Opinioni & Commenti
Dio oggi, con lui o senza di lui cambia tutto anche nei giornali e in tv
«Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto» è il titolo dell’evento internazionale in corso a Roma dal 10 al 12 dicembre ad opera del Comitato per il progetto culturale della Cei, che riunisce 1500 partecipanti, insieme alla platea sconfinata di internet, 50 relatori dall’Europa e dall’America, una quindicina di eventi in poco meno di quarantott’ore.
di Adriano Fabris
In realtà c’è, alla base di tutto ciò, un equivoco di fondo. I giornalisti cercano notizie, i giornali le offrono. Le notizie sono però qualcosa che oggi, nella società dello spettacolo, devono colpire l’attenzione. Ciò riesce, nel modo migliore, quando le notizie sono cattive. Ed è qui che sta il problema: Dio, il Dio vero, in quest’ottica non fa notizia. Agisce sottotraccia. E lo stesso fanno i tanti uomini e donne che quotidianamente, nel suo nome, operano per il bene. Se dunque i giornali aumentano la tiratura solo con notizie disastrose, non c’è da stupirsi se Dio non è in prima pagina.
La stessa propensione per lo spettacolo, gonfiata a dismisura, contraddistingue pure l’odierna comunicazione audiovisiva. In essa Dio è presente né potrebbe essere altrimenti in forma d’immagine. A dispetto di ogni tendenza iconoclasta l’immagine del divino, in tv, s’incontra diffusamente. Pensiamo a certe pubblicità, nelle quali l’uso di un chewing-gum viene collocato in Eden o in cui una determinata marca di caffè viene gustata nel Paradiso.
Ma il problema vero non sta nell’uso, a volte poco rispettoso, dell’immagine di Dio. La questione di fondo riguarda il fatto che lo schermo non sembra adatto, per sua struttura, all’espressione del divino. In esso, nell’appiattimento che esso comporta, non trova spazio la trascendenza del simbolo. Mi spiego meglio. La tv, con la sua sequenza d’immagini, è in grado di riportare tutto su di un unico piano, a un unico orizzonte: l’orizzonte dello spettatore. Ciò che trascende il suo sguardo può essere semmai alluso, non già espresso. E così sul medesimo schermo piatto scorrono sacro e profano, intrattenimento e insegnamento. Ecco perché, qui, il rimando che è proprio del simbolo non funziona. L’immagine televisiva non offre un’icona, a dispetto di quanto si dice comunemente a proposito di attrici e cantanti: presenta un idolo. E, poiché non è un idolo, Dio in tv non viene bene.
Resta allora internet. In Rete, luogo di proliferazione esponenziale di siti, assistiamo a un analogo proliferare di immagini del divino, funzionali a vecchi e nuovi culti. In rete possiamo incontrare religioni tradizionali, religioni tecnologiche quelle la cui comunità esiste virtualmente solo in Internet addirittura tecnologie che s’ammantano di religiosità e sono funzionali alla creazione di nuovi culti. In tutti questi casi è un Dio plurale quello che s’incontra: sia per le immagini che ne vengono proposte, sia soprattutto per le infinite connessioni da cui queste immagini vengono attraversate.
In questo variegato panorama, in questa molteplice presenza di Dio nei media, dobbiamo allora chiederci quale spazio rimanga per l’esperienza religiosa: non solo per le sue manifestazioni, ma anche per i suoi vissuti. Molto spesso, infatti, è l’espressione di essa a venir enfatizzata dai media. Ma non bisogna confondere l’espressione con il contenuto. Almeno in ambito religioso non vale affatto l’identificazione di mezzo e messaggio compiuta da McLuhan. Perché, nel caso dell’esperienza di Dio e della sua espressione, il contenuto del messaggio trascende il mezzo.
Ecco allora che, accanto a un uso intelligente dei media, resta un’ulteriore possibilità: la possibilità del silenzio. Il Dio sperimentato in silenzio è infatti al di là del Dio politico, del Dio che fa notizia, del Dio icona, del Dio idolo, del Dio plurale, quali vengono all’idea attraverso i media. Ce lo mostra la sapienza cristiana. Perché a manifestarsi, prima ancora che un’idea possa essere espressa, è proprio quella «Parola silenziosa» il Cristo procedente dal Padre di cui parla Agostino nell’XI libro delle «Confessioni».