Italia

DENUNCIA AL CONVEGNO MIGRANTES, «NELLE CARCERI TEDESCHE DETENUTI ITALIANI SUBISCONO SOPRUSI E RAZZISMO»

“In questo carcere non esistono diritti umani, qualsiasi cane randagio ha più diritti di noi. Specialmente gli stranieri non hanno niente da ridere, siamo esposti giornalmente all’umore e a quello che passa per la testa delle guardie”: è la denuncia contenuta in una delle cinquanta lettere di detenuti italiani in Germania inviati al “Corriere d’Italia”, periodico della Delegazione Italiana delle Missioni Cattoliche e raccolti in un volume dal titolo “Che qualcuno passi a sentire come stiamo”, curato dal direttore del giornale Mauro Montanari. Se ne è parlato in questi giorni a Bellaria al convegno promosso dalla Fondazione Migrantes e dalle delegazioni europee sul tema “L’operatore pastorale in contesto migratorio. Tra memoria e futuro”. “Le punizione – aggiunge la lettera – vengono date dalla guardie come gli pare e piace, siamo esposti a offese, insulti, botte, minacce, parole razziste, etc. “.

Di razzismo scrive anche un altro detenuto secondo il quale nelle carceri tedesche “regna il razzismo, ce n’è tanto nei confronti dei detenuti italiani e stranieri”. Altri lamentano il problema della lingua che in carcere “si aggravano in modo particolare”. La “capacità di esprimersi – aggiunge – vale come criterio per la suddivisione gerarchica dentro il carcere”.

Queste lettere – spiega al Sir il curatore del volume bilingue, con prefazione del card. Karl Lehmann, Vescovo di Magonza – sono arrivate al giornale della missione cattolica italiana dal 1999 al 2003 quando il periodico diede avvio ad una azione per l’abbonamento gratuito ai detenuti italiani nelle carceri tedesche che ne facevano richiesta. Queste lettere denunciavano soprusi, indifferenza, razzismo, problemi di salute che lasciavano “indifferenti” le autorità competenti. “Decidemmo quindi – spiega Montanari – di pubblicare queste lettere. Questo costringeva le istituzioni a rispondere ed a occuparsi di loro” ed emergeva una difficoltà delle autorità sia italiane che tedesche che “non avevano un progetto credibile per creare un circuito di integrazione all’interno delle carceri per i detenuti italiani che non potevano altrimenti integrarsi nella vita sociale del carcere”. Sir