Opinioni & Commenti
Di nuovo alle urne tra polemiche e silenzi. Ma vale la pena
di Edoardo Patriarca
Domenica 12 e lunedì 13 giugno si celebrano i referendum su tre questioni sulle quali la politica ha dibattuto e si è accapigliata lungamente, aiutando assai poco i cittadini a formarsi un’opinione matura e coscienziosa sui temi in gioco. Senza entrare nel merito di ciascun quesito (acqua, nucleare, legittimo impedimento) una riflessione credo vada fatta anzitutto sullo strumento referendario e, parallelamente, sullo sperpero di tensione partecipativa che esso oramai veicola non aiutando i cittadini a una partecipazione consapevole e motivata, comunque scelgano.
Riguardo allo strumento, non credo si scandalizzi alcuno se si dichiara la sua «consumazione» per abuso eccessivo. Nei decenni scorsi l’uso selvaggio, ad opera soprattutto dei radicali, ne ha ridotto la portata «rivoluzionaria» che i costituenti gli avevano affidato: la chiamata del popolo a dare il proprio parere nonostante l’approvazione legittima di una maggioranza parlamentare; potremmo dire un baluardo contro un’eventuale «dittatura della maggioranza».
Non solo uno strumento estenuato per cattivo uso, ma pure per la debolezza insita nel meccanismo istitutivo: sono poche le firme necessarie per invocarlo (bassa barriera d’accesso) e troppo alto il quorum richiesto (alta barriera d’uscita) per renderlo valido. Questa forbice eccessiva ha dato spazio a forme di estremismo referendario inutili e dannose per la qualità della partecipazione democratica dei cittadini. Non è poi così difficile raccogliere almeno 500 mila firme e aprire una campagna, comunque vada il referendum.
Molti su questo meccanismo hanno costruito vere e proprie fortune politiche. Varrebbe la pena di apportare alcune semplici modifiche, come tra l’altro suggeriscono da tempo autorevoli costituzionalisti: innalzamento decisivo del numero di firme necessarie ed eliminazione del quorum, il che obbligherebbe i cittadini alla partecipazione attiva, soprattutto quando le questioni in discussione sono delicate e gravide di conseguenze per il bene comune del Paese. Una seconda osservazione va fatta, con altrettanta onestà: il dibattito sugli attuali quesiti referendari finora non c’è stato. Silenzio totale, pochissime le trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate, gravi le responsabilità della Rai.
Sembra che molti abbiano paura a far crescere coscienza e consapevolezza nei cittadini: un’informazione seria, attendibile, fondata sulla realtà e non sullo slogan da qualunque parte provenga, aiuterebbe il Paese a comprendere la rilevanza di almeno due dei tre quesiti posti. I nodi legati alla gestione di un bene comune come l’acqua, come pure il reperimento di energia che renda l’Italia per quanto possibile autosufficiente, sono due questioni di rilevanza strategica per lo sviluppo del nostro Paese.
La ricerca di alternative credibili e di modelli di gestione dei beni comuni attraverseranno il dibattito dei prossimi anni. Ne abbiamo parlato? Ne siamo consapevoli? Non da ultimo non va sottaciuto il tentativo di dissuadere la partecipazione dei cittadini per stanchezza da urna: alcuni milioni di persone sono chiamati in trenta giorni al voto per tre volte. Un po’ troppo. Come pure è apparso un escamotage sgradevole l’approvazione nel decreto omnibus di un comma che cerca d’inficiare il quesito sull’uso dell’energia nucleare. Non è un bel vedere.
A questo punto credo valga davvero la pena di andare a votare, per dire che ci siamo, comunque vada.