Se la tecnologia, e in particolare, la rivoluzione digitale modifica anche il modo di pensare le cose, ciò non finirà per riguardare anche, in qualche modo, la fede?. A chiederselo è stato padre Antonio Spadaro, redattore di Civiltà cattolica, intervenendo oggi al seminario Diocesi in rete, in corso a Roma fino a domani. Per rispondere, il relatore si è soffermato sulla differente accezione che, nei due rispettivi ambiti quello tecnologico e quello informativo, i quali appaiono completamente distinti e separati – assumono tre termini: salvezza, conversione, giustificazione. Salvare qualcosa nel mondo digitale ha detto il relatore significa salvarla dall’oblio, dalla dimenticanza, dalla cancellazione. Salvare in senso teologico significa salvarla dalla dannazione, dalla condanna. Il perdono è salvezza da una condanna. Salvezza e perdono sono termini che si richiamano a vicenda. La salvezza digitale, il salvataggio, cioè, invece è l’esatto opposto della cancellazione. Se un file è salvato, tutto, anche gli errori restano fissati, non dimenticati. La salvezza digitale cancella l’oblio, e oggi la rete è diventata il luogo in cui l’oblio è impossibile, il luogo in cui le nostre tracce restano potenzialmente incancellabili. Se ci volessimo reinventare una nuova vita le tracce del nostro passato sarebbero sempre lì alla portata del vicino di casa. Stessa cosa per la conversione: Convertire un file ha ricordato padre Spadaro significa sostanzialmente mutarlo in un altro formato. E’ una questione di codice, e dunque di linguaggio. La conversione digitale è una sorta di traduzione, che si fa quando non posso relazionarmi ai dati contenuti perché non riesco a decifrarli e dunque ho bisogno di convertirli in un formato che mi permetta di entrare con essi in relazione. Bastano questi accenni per capire che la rete e la cultura del cyberspazio pongono obiettivamente nuove sfide alla nostra capacità di formulare e ascoltare un linguaggio simbolico pubblico che parli della possibilità e dei segni della trascendenza nella nostra vita. La logica della rete implica che la conoscenza passa per la relazione, ha affermato il relatore soffermandosi sulla necessità, anche per i credenti, di aprirsi alla logica dei social network, a patto però che essi vengano intesi come spazi di condivisione, partendo dalla consapevolezza che la fede non è fatta soltanto di informazioni, né la Chiesa è luogo di mera trasmissione, cioè non è una pura emittente. Determinante, in questa prospettiva, è la categoria e la prassi della testimonianza. La Chiesa in rete, ha concluso dunque Spadaro, è chiamata non solo a una emittenza di contenuti da siti istituzionali, ma anche a una testimonianza in un contesto di relazioni ampie. Una battaglia on line tra le tenebre e la luce, dove le tenebre sono il relativismo e la pretesa di essere nel giusto attingendo solo alle fonti che avvalorano la propria tesi, che potrebbe sfociare nell’impossibilità reale e non solo virtuale di un confronto civile. È l’analisi di Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore, intervenuto questo pomeriggio a Roma al convegno Diocesi in rete per parlare di internet, informazione e verità. Se noi perdiamo la battaglia contro le tenebre on line ha messo in guardia il giornalista nel prossimo futuro in Occidente il risentimento che si accumula renderà impossibile ogni confronto civile. Per questo, ha sottolineato, è importante sforzarci di dire che sulla rete il relativismo è una vera malattia: il bene è bene e il male è male, il vero è vero e il falso è falso. L’idea che non esista più l’esperto, la competenza di chi sa le cose, il giornalismo professionale’ ha riconosciuto Riotta contiene un piccolo granello d’interesse e vivacità. Tuttavia il passo successivo è che non c’è una verità, ogni verità e ogni autorità vengono messe in discussione. E subito dopo si giunge a non accettare l’autorità di chi non è d’accordo, bollandolo come un corrotto, un cialtrone, un delinquente. La rete non è né bene né male, né luce né tenebre, non è un’opinione, ma un fatto oramai presente e costante nella nostra vita. Relazionandoci con essa il problema non è dato dal giudizio, positivo o negativo che sia, che possiamo avere di ciò che ci viene proposto, ma il discernimento consapevole e maturo delle notizie diffuse. Un discernimento che il cristiano dovrebbe avere insito nelle sue radici culturali e morali. Lo ha detto oggi p. Antonio Spadaro, redattore di Civiltà cattolica, intervenendo al dibattito avvenuto nell’ambito del seminario Diocesi in rete promosso a Roma, il 23 e 24 novembre, dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei. La rete è una bambina ha spiegato p. Spadaro – e con essa stiamo facendo molti errori, ma ciò non vuol dire che sbagliamo del tutto. In tutto questo bombardamento mediatico’ di notizie, infatti, più che un’anarchia virtuale’ vedo un desiderio più profondo: il desiderio di trovare una realtà condivisa da tutti. In questo senso, la grande sfida educativa che attende i cattolici ha sottolineato il redattore del mensile dei gesuiti – è discernere bene e male, luce e tenebre e, in questo modo, aiutare la gente a capire quali fonti siano attendibili e quali no.Sir