Il dialogo interreligioso è al tempo stesso un rischio e un’opportunità. Lo ha detto questo pomeriggio il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, alla consulta dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro riunita a Roma da oggi al 5 dicembre. Tutti siamo condannati al dialogo ha proseguito il porporato, spiegando che esso consiste nella ricerca della comprensione reciproca fra due persone in vista di una comune interpretazione di ciò su cui concordano o meno. Per Tauran ciò implica un linguaggio comune, onestà nella presentazione delle proprie posizioni, e desiderio di fare il possibile per comprendere il punto di vista dell’altro. Presupposti che, applicati al dialogo interreligioso, fanno capire che esso non consiste nell’essere gentili verso gli altri o nel compiacerli, né è questione di negoziare. Si tratta piuttosto di assumersi un rischio senza rinunciare alle mie convinzioni ma confrontandomi con le convinzioni di un altro, accettando di prendere in considerazione argomenti diversi dai miei. Ogni religione ha sottolineato il presule ha la propria identità ed è proprio questa che mi permette di considerare la religione dell’altro. Richiamando la costituzione Nostra Aetate e l’enciclica Redemptoris Missio, il card. Tauran ha rammentato che la Chiesa cattolica non rifiuta ciò che di vero e santo vi è nelle altre religioni, e ha evidenziato i passi compiuti dalla fine del Concilio Vaticano II ai giorni nostri nel dialogo della vita, delle opere, degli scambi teologici e tra le spiritualità. I credenti che portano avanti questo tipo di dialogo ha detto non passano inosservati. Essi sono una ricchezza per la società e se da un lato le autorità civili devono garantire il rispetto effettivo della libertà di coscienza e religione, dall’altro è nell’interesse dei responsabili delle società incoraggiare il dialogo interreligioso e attingere al patrimonio spirituale e morale delle religioni da cui discendono valori che possono contribuire all’armonia, al dialogo tra le culture e al consolidamento del bene comune. Non dovremmo temere le religioni ha ammonito il presidente del dicastero vaticano -. E’ dei loro seguaci che dovremmo avere paura. Sono loro che possono pervertire la religione ponendola al servizio del male ha detto con riferimento, in particolare, agli atti di violenza e terrorismo perpetrati in suo nome.Nel dialogo interreligioso, per il card. Tauran occorre avere un’identità spirituale ben precisa, considerare l’altro non un rivale ma un cercatore di Dio, accettare di parlare di ciò che ci separa e dei valori che ci uniscono. Elementi di separazione, ha affermato riferendosi al dialogo con l’islam, sono il rapporto con le rispettive Scritture, la persona di Gesù e il dogma della Trinità, ma ad unire sono la fede nell’unico Dio e la sacralità della persona umana. Per il porporato cristiani e musulmani possono contribuire insieme al bene comune della società testimoniando, anzitutto, una vita di preghiera personale e comunitaria. Se fedeli al proprio impegno spirituale, essi possono inoltre aiutare a far comprendere che libertà religiosa è ben più che disporre di una chiesa o di una moschea, ma è avere la possibilità di partecipare al dibattito pubblico attraverso la cultura (scuole e università) e attraverso le responsabilità politiche e sociali. Di qui l’importanza che cristiani e musulmani difendano insieme la sacralità della vita umana e la dignità della famiglia, lottino contro l’ignoranza e le malattie, offrano formazione morale ai giovani e siano fautori di pace. Essi sono araldi di due messaggi-chiave: solo Dio è degno di adorazione (dunque no agli idoli), e agli occhi di Dio gli uomini appartengono tutti alla stessa famiglia.