Lettere in redazione

«Dico», ma ogni unione è davvero famiglia?

Caro Direttore,se oggi ho una bella famiglia con figli e numerosi nipoti il grande merito è di mia moglie e degli insegnamenti della Chiesa trasmessi da buoni sacerdoti. Ribadisco che la Chiesa è maestra di vita e il suo pensiero trasmessoci attraverso i suoi vescovi, sarà sempre la mia guida. Una cosa mi preme dire, in questi giorni di tiro alla Rosy Bindi, rea per alcuni cattolici di fare una politica di schieramento, tradendo il dettato della Chiesa. Oggi mi sembra un facile bersaglio, accusata ingiustamente(a mio avviso) da molti, sia in buona che in mala fede. Vorrei confermare al Ministro tutta la mia stima, per l’impegno a risolvere casi umani difficili, senza intaccare l’istituto famigliare che ha ben chiaro; sicuro che ha lavorato e lavorerà bene per aiutarlo.GianCarlo GuivizzaniFaella (Ar) Caro Direttore,desidero manifestarle la mia gratitudine per l’articolo sulla proposta di legge sulle coppie di fatto (Dico), sul numero 7 del 18 febbraio.. Infatti, tale articolo è caratterizzato da una particolare sensibilità alla complessità della questione trattata, che non può essere risolta, nè da accenti polemici e di parte, nè da un indifferente posizione. In proposito, è appropriato l’atteggiamento, suggerito in tale articolo, di fronte ad un problema così spinoso, cioè di procedere «in punta di piedi». A nulla valgono le prese di posizioni ideologiche di una parte o dell’altra, poiché non risolvono, in alcun modo, il problema, ma, anzi, lo rendono, veramente, più difficile. È necessario che, di fronte ad una situazione di fatto, così generalizzata, a tante unioni esistenti nella realtà concreta, lo Stato intervenga per regolamentarle. Ciò, in quanto, compito del Diritto e dello Stato che deve fare, sempre, rispettare la legge, è di stabilire chiare ed univoche regole, volte ad evitare situazioni di differente trattamento giuridico, in situazioni simili. Deve esservi uniformità di trattamento, in ipotesi simili e, diversità, in casi dissimili.Antonino LonghitanoFirenze Caro Direttore,nell’aprire il giornale, giuntomi puntualmente in abbonamento (già rinnovato!) sono stato colto da un brivido di soddisfazione. A pagina due titolate: «Si scrive Dico ma si legge Pacs». Allora sono stato davvero profeta. Nel settembre scorso avete avuto la bontà di pubblicare la mia risposta al professor Angelo Passaleva nella quale dicevo: «La stragrande maggioranza governativa sostiene che i Pacs si faranno, la pattuglia cattolica dice di no. Ma, come diceva Oscar Wilde, “le buone risoluzioni sono come assegni che uno emette su una banca dove non ha alcun conto”». Dunque Oscar Wilde ed io avevamo ragione e a dirlo è Toscanaoggi. Ma la soddisfazione è di breve durata e lascia subito il posto ad una diffusa amarezza. Via, diciamolo pure. Con una maggioranza che si regge sulle labilità lessicali (che loro chiameranno pomposamente «mediazione alta») non c’è da stare allegri. O no? Roberto CorsiScandicci (Fi) Caro Direttore,vorrei esprimere il mio disappunto su quanto è stato fatto e detto a proposito dei «pacs», ora ribattezzati «DiCo». Leggo nella intervista rilasciata al Corriere della Sera da una Ministra della Repubblica Italiana: «Mi domando perché una Chiesa che assolve in confessionale e che vive accanto a chi ha bisogno poi invece nella sua parola appaia sempre giudicante. Questo crea una distanza. L’insegnamento cattolico dice un’altra cosa: parla di valore della giustizia, di pace, di libertà personale, di accoglienza appunto persino nell’errore. Di carità e di misericordia».Questo credo di sapere, che cioè la Chiesa continua anche oggi a condannare il peccato e ad avere misericordia per i peccatori.

Con la legge del Dico lei e la Pollastrini, hanno dato riconoscimento a delle situazioni anomale, irregolari: per certe hanno eliminato la linea del non ritorno, e per altre hanno trovato il modo di renderle stabili, dando sfogo e conforto a relazioni affettive disordinate e creando confusione sul matrimonio.

