Firenze

Diocesi Firenze: Betori ricorda Giorgio La Pira e don Corso Guicciardini

Durante l’omelia in Duomo per la Festività della Celebrazione della stessa Cattedrale a Maria

“Tutti e due questi testimoni della fede ci ricordano che a fondamento della loro testimonianza sta l’incontro con Gesù, amato, conosciuto nella sua parola, riconosciuto nel volto dei fratelli. La loro attenzione alle situazioni più deboli della condizione umana ci ricorda la sofferenza in questi giorni di tanti nostri fratelli provati dalla tempesta che ha devastato il nostro territorio. La Chiesa è loro vicina, nella preghiera anzitutto, che ci ricorda che siamo tutti nelle mani del Padre, e poi nella solidarietà concreta, nell’accoglienza e nel sostegno, a cominciare da quello offerto dalle nostre parrocchie, presidio di carità tra la gente”. Così l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, nell’omelia pronunciata in Duomo, proprio in occasione della dedicazione della Cattedrale di Firenze a Maria, ha ricordato Giorgio La Pira e don Corso Guicciardini nel giorno in cui ricorre l’anniversario della loro morte, legando le loro figure all’attenzione che anche la Chiesa fiorentina sta mettendo in questi giorni per aiutare i tanti che hanno perso tutto per l’alluvione. Il cardinale, parlando di La Pira e don Guicciardini ha sottolineato come nella storia recente “della nostra Chiesa fiorentina abbiamo ricevuto la presenza e la testimonianza di «pietre vive» di particolare rilievo per la crescita della nostra comunità e per la sua testimonianza nel mondo. Due ne ricordiamo in particolare in questo giorno, in cui ricorre l’anniversario della loro nascita al cielo. Anzitutto il ven. prof. Giorgio La Pira. Il suo ricordo, in questi giorni funestati dalla guerra in Ucraina e Terra Santa, si orienta inevitabilmente verso il suo intenso impegno per la pace, per l’unità dei popoli, tra oriente e occidente d’Europa, per la pace nella terra di Abramo e di Gesù, nel convergere di tutte le religioni sotto quella paternità divina che ci fa tutti fratelli. Ma nel contesto di questa festa della dedicazione della cattedrale sento di dover ricordare anche l’intima unità che egli visse e affermò tra la sua dimensione di fede ecclesiale e il suo impegno sociale e politico”. “Non meno significativo – ha proseguito l’arcivescovo – è per noi l’altro nostro fratello che ricordiamo in questa celebrazione, don Corso Guicciardini. Anche di lui sento il dovere di richiamare alla nostra consapevolezza la dimensione ecclesiale della sua vita e testimonianza. Una Chiesa, quella di don Corso, non riducibile a un concetto astratto, ma fatta di volti concreti, in quanto la sua esistenza e il suo ministero si sono nutriti di una rete di rapporti ecclesiali privilegiati: oltre che con il ven. don Giulio Facibeni, egli ha avuto legami strettissimi con Giorgio La Pira, don Raffaele Bensi, mons. Enrico Bartoletti, il card. Silvano Piovanelli, Pino Arpioni, Fioretta Mazzei e tanti altri”.

Di seguito l’omelia dell’Arcivescovo

OMELIA

Alla samaritana, che pensa di metterlo in difficoltà chiedendogli

dov’è la dimora di Dio tra gli uomini, Gesù risponde proponendo sé stesso

come il nuovo, unico e definitivo tempio della presenza di Dio tra noi. Non

è più uno spazio fisico a delimitare il luogo in cui Dio si fa incontrare

dall’umanità, perché Dio si è fatto uomo e, da allora, è nell’umanità di

Cristo che si realizza l’incontro dell’Onnipotente con le sue creature.

