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Dietro la vittoria di Olmert la fine del «Grande Israele»

di Romanello Cantini Con un risultato inferiore alle attese (28 seggi) le elezioni israeliane hanno dato la maggioranza relativa a Kadima, il nuovo partito fondato da Ariel Sharon prima di scomparire per sempre dalla scena politica e guidato dal suo fedelissimo Ehud Olmert. La vittoria di un partito centrista è una novità assoluta nella storia di Israele da sempre contrassegnata dalla alternativa fra la destra del Likud e la sinistra laburista. Il Likud di Benjamin Netanyahu è crollato con i suoi 11 seggi al minimo storico ed è ormai solo la quinta forza politica del Paese. Al contrario il partito laburista di Amir Peretz mantiene un risultato più che dignitoso di 20 seggi.

La rivoluzione centrista all’interno del Parlamento israeliano produce, comunque sia, più una frammentazione che una nuova coalizione di governo ancora tutta da inventare. L’alleanza più naturale fra Kadima e i laburisti non basta da sola ad assicurare una maggioranza. Per arrivare ai 61 seggi necessari, occorrerà cercare il sostegno dell’Yisrael Beiteinu di Avigdor Lieberman che ha ottenuto un buon risultato (12 seggi) e che ha idee non troppo lontane da quelle centriste di Kadima. Oppure si dovrà allargare la coalizione di centro-sinistra fino ai suoi limiti estremi accogliendo nella coalizione i pacifisti di Meretz (4 seggi) e i deputati arabo-palestinesi (10 seggi).

A seconda delle diverse possibili alleanze sarà corretta anche la proposta politica vincente di Kadima. Il fulmineo successo di questo partito neonato è dovuto a una considerazione più che a un’idea, a una ferrea necessità più che a un progetto originale. Nei confini del cosiddetto Grande Israele, in pochi anni, i palestinesi con la loro più alta natalità supereranno gli israeliani e Israele diventerebbe solo uno Stato arabo con una forte minoranza ebraica. Anche i leader di Kadima, che pure spesso provengono da una storia familiare e personale di estrema destra, si sono ora convinti, come del resto la stragrande maggioranza degli israeliani, che la superba illusione del Grande Israele è ormai una trappola mortale e che bisogna dividere Israele e le Colonie ebraiche in Cisgiordania dalle zone della Cisgiordania con una forte densità della popolazione araba.

Hamas che, dopo la vittoria nelle recenti elezioni palestinesi, ha scelto di non riconoscere e di non dialogare con Israele, ha rafforzato di fatto la tendenza al ritiro unilaterale degli israeliani dai Territori occupati e ha fatto apparire inevitabile quel “fai da te” che al tempo del ritiro da Gaza nell’estate scorsa era ancora solo una decisione personale di Sharon. Nella società israeliana l’ormai vecchio sogno della pace è stato riposto in un cassetto e al suo posto trionfa un surrogato di sicurezza più o meno immaginaria con il ritiro dentro il campo trincerato dei confini cosiddetti sicuri, che è reso necessario dalle ragioni della demografia oltre che dalla impotenza nel reprimere la ribellione nei Territori occupati.Questo ripiegamento di massa al di qua dell’immaginazione di ieri, che guardava lontano dentro la rassegnazione dell’immediato ineluttabile di oggi, spiega una scelta che è ormai di tutti i partiti eccetto il Likud e l’estrema destra religiosa e insieme lo scarso entusiasmo di una partecipazione al voto, mai così bassa. Tuttavia, la mappa del ritiro dai Territori occupati non è la stessa in tutti i partiti che condividono l’operazione. Per Kadima all’interno dei Territori occupati vengono mantenute tutte le grandi Colonie, la totalità di Gerusalemme, i luoghi santi della tomba dei patriarchi a Ebron e della tomba di Rachele a Nord di Betlemme, la valle del Giordano e una fitta rete stradale che, di fatto, dividerebbe i palestinesi dentro una sorta di cantoni semichiusi. Meno radicale è il progetto di mantenimento delle Colonie dei laburisti, mentre Meretz lo riduce al minimo, lasciando Gerusalemme vecchia agli arabi e prevedendo un accordo con i palestinesi sui luoghi santi.Ma la dimensione del ritiro (probabilmente nelle intenzioni non più di 70-80mila coloni su 250mila) sarà soggetta, oltre che alla definizione delle coalizioni possibili, anche a quella ricerca del consenso che Olmert ha detto di voler ricercare fra i coloni e gli israeliani per attuare i trasferimenti senza traumi e senza scontri intestini e che è certamente un modo per evitare le operazioni più grosse e più sostanziose.

Il ritiro unilaterale è respinto non solo da Hamas, ma anche da Al Fatah che rifiuta qualsiasi annessione che non sia compensata da uno scambio di terre. Ma è dubbio che un ritiro tanto parziale e unilaterale come quello previsto da Kadima sia accettato dalla Comunità internazionale, che ha voluto patrocinare la road map sulla base del principio della negoziazione. E rimane da demolire l’illusione che la costruzione di un muro sia una soluzione più sicura e più definitiva della costruzione della pace, anche se, per fortuna, Olmert si è dato un periodo di quattro anni per attuare il ritiro, ma anche per verificare la possibilità di un ritorno al negoziato.