Opinioni & Commenti
Dietro alcol, droga e risse un business irrinunciabile
La tragica vicenda dell’omicidio di Niccolò Ciatti in una discoteca spagnola ha suscitato insieme allo sgomento, quegli interrogativi sulla socializzazione nelle discoteche che ciclicamente riemergono, specie in relazione a tragici eventi.
In effetti, lo sguardo sospettoso sulle discoteche e più in generale sui locali da ballo, ha una lunga storia. Una storia che è strettamente legata alle trasformazioni dei costumi, e soprattutto ai cambiamenti che hanno caratterizzato il rapporto tra tempo di lavoro e tempo libero. Nella società centrata sul tempo di lavoro industriale il tempo libero era un tempo residuale, cioè un tempo principalmente impiegato per attività di riposo e di svago rispetto al lavoro, che era l’attività più marcatamente connotante l’identità sociale dell’individuo. In questo tipo di società alle discoteche era assegnata una collocazione marginale, culturalmente e anche come attività economiche. Questa marginalità sociale le ha rese, negli anni ’70, spazi particolarmente adatti per la sperimentazione di forme di socializzazione connesse alle controculture giovanili, sia in termini musicali che di pratiche relazionali e anche di stili di consumo (musicali, alcolici, stupefacenti). In questa fase le discoteche hanno una forte connotazione identitaria, tra i giovani e anche dei giovani da parte degli adulti.
I decenni seguenti le vedono coinvolte in profonde trasformazioni, la più rilevante delle quali è l’espansione verso segmenti diversi di pubblico e anche tipi di consumi musicali. Non sono solo i giovani a frequentarle, con il tempo non sono più luoghi di sperimentazione, ma luoghi di consumo del divertimento, imprese economiche di dimensioni sempre più significative che programmano le attività in modi, orari, forme differenziate per attrarre consumatori differenti. È in questo cambiamento, negli anni ’90, che si arriva a mega-discoteche capaci di riunire duemila e più persone. Da spazi socialmente marginali per il tempo libero dal lavoro, diventano imprese di produzione del divertimento in orari sempre più lunghi, allungamento complementare alla diffusione della pratica dei clienti di non fermarsi solo in una discoteca, ma di spostarsi in discoteche diverse nel corso della medesima serata/notte.
Questi brevi cenni hanno lo scopo di mostrare che oggi ciò che viene chiesto alle discoteche da chi le frequenta non è più un tratto identitario, di incontro tra «simili», ma è molto più una forma di consumo del divertimento. Anche il consumo di alcolici e di stupefacenti ha più del passato questa connotazione di leisure.
È dunque sbagliato pensare che queste siano pratiche «tipiche dei giovani» e che le risse, le ubriacature, la droga, la violenza a queste connessa, siano un «problema giovanile». Il fatto che molti clienti di discoteca siano giovani non li rende generazionalmente o, peggio, identitariamente, simili. Il consumo di alcolici e di droghe non è più, ormai, esclusivamente giovanile. Se vogliamo inquadrare il problema in modo almeno un po’ realistico è necessario considerare che queste pratiche sono ormai coltivate da un vero e proprio settore economico produttivo. Nella cittadina dove è successa la tragedia del povero Niccolò nel consiglio comunale si discute da anni di convertire il «turismo da sbronze» in forme di turismo più gradite, ma fino ad oggi non è stato fatto nulla di concreto, perché queste imprese sono una fetta importante dell’economia locale. Allora, per dirlo in una battuta, il problema non sono i giovani, ma gli adulti, o meglio, il problema è che cosa gli adulti fanno dei giovani.
Due aspetti mi paiono importanti da sottolineare: il primo è che molte pratiche giovanili sono mercati economicamente molto sfruttati dagli adulti, è ovvio che vi prendono parte i giovani, ma non è meno ovvio che vi partecipano da clienti. Il secondo è la ormai macroscopica marginalizzazione dei giovani da parte degli adulti in tutte le posizioni di potere, influenza, e più in generale autonomia. In entrambi questi casi è tipico degli adulti deresponsabilizzarsi da questi due processi accusando i giovani di essere immorali e pigri, ma a ben vedere sono gli adulti che collocano i giovani in questa relazione di esclusione e di sottomissione, economica, culturale, sociale.
*sociologo