Una verità, questa, che non vuole sminuire il ruolo degli spazi sacri

che da quel momento si sono diffusi nel mondo, a cominciare da questa

splendida cattedrale voluta dai nostri padri e dedicata al Signore sotto il

titolo della Vergine Maria dal Papa Eugenio IV nel 1436. Ne siamo fieri, e

giustamente, per la sua imponenza e bellezza, ma non dobbiamo

dimenticare che essa è solo un edificio di pietre per raccogliere il vero

tempio di Cristo che siamo noi, la sua Chiesa in Firenze. L’identità di

questo tempio ha il suo fondamento nella presenza di Cristo nel suo corpo

che è la Chiesa formata da chi ha accettato di conformarsi a lui, tutti i

credenti in lui, i suoi discepoli

Che sia difficile pensare che un luogo fisico possa contenere la

maestà di Dio, lo sottolinea anche Salomone con queste parole: «Ma è

proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli dei cieli non possono

contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!» (1Re 8,27). Ciò che

appare impossibile a Salomone diventa realtà quando Dio non sceglie un

luogo ma l’umanità stessa per farne il luogo della sua presenza tra noi.

Nell’umanità del Figlio di Dio si realizza l’inconcepibile mistero di un Dio

vicino, anzi di un Dio divenuto uno di noi, un Dio incontrabile e nella cui

compagnia poter edificare la nostra storia umana. Nel corpo fisico di Gesù

di Nazaret duemila anni fa in Palestina e ora nella Chiesa suo corpo visibile

che ne assicura la presenza nel tempo, in virtù dello Spirito che l’abita.

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L’azione liturgica, che si svolge nella chiesa fatta di pietre, è

manifestazione esteriore di ciò che nel mistero Dio opera nel cuore della

Chiesa fatta di persone viventi. Lo ha ricordato l’apostolo Pietro: «Quali

pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un

sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante

Gesù Cristo» (1Pt 2,5).

La chiesa di pietre, questo splendido tempio, dà forma percepibile a

quello spazio umano che è la Chiesa, comunità di persone convocate dalla

Parola e nutrite dai sacramenti. Si intesse così un mirabile scambio

salvifico: è la Chiesa di uomini a dare il volto cristiano a queste mura, ma è

quest’aula santa a fungere da cornice all’azione divina che santifica il

popolo dei redenti.

Ma precisato così il rapporto tra il luogo dello spirito e la vita nello

spirito, occorre anche prendere atto che questo luogo storico che è il corpo

di Cristo, oggi la sua Chiesa, non è una realtà amorfa, ma la sintesi di una

pluralità di membra, che nella Chiesa prendono il volto dell’incontro di

tanti fratelli, tutti convocati dalla medesima Parola, ciascuno con una

propria identità e una propria missione per l’utilità comune. Tutti fondati

sulla «pietra d’angolo, scelta, preziosa» (1Pt 2,6) che è Cristo, ma ciascuno

con un proprio volto e un proprio dono per l’utilità comune.

Nella storia recente della nostra Chiesa fiorentina abbiamo ricevuto

la presenza e la testimonianza di «pietre vive» di particolare rilievo per la

crescita della nostra comunità e per la sua testimonianza nel mondo. Due ne

ricordiamo in particolare in questo giorno, in cui ricorre l’anniversario della

loro nascita al cielo.

Anzitutto il ven. prof. Giorgio La Pira. Il suo ricordo, in questi giorni

funestati dalla guerra in Ucraina e Terra Santa, si orienta inevitabilmente

verso il suo intenso impegno per la pace, per l’unità dei popoli, tra oriente e

occidente d’Europa, per la pace nella terra di Abramo e di Gesù, nel

convergere di tutte le religioni sotto quella paternità divina che ci fa tutti

fratelli. Ma nel contesto di questa festa della dedicazione della cattedrale

sento di dover ricordare anche l’intima unità che egli visse e affermò tra la

sua dimensione di fede ecclesiale e il suo impegno sociale e politico. Mi ha

molto colpito quel taccuino di appunti che egli aveva scritto in vista di una

pubblicazione che doveva chiarire i fondamenti del suo servizio alla città e

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alla pace, pochi fogli che portano il titolo di In aedificationem corporis

Christi, riemersi di recente tra le carte del professore. Tutto il suo impegno

storico viene ricondotto da La Pira alle radici spirituali, in cui opera la

consapevolezza che l'edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa esige

un suo irradiarsi nel mondo, e questo a partire dal nucleo più intimo della

vita ecclesiale che è l’Eucaristia. Vi leggiamo: «L’Eucaristia e la Chiesa

che essa edifica e la città che essa edifica e la civiltà che essa edifica e

illumina: lucerna eius est Agnus» (In aedificationem corporis Christi,

Leonardo Libri srl, Firenze 2021, p. 20). Lasciamoci illuminare da questa

testimonianza che dall’altare del sacrificio eucaristico sperimenta l’urgenza

di una dedizione alla vita buona di una città e all’unità della famiglia

umana.

