Toscana
Dimitri, il giovane russo senza gambe ora cammina
di Marco Viani
Un gioco, forse un po’ cattivo, tra bambini a pochi metri dai binari della ferrovia di San Pietroburgo. Una spinta, uno scivolone, e Dimitri non riesce a evitare l’impatto con il treno. Si risveglierà, da sopravvissuto, in un letto d’ospedale dopo qualche giorno.
Gli hanno amputato entrambe le gambe quando aveva dodici anni. Oggi ne ha 26 e ci viene incontro, dallo sfondo di un luminoso corridoio del Centro Don Gnocchi di Pozzolatico, sulle colline di Firenze, con uno slancio e una sicurezza che cozzano con il suo lieve e scarno modo di parlare e di farsi conoscere. Fa leva con misura sulle stampelle, eppure i suoi passi hanno un che di robusto (come il suo torace e le sue spalle) nel sollevarlo e proiettarlo in avanti, come se avanzasse verso di noi un guerriero. Evidenti le protesi «alte», che si congiungono al bacino.
Foligno sarà per lui un ricorrente approdo per adeguare il processo di riabilitazione e rinsaldare affetti. Una famiglia gli offre da sempre tutto ciò che lo può riempire di vita: una cameretta nei giorni di cura; un biglietto aereo per un periodo di vacanza da godere con i ragazzi di casa. Con i Mottanelli ha festeggiato quei suoi primi «nuovi» passi e le sue ultime conquiste a San Pietroburgo: una laurea in legge e un conseguente impiego in una società di ricerca di personale.
Ci piace credere alla gratuità di ogni dono, ma anche alla grazia di chi si fa trovare o scoprire bisognoso e riesce lui stesso, in maniera naturale, a fare e farsi dono. È quindi altrettanto naturale vedere Dimitri venirci incontro dallo sfondo di un corridoio del Centro Santa Maria agli Ulivi di Pozzolatico e sapere che questa sua nuova ospitalità è il frutto congiunto di rinnovate esperienze solidali.
«Il mio progetto guarda al dolore e lo cerca ovunque si trovi»: ci penetrano queste parole di Don Carlo Gnocchi quando ripensiamo a tutta la storia di Dimitri Nikolaev, amputato a dodici anni. Diciamo a noi stessi che non è affatto un caso che lui sia qui, in un centro nato da una laboriosa profezia («Vorrei recuperare e intensificare, con la riabilitazione, la vita che non c’è ma che potrebbe essere») e creato tenendo stretto al petto quel che era rimasto di tanti bambini straziati nel corpo e nell’anima dalla guerra.
Pensiamo anche alla straordinaria capacità dell’amore ordinario, al profondo bene che sgorga da semplici atti, compiuti da persone comuni, nel normale susseguirsi di tutti i giorni: aprire la porta a chi bussa, prendere la mano di chi sta male, condividere un sorriso o un pianto. I Bertusi, i Giannelli, i Mottanelli, i Pisanelli, i Raspini e altri ancora, nel loro essere a loro modo buoni samaritani, non sono andati oltre se stessi.
Facciamo qualche passo accanto a Dimitri prima di salutarlo. Il suo sorriso come ultimo regalo, sullo sfondo ma anche come riflesso di una esortazione che San Paolo lascia come cadere nella Lettera agli Ebrei: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo».
Tutto è iniziato alla fine del 1997 quando vennero in Toscana l’arcivescovo di Algeri Henri Teissier e il monaco Robert Fouquez a pochi giorni dal massacro di 450 persone in una sola notte e a poca distanza dall’uccisione di sette monaci trappisti in un monastero ad una decina di chilometri dalla città di Medea. Monsignor Teissier, nell’occasione, invitò in Algeria alcuni toscani tra cui il lucchese Massimo Toschi, che poi sarebbe diventato il consigliere del presidente della Regione Toscana per la pace, la cooperazione e i diritti umani.
Di ritorno dall’Algeria, Toschi parlò all’allora assessore regionale alla sanità, Claudio Martini (oggi presidente della Regione), dei tanti ragazzi vittime del terrorismo e privati spesso delle gambe.
I giovani algerini, tutti sotto i trent’anni, alcuni dei quali hanno dovuto subire l’amputazione di entrambe le gambe, sono stati curati nel reparto di riabilitazione dell’ospedale di Seravezza, in provincia di Lucca, dopo aver ricevuto le protesi dal Centro ortopedico di Campiglia Marittima, in provincia di Livorno.
Ma la novità di questi giorni è che, come ci conferma Massimo Toschi, sta per essere inaugurato un Centro protesico in Algeria, a Medea. I sanitari della Toscana stanno infatti lavorando per allestire in Algeria un centro specializzato in grado di realizzare protesi e curare la riabilitazione degli oltre 200 amputati a causa delle mine. La nuova struttura nasce dalla collaborazione con Emergency e l’impegno congiunto della Asl di Viareggio e di quella di Livorno in accordo con la sanità pubblica algerina.