Lettere in redazione
Digitale, una mazzata per le tv locali
Come se già le cose non andassero abbastanza male per la stampa scritta, con pochi gruppi editoriali che detengono il monopolio dell’informazione locale e vanno avanti con una redazione di 4 gatti con contratto degno di questo nome e con pensionati o impiegati delle poste che scrivono in cambio di due caramelle, adesso arriva pure la mazzata per le televisioni locali.
Il piano del governo era molto chiaro: dimezzare il numero delle emittenti per favorire pochi colossi, che poi significa accaparramento delle entrate pubblicitarie e spegnimento di voci che parlano lingue diverse; se poi al progetto del principale imprenditore televisivo del nostro Paese ci si aggiungono gli appetiti dei monopolisti regionali e scarsa vigilanza da parte degli enti locali ecco che la frittata è fatta.
Dalle graduatorie uscite in Toscana per l’assegnazione delle frequenze emergono chiaramente alcuni dati: sono state favorite le televisioni che negli anni hanno investito sui mezzi e sull’espansione territoriale senza considerare che in molti casi lo hanno fatto senza investire sul personale e magari, nel peggiore dei casi, limitandosi a trasmettere a ruota televendite e accattivanti signorine, nelle ore più tarde della notte. In soldoni questo significa che le emittenti che hanno invece investito sul personale, che hanno puntato su figure qualificate garantendogli tra mille difficoltà un contratto degno di questo nome verranno penalizzate. Non solo. Le televisioni che negli anni si sono prese la briga di coprire piccoli centri per senso di responsabilità, credendo che l’informazione locale sia un servizio per i cittadini, pur rimettendoci in termini di bacino pubblicitario, oggi vengono punite. Ed ecco che emerge la seconda grave conseguenza di questa rivoluzione: oltre ai dipendenti dell’emittenza locale ci rimetteranno anche i comuni più piccoli e le frazioni, insomma territori già di per sé penalizzati che perderanno anche il servizio dell’informazione. Ma c’è anche una terza categoria di vittime: sono i negozianti di paese, i piccoli imprenditori che non hanno certo né i soldi né l’interesse per farsi pubblicità su scala regionale o nazionale.
Io sono una trentenne fortunata visto come girano le cose in Italia: ho un contratto a tempo indeterminato come giornalista. Lavoro in una piccola televisione di provincia che, stringendo i denti, è riuscita a superare momenti difficili salvaguardando sostanzialmente il personale ed i rapporti diretti con il territorio. Possibile che l’unica lezione che rischia di venir fuori, ancora una volta, è che chi gioca pulito perde?
Il progetto del governo era chiaro, speriamo che gli amministratori ed i politici toscani facciano qualcosa per arginarlo; che non dimostrino di interessarsi delle tv locali solo quando c’è da fare campagna elettorale o da farsi vedere con la fascia tricolore al taglio del nastro del nuovo marciapiede.
Il precedente governo ha annunciato tante volte di voler portare internet veloce nelle case di tutti gli italiani, ma poi ha sempre rimandato gli stanziamenti necessari. Ha invece trovato i fondi per sostituire la tv analogica con quella digitale, dando anche incentivi per l’acquisto dei decoder e agendo una volta tanto con grande rapidità (lo switch off in Toscana è stato addirittura anticipato di sei mesi). Non è che la tv digitale sia peggio di quella analogica. Tutt’altro: migliore qualità del segnale, molti più canali disponibili, riduzione dei costi di trasmissione (a parte gli investimenti per passare a questo sistema). Ma c’è da chiedersi se in tanta solerzia non abbiano inciso anche altri «interessi». Come, per esempio, la concorrenza che la paytv di Mediaset ha lanciato a Sky.
Un passaggio così frettoloso ha preso un po’ di sprovvista le emittenti locali. Non tanto per le attrezzature, che quasi tutte avevano già programmato, quanto per le modalità del bando di assegnazione delle frequenze, uscito in pieno agosto e che ha portato il Ministero ad assegnare le frequenze e la numerazione dei canali a poche ore dall’inizio dello switch off. Il numero ridotto di frequenze a disposizione della Toscana (perché nel frattempo il governo ne aveva vendute alcune per la telefonia di nuova generazione) ha creato altri problemi. E qui forse è mancata anche una possibile «regia» da parte della Regione che poteva dare il suo aiuto alla nascita di «intese» in modo da non far restar fuori nessuna emittente.
Quello che segnala la giornalista è poi verissimo. I parametri scelti dal Ministero hanno premiato anche «scatole» ormai vuote, che ribattono solo televendite, e penalizzato alcune piccole realtà che invece fanno informazione locale.