Non meno significativo è per noi l’altro nostro fratello che

ricordiamo in questa celebrazione, don Corso Guicciardini. Anche di lui

sento il dovere di richiamare alla nostra consapevolezza la dimensione

ecclesiale della sua vita e testimonianza. Una Chiesa, quella di don Corso,

non riducibile a un concetto astratto, ma fatta di volti concreti, in quanto la

sua esistenza e il suo ministero si sono nutriti di una rete di rapporti

ecclesiali privilegiati: oltre che con il ven. don Giulio Facibeni, egli ha

avuto legami strettissimi con Giorgio La Pira, don Raffaele Bensi, mons.

Enrico Bartoletti, il card. Silvano Piovanelli, Pino Arpioni, Fioretta Mazzei

e tanti altri. È d’obbligo per noi essere grati alla provvidenza di Dio per una

stagione così ricca per la nostra Chiesa fiorentina e la nostra città, di cui

don Corso è stato protagonista non secondario. E questo, sempre in

prospettiva ecclesiale, anche impegnandosi per dare un volto sempre

attuale alla missione di carità che aveva ricevuto dalle mani di don

Facibeni. Don Corso nei lunghi anni del suo ministero ha saputo mantenere

intatto il carisma dell’Opera – il legame tra fede e carità – interpretando via

via le nuove povertà con intelligente discernimento profetico, dalle case

famiglia, alle ragazze madri, alla missione in Brasile, ai carcerati…

«Preparati a essere messaggero della verità e della carità di Cristo, ma

messaggero che si introduce non con la solennità di maestro, ma la

semplicità di un fratello in cammino», scriveva don Facibeni a don Corso il

22 ottobre 1945 (Don Corso Guicciardini. Passare dalla cruna di un ago, a

cura di C. Parenti, Il Segno dei Gabrielli editori, San Pietro in Cariano

(Verona) 2018, p. 170). Don Corso ha accolto e portato a perfezione questa

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esortazione, questo invito all’umile semplicità, alla salda verità e alla

fattiva carità e la Chiesa fiorentina gliene è grata.

Tutti e due questi testimoni della fede ci ricordano che a fondamento

della loro testimonianza sta l’incontro con Gesù, amato, conosciuto nella

sua parola, riconosciuto nel volto dei fratelli.

La loro attenzione alle situazioni più deboli della condizione umana

ci ricorda la sofferenza in questi giorni di tanti nostri fratelli provati dalla

tempesta che ha devastato il nostro territorio. La Chiesa è loro vicina, nella

preghiera anzitutto, che ci ricorda che siamo tutti nelle mani del Padre, e

poi nella solidarietà concreta, nell’accoglienza e nel sostegno, a cominciare

da quello offerto dalle nostre parrocchie, presidio di carità tra la gente.

Il richiamo al ministero dei nostri preti mi fa ricordare che

quest’oggi, festa della dedicazione della cattedrale, è per la nostra Chiesa

fiorentina anche la Giornata per il Seminario. È giorno di gratitudine per la

sua comunità, superiori e alunni, ed è giorno di partecipazione alla sua

missione, nella preghiera per le nuove vocazioni e per la fedeltà dei

chiamati, ma anche di sostegno concreto alla sua vita.

E concludo richiamando le parole di Gesù ascoltate nel vangelo, il

suo invito ad «adorare il Padre in spirito e verità» (Gv 4,24). L’espressione

che è al cuore del dialogo tra Gesù e la donna samaritana sintetizza la

natura sostanziale dell’intera vita di fede, come servizio a Dio guidati dallo

Spirito di Gesù, che è la nostra verità. A questa vita orientata in Dio e da

Dio ci indirizzano i nostri testimoni, la cui eredità sentiamo come una

gloria e un impegno.

Giuseppe card. Betori