Opinioni & Commenti
Dimezzati gli arsenali nucleari ma il mondo non è più sicuro
di Romanello Cantini
«Sono ossessionato diceva Kennedy nel 1962 dal pensiero che nel 1970 ci potranno essere dieci potenze nucleari anziché quattro». Purtroppo ci siano arrivati. Solo con un po’ di ritardo. L’incubo che tormentava il presidente americano oggi in pratica è diventato realtà. Se ai nove paesi che già possiedono armi atomiche (Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan, Corea del Nord) si aggiunge l’eventuale armamento atomico dell’Iran siamo alla cifra tonda che terrorizzava il presidente della Nuova Frontiera.
Finché le armi atomiche sono rimaste in sostanza un duopolio della America e della Russia che in mezzo secolo avevano imparato a guardarsi negli occhi, a conoscersi nel modo di reagire, a contare sulla ragione dell’altro e a calcolarla, il rischio di un conflitto rimaneva grande, ma a suo modo controllabile.
Ma a mano a mano che aumentano i possessori di armi atomiche cresce la probabilità che nel mazzo sempre più massiccio si infili l’incosciente, il fanatico, il pazzo e perfino l’incompetente. Un diplomatico svizzero ha scritto che le relazioni atomiche fra le due grandi potenze nucleari sono state un gioco di scacchi, ma fra più di una dozzina sarebbero l’uomo nero in cui l’imprevisto è re. A tutti questi pericoli si deve aggiungere oggi quello del terrorista che può venire in possesso di un ordigno nucleare. Per lui non vale nemmeno la dissuasione della ritorsione visto che la sua morte è capace di metterla sul conto prima ancora di uccidere.
A Praga l’anno scorso Obama ha ricordato che «è diminuito il pericolo di una guerra atomica, ma è aumentato quello di un attacco atomico», che è sempre più facile costruirsi un’arma atomica, che anche i privati possono offrire ora materiale fissile e che è sempre più banale passare dall’atomo pacifico delle centrali all’atomo militare delle bombe.
È guardando questo problema del trattato di non proliferazione che scricchiola da tutte le parti che è stato concluso a Praga fra il presidente Obama e il premier russo Medvedev l’accordo che riduce le testate nucleari a 1.500 per parte. Ed è con il proposito di rinnovare il trattato di non proliferazione ormai in scadenza che si sono riuniti in questi giorni a Washington i rappresentanti di 47 paesi e si riuniranno il mese prossimo a New York i 189 paesi firmatari del trattato immaginando che tutti questi gesti riusciranno nell’impresa difficile di bloccare la proliferazione nucleare.
Ridurre a circa 3 mila testate nucleari l’armamento atomico delle due superpotenze non è uno sfoltimento del magazzino atomico insignificante. Ma già quaranta anni fa, quando la corsa agli armamenti era al suo boom, il segretario di stato americano Mac Namara stimava che quaranta bombe H da dieci megatoni sarebbero bastate a distruggere l’Unione Sovietica mentre gli esperti russi ci informavano che 500 testate nucleari erano più che sufficienti a cancellare dal mondo l’ultimo russo e l’ultimo americano. Da questo punto di vista anche ciò che resta basta ancora a suicidarsi sei volte.
Ma il disarmo parziale alla undicesima ora cerca soprattutto di mettere in atto una parte non solo disattesa, ma ormai quasi dimenticata del trattato di non proliferazione che pure ha ormai più di quaranta anni: quella, secondo cui, mentre le potenze non atomiche non dovevano costruire nuove armi atomiche, le potenze atomiche dovevano invece gradualmente distruggere le loro.
La questione drammatica dell’eventuale armamento atomico dell’Iran e la faccia dura che si deve fare contro la Repubblica Islamica fanno inoltre venire ora a galla le tolleranze se non le connivenze che si sono avute in passato nei confronti dei nuovi venuti nel club atomico e che ora non solo l’Iran, ma anche i suoi simpatizzanti possono usare come pretesto.
Su Israele che pure segretamente si è dotato di almeno di una decina di bombe atomiche non sono mai state fatte pressioni perché aderisse al trattato di non proliferazione ed ora non a caso Egitto e Turchia sollevano il problema anche se in forma volutamente provocatoria.
Quando nel maggio 1974 Indira Gandhi fece esplodere in una caverna del deserto del Rajastan la prima bomba atomica indiana costruita con l’uranio che gli americani gli avevano dato per scopi pacifici fu sanzionata solo a parole e successivamente George Bush concesse di nuovo all’India quegli aiuti per sviluppare il nucleare civile che sono proibiti per chi non aderisce al trattato. E quando anche il Pakistan cominciò a lavorare alla sua bomba che poi doveva esplodere nel 1998 Reagan che aveva allora bisogno di Islamabad per combattere i sovietici in Afganistan lo scusò. «L’India disse in una conferenza stampa ha l’atomica e l’India è molto ostile al Pakistan».
Tutti questi precedenti non giocano certo a favore delle sanzioni contro l’Iran. E cerca addirittura di farsi strada in non pochi stati l’idea ancora più catastrofica che anche la bomba atomica è un privilegio dei ricchi e del Nord che va eliminato, perché, come diceva un politologo, non si può consentire che un’arma sia «vietata agli africani e ai minori di 16 anni».
Per cercare di superare tutte queste crescenti difficoltà il premio Nobel Obama di suo ci mette ora la promessa che l’America non userà le proprie armi atomiche contro uno stato che ne sia privo rinnegando quel «diritto al primo colpo atomico» anche contro un attacco convenzionale che tutti i presidenti americani hanno sempre rivendicato negli ultimi sessanta anni. Ma è solo cercando di applicare in tutte le sue parti e per tutti i contravventori il trattato di non proliferazione che le potenze atomiche possono cercare di bloccare la diffusione delle armi nucleari. A Praga l’anno scorso Obama ha detto che lui non vedrà l’eliminazione delle armi nucleari che pure si augura. Sarebbe già molto se riuscisse a vedere intanto al loro limitazione.