Se la legge, ogni legge, deve essere preventiva, cioè deve educare alla legalità e creare l’ambiente per condizioni di vita morali, con il Dico si afferma praticamente: «fate come vi pare, a me tutto mi sta bene». Anche se dicono di aver avuto come bussola la Costituzione in questa ricerca di compromesso, tuttavia chi ne viene a soffrire è proprio la famiglia riconosciuta dalla Costituzione.don Piero Becheriniparroco di Pozzuolo (Pg) Caro Direttore,sono una lettrice sconvolta dalla reazione di tanti cittadini di fronte alle parole del card. Ruini. Cosa si aspettavano da un Pastore, che approvasse una politica della famiglia non finalizzata alla tutela della stessa? O esaltasse la nascita di istituti che ad essa si equiparano senza averne le caratteristiche di solidità e di responsabilità? Chi non condivide il Presule non lo ascolti, ma non si senta offeso nella sua laicità, perché la laicità vera lascia che ogni cittadino sia libero di esprimere il proprio giudizio sulle leggi, specialmente su quelle che portano cambiamenti radicali. La legge crea mentalità e non è raro che alla fine si confonda, o addirittura si identifichi «legale» con «morale».Margherita TucciFirenze Caro Direttore,a quanti auspicano una Chiesa più silenziosa sui temi etici e sollecitano i politici cattolici a rinunciare ai loro principi in nome della laicità vorrei ricordare che il Re Baldovino del Belgio anni fa «rinunciò» al trono per non firmare la legge sull’aborto. Ma si sa; anche i cattolici a volte pensano alle «poltrone».Ciro Rossiindirizzo email Caro Direttore,con l’eleganza che lo contraddistingue, Giuseppe Della Torre, nell’invitare il lettore di Avvenire ad uscire dalla trappola della contrapposizione tra cattolici e laici, mette sotto la categoria delle «stranezze» l’ingresso, per la prima volta nel codice, del principio dei «vincoli affettivi» collocati nel comma 1 dell’art. 1 dei cosiddetti «Dico». Un principio, oltre che nuovo, sommamente ambiguo in quanto «gli affetti… sfuggono al diritto: non possono essere rilevati, quantificati, soppesati, quindi regolamentati…». Con altrettanta chiarezza, quel raffinato liberale di buon senso che è Piero Ostellino sostiene che lo Stato che si intromette negli affari privati dei cittadini è un intruso e va fermato. E aggiunge che va contrastata con altrettanta determinazione quella tendenza alla moltiplicazione dei diritti (ormai, nella cultura corrente, tanti quanti sono i desideri che emergono!) che si risolve «nell’arbitraria estensione del potere regolatore dello Stato»; non foss’altro perché, nella specie, i Dico si risolverebbero «in un costoso allargamento del welfare a nuovi soggetti, con aggravio della finanza pubblica» ; dico io, a scapito di nuclei familiari che andrebbero tutelati e promossi.Stefania Fuscagniconsigliere regionale della Toscana Caro Direttore,ma chi diavolo l’ha deciso che il problema principale – su cui discutere, decidere, magari rischiare il futuro del governo Prodi – sia quello delle coppie di fatto, dei «pacs» o come si vogliano chiamare in un’Italia così piena di problemi che però non emergono, non hanno pari dignità, restano nascosti? Perché si straparla dei «dico» e non, per esempio, di chi evade le tasse? Chi ha deciso che tutti gli sforzi debbano concentrarsi sui diritti degli omosex o sul diritto (sic) all’eutanasia lasciando sullo sfondo, che so, il senso delle nostre missioni «di pace» o la scelta di buttare soldi negli armamenti trascurando la cooperazione internazionale? Chi determina la vera agenda del confronto politico? In una democrazia non dovrebbero essere gli elettori? In base a quali logiche un tema certo importante, ma oggettivamente secondario, come le unioni fra persone dello stesso sesso finisce per rivestire una forza tale da sconquassare e modificare le priorità della scaletta politico-istituzionale? Se è giusta, logica, spiegabile l’attenzione riservata ai registri per le coppie di fatto o alla matura scelta di chi non sceglie il vincolo matrimoniale (religioso o civile che sia) per restare coppia comunque «di fatto», chi mai ha deciso che questa specifica attenzione debba sovrastare la piccola, microscopica, residuale attenzione riservata, per esempio, alle giovani coppie che comunque decidono di sceglierlo, quel vincolo matrimoniale? Interessa ancora a qualcuno conoscere e governare con giustizia la fatica, il sacrificio, le rinunce che costringono una coppia – diciamo così: tradizionale – davanti alla scelta di sposarsi e, magari, di mettere al mondo uno o più figli? Qualcuno, ad esempio, si occupa dei mutui per acquistare casa o della fatica per arredarla? Dopo anni che se ne discute, dove sono gli interventi concreti a sostegno della famiglia basata sul matrimonio previsto dalla nostra Costituzione?

