Diàkonos: con questa parola gli antichi greci indicavano il «servo», quello che si prendeva cura della tavola del padrone. Il termine è stato ripreso dalla tradizione cattolica per indicare un particolare ministero ordinato. Nel cristianesimo delle origini il diacono era un ministro, subordinato direttamente al vescovo. Nei secoli la sua funzione è andata persa e il diaconato era rimasto «solo» come tappa sistematica nel cammino verso il sacerdozio (il diaconato transeunte). C’è voluto il Concilio Vaticano II per ripristinare questa autentica vocazione nella Chiesa. Allora i più timorosi credettero che il diaconato permanente potesse aprire le porte al matrimonio per i sacerdoti; si trattò invece di ridare forze a un ministero del tutto particolare, dimenticato da secoli.Un ministero le cui tracce si trovano già nella Chiesa delle origini, in Palestina. Negli Atti degli apostoli è narrata in poche righe la vicenda di Stefano Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmena e Nicola, scelti nella comunità di Gerusalemme per «servire alla mensa», permettendo agli apostoli di dedicarsi alla predicazione e alla carità. Il diacono, nella Chiesa cattolica – oltre a distribuire la Comunione, amministrare alcuni sacramenti, servire all’altare e proclamare la Parola -, collabora attivamente con il vescovo e con i sacerdoti, partecipa con attenzione alla vita della sua comunità di appartenenza e rimane al fianco degli ammalati, dei poveri, degli anziani, di quanti sono in difficoltà. Il tutto compatibilmente con gli impegni «imposti» dalla famiglia e dal lavoro. Il diacono infatti, come si legge nella nota arcivescovile, «partecipa al ministero del vescovo con l’autorità e la grazia di ministro ordinato e con l’esperienza e l’efficacia di un uomo che esercita una professione e – generalmente – vive la sua vita di famiglia. Questa immersione nella vita comune permette al diacono quell’opera di evangelizzazione capillare tanto necessaria nel nostro tempo, che si estende soprattuto tra i lontani e i non credenti, in qualunque ambiente sociale, così da portare a tutti l’annuncio del Vangelo».Più volte ribadito nel testo redatto da monsignor Benotto il legame diretto dei diaconi con il vescovo e il ruolo del tutto particolare di questi ministri all’interno della comunità cristiana: «è emersa chiaramente la necessità di promuovere la consapevolezza dell’intera comunità ecclesiale circa questo ministero e di rendere sempre più espliciti i criteri che debbono guidare il discernimento vocazionale». Perché il diaconato è innanzitutto una vocazione e come tale ha bisogno di essere coltivata, promossa, accompagnata all’interno della Chiesa. In questo senso l’Arcivescovo ha ricordato la funzione preminente del Centro diocesano per le vocazioni, «riferimento sicuro per le proposte da fare nelle parrocchie, nei gruppi, nelle associazioni, nei movimenti». A definire il diaconato nella sua forma attuale furono i padri conciliari, quasi 50 anni fa. Nella costituzione Lumen Gentium, del 1964, sono spiegate le funzioni di questo ministero, le competenze, la natura e la collocazione all’interno della gerarchia ecclesiastica: si trovano in un grado «inferiore» rispetto a quello dei sacerdoti, agiscono in comunione con il vescovo e i presbiteri e sono al servizio della carità e dell’assistenza del popolo di Dio, memori – si legge nel testo – «del monito di San Policarpo: essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti». Non è una citazione qualunque: il martire cristiano del II secolo indirizzò questa raccomandazione ai cristiani di Filippi, e il Concilio vaticano II ritenne di sottolineare con le parole di San Policarpo la funzione dei diaconi non tanto come «assistenti» generici, ma annunciatori della Parola mediante la propria vita e le proprie scelte. Nella diocesi di Pisa il diaconato permanente è stato conferito per la prima volta nel 1990. Da allora hanno seguito questa strada ventinove persone, mediamente poco meno di tre ogni due anni. Ad oggi sono in tutto ventidue, distribuiti nei vari angoli della diocesi. In tempi di crisi delle vocazioni sacerdotali viene spontaneo guardare a loro come «aiuto» e punto di riferimento, specialmente laddove il parroco debba occuparsi di tante parrocchie o unità pastorali, di una comunità molto numerosa o sia addirittura assente. In effetti il libro degli Atti fa coincidere la nascita di questo ministero con l’accrescimento della comunità di Gerusalemme e l’impossibilità per gli apostoli di «stare dietro» a tutto; anche l’ultimo Concilio indicò nei diaconi permanenti una valida «alternativa» ai presbiteri, specie nelle regioni del mondo in cui i sacerdoti erano pochi. Ma attenzione a non vedere nel diacono un semplice sostituto del prete, sarebbe riduttivo: il ministero del diaconato deve essere sempre letto in rapporto al vescovo – si legge ancora nella nota di monsignor Benotto – «anche se poi esso si esprime nelle realtà più diverse della vita ecclesiale o di solito nell’aiuto ai presbiteri per la cura delle singole parrocchie o delle Unità pastorali. Proprio il riferimento al vescovo permette al diacono un esercizio ministeriale che non sia esclusivamente legato a singole realtà locali, ma abbia un autentico respiro diocesano, incarnandosi là dove maggiore è il bisogno di manifestare il dovere di annuncio da parte della Chiesa e il suo impegno caritativo».