei cattolici) che pur non condividendo le modalità dell’operazione (specie nella prima fase di «interventismo» francese) e vedendone tutte le insidie, non se la sentivano però di sposare neanche la posizione diametralmente opposta: che sarebbe stato meglio rimanere ignavi a guardare o peggio ancora aiutare Gheddafi a riprendersi il potere.