In un contesto dove, ormai, non è neppure più chiaro cosa sia la «normalità» e cosa possa essere la «trasgressione» e in cosa la «diversità» si distingua dalla «tradizione», chi e perché sceglie le emergenze o le priorità nel dibattito politico? Quale dose di abile manipolazione, anche attraverso un uso spregiudicato dei media, c’è in tutto questo?

Un’ultima, terribile, domanda che forse riassume tutte le altre. Dove diavolo è finita la Politica?Mauro BanchiniPoggio a Caiano (Po) Caro Direttore,alle ultime elezioni ho votato Margherita e spero comunque che Prodi vada avanti e concluda la legislatura. Per quanto riguarda i «Dico» mi auguro anch’io – da cattolico – che la «Nota» della Conferenza episcopale italiana sia «pastorale» e non «disciplinare», mentre condivido in tutto le parole di Benedetto XVI. Se fossi chiamato a votare sui «Dico» voterei no. Credo ancora che qualsiasi governo (e anche il Parlamento) dovrebbe guardare e sostenere in maniera forte la famiglia,Giovanni ManecchiaGhezzano (Pi) Quando la posta in gioco è alta – e indubbiamente il disegno di legge di iniziativa governativa sui diritti-doveri dei conviventi «apporta mutamenti di grandissimo rilievo nell’ordinamento giuridico italiano» – non servono i toni alti né un’eccessiva personalizzazione – «Bindi sì / Bindi no» – né tantomeno il disquisire… sui «pericoli» che lo Stato laico correrebbe per le «ingerenze» dei vescovi: tutto questo è fuorviante. L’attenzione e il confronto devono essere tenuti, direi… laicamente, sulle norme e sullo spirito della legge in discussione.Per questo è prioritario valutare l’effettiva portata dei Dico, soprattutto gli aspetti che sfuggono a chi non è giuridicamente provveduto e le conseguenze che questa legge, se approvata, determinerà. Ogni legge infatti non regola solo l’esistente, ma ha sempre un contenuto orientativo e educativo. Col pretesto di venire incontro a situazioni dolorose, ma diverse tra loro, perché le convivenze esprimono una tipologia molto varia, i Dico finiscono per veicolare un messaggio-tesi caro ad alcune forze politiche e a ben determinati gruppi di pressione: ogni unione – eterosessuale o omosessuale – in fondo si equivale e fa famiglia. Questa assimilazione, al di là delle dichiarazioni di principio – in alcuni certamente sincere – determinerà nel sentire comune un forte indebolimento della famiglia fondata sul matrimonio, privandola di quel favor legis – che non è solo economico, ma anche culturale e valoriale – che la Costituzione le attribuisce.La nostra opposizione ai Dico nasce proprio dall’assunto ideologico che li sottende e non da motivazioni confessionali, come costantemente, e interessatamente, si afferma. Valori come la famiglia, la vita, la pace, la giustizia non possiedono un carattere peculiarmente religioso, anche se il Vangelo indubbiamente li illumina e li vivifica. Sono un patrimonio dell’intera umanità e i cattolici vogliono contribuire con i tanti «laici», pensosi del futuro della nostra società, a tenerli vivi.Prima di tutto con l’azione educativa, la coerenza della vita e la testimonianza della carità, ma anche nella legislazione mediante l’impegno socio-politico: certo, per quanto è possibile, ma il più possibile.E non ci sembra né una battaglia di retroguardia né una difesa di realtà superate.

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