Italia

Denatalità, serve una società più attenta alle relazioni

Intervista a Alfredo Caltabiano dal 2022 alla guida di Anfn, l’Associazione che raduna e dà voce alle famiglie numerose in Italia

L’inverno demografico? Adesso punge l’Italia e l’Europa, ma presto sarà avvertito in tutto il mondo. È quanto riporta un’inchiesta del Wall Street Journal pubblicata lo scorso 13 maggio. «Quasi ovunque il tasso di fertilità femminile sta diminuendo» si legge nel giornale. Un “baby-bust” che ha avuto un’accelerazione imprevista. Cogliendo molti di sorpresa.

Appare meno sorpreso di altri Alfredo Caltabiano, 61 anni, parmigiano, sposato con Claudia e padri di sei figli – tra naturali e in affido – bancario in pensione, dal 2022 alla guida di Anfn, l’Associazione che raduna e dà voce alle famiglie numerose in Italia. «Da sempre, per ipotizzare quale sarà, in futuro, la popolazione di un territorio, di una regione, di uno stato, di un continente, del mondo – osserva Caltabiano – si proiettano in avanti i dati forniti dal passato. Dall’inizio del secolo le proiezioni demografiche, però, sono state puntualmente smentite dai dati ottenuti in tempo reale. Faccio un esempio. Nel 2011, le proiezioni Istat sulla popolazione italiana ipotizzavano tre diversi scenari: uno mediano, uno ottimista e uno pessimista. Secondo lo scenario più pessimista la popolazione italiana sarebbe calata dal 2025. Com’è andata a finire? La popolazione italiana ha toccato il suo picco nel 2014, per diminuire nel 2015. 10 anni prima del peggior scenario ipotizzato dall’Istat».

Sette anni fa le Nazioni Unite avevano stimato che la popolazione mondiale sarebbe salita dai 7,6 miliardi di abitanti di allora agli 11,2 miliardi del 2100…

«Esatto. Già oggi, invece, l’Onu ha rivisto al ribasso quelle stime, prevedendo per la fine del secolo una popolazione di poco superiore ai 10 miliardi di persone. Secondo previsioni meno ottimistiche (e – osservo io – più realistiche) la popolazione mondiale non arriverà molto oltre i 9 miliardi di abitanti, per poi cominciare a scendere già dalla metà del secolo».

Ci aiuti a capire… quanti figli dovrebbero generare le coppie per mantenere l’equilibrio demografico?

«Per mantenere l’equilibrio demografico, quindi una popolazione stabile che non cresce e non diminuisce, in cui i nuovi nati sostituiscono – semplicemente – le persone che muoiono, ogni donna dovrebbe avere mediamente – a livello mondiale – 2,2 figli».

Come si arriva a questo numero?

«I due figli, è intuitivo, sono destinati a sostituire papà e mamma, divenendo – potenzialmente – loro stessi genitori. Lo 0.2 tiene conto della mortalità infantile, quella che precede l’età fertile. Per i paesi ricchi, dove la mortalità infantile è minore, l’indice di sostituzione è pari a 2,1».
È un tasso di sostituzione che ancora uomini e donne riescono a garantire?
«In base alle prime simulazioni, per la prima volta nella storia dell’umanità, il tasso di sostituzione globale del 2023 si attesterebbe al di sotto di quello d’equilibrio: 2,15 anzichè 2,20».

Dal «Baby boom» al «baby bust»…

«Come riporta il WSJ, il baby bust si sta verificando così rapidamente e così ampiamente che ha colto molti di sorpresa. L’India ha un indice di fertilità pari a 2, gli Usa pari a 1,62, la Cina di poco superiore a 1, il Sud Corea addirittura 0,72».

Come si è arrivati a tutto questo?

«I motivi sono diversi. Alcuni solo specifici di alcuni paesi: penso, ad esempio, alla politica del figlio unico della Cina; o, nel caso della Corea del Sud, l’alta competitività presente nelle scuole e nel lavoro. Ci sono anche alcune motivazioni biologiche: come ha segnalato il professor Luigi Montano in occasione dell’edizione 2023 degli Stati Generali della Natalità, negli ultimi 46 anni il numero medio di spermatozoi si è ridotto del 50%, per effetto dell’inquinamento chimico e della presenza di microplastiche. In generale, possiamo – però – dire che il modello consumistico e individualista, presente ormai a livello globale, privilegia il lavoro, la realizzazione e il benessere individuale, rispetto a quello che dovrebbe essere un istinto “naturale”: quello della riproduzione».

Quali saranno le conseguenze dell’inverno demografico nel mondo?

«Già le si stanno sperimentando in quei paesi, come l’Italia, dove l’inverno demografico è già arrivato: calo e progressivo invecchiamento della popolazione, costante riduzione della generazione “core”, quella dai 20 ai 39 anni, che è il motore di una nazione, in quanto in questa età avvengono le principali innovazioni tecnologiche. Certo, questo fenomeno si incrocerà con altri importanti fenomeni in corso, uno su tutti il progressivo avanzare della Intelligenza Artificiale e della robotica, che renderà sempre meno necessaria la forza lavoro umana, sia fisica che mentale. In un futuro neanche tanto lontano (ma che sicuramente non riguarderà me e lei e chi leggerà questa intervista!), non è impossibile immaginare una popolazione mondiale fatta in prevalenza di anziani, che vivono in una bolla dorata, accuditi da robot e AI. Un quadro concettualmente bello e interessante, ma che cela un grande rischio: l’implosione stessa della civiltà umana. C’è già qualcuno che ne parla…».

Come sta reagendo la politica a questo fenomeno?

«La Cina è stata una delle prime che ha preso atto delle importanti conseguenze economiche e sociali della denatalità. Non a caso, è uno dei pochi paesi che, grazie a un sistema politico “stabile”, può permettersi di pianificare politiche a lungo termine. Ora, la natalità è diventata una priorità fondamentale per raggiungere e mantenere la leadership mondiale. Negli altri paesi il tema sta sicuramente diventando di attualità, ma l’impressione è che l’approccio della politica verso questo fenomeno sia lo stesso assunto dalla rana che si trova dentro una pentola di acqua fredda, messa sul fuoco. L’acqua diventa dapprima tiepida, e appare anche gradevole; poi diventa calda, infine bollente. Ma quando cerchi di fare il salto per uscire dalla pentola, non hai più le forze… L’Italia rispecchia in pieno questa situazione. Siamo ormai al confine tra l’acqua calda e l’acqua bollente. Forse siamo ancora in tempo a fare uno sbalzo… Ma se l’agenda politica continua a riempirsi di altre priorità – e se ancora non c’è la consapevolezza di un grande sforzo comune, da fare in tempi rapidi e coinvolgendo tutti gli attori della comunità (Governo, minoranza, regioni, comuni, imprese, sindacati, terzo settore, università, etc.) – allora il tempo passa, e l’acqua comincerà presto a bollire».

Sono oltre 5 milioni e 140mila gli «zoomer» nati dal 2005 al 2013 e residenti in Italia. Se però ci atteniamo alle intenzioni espresse dai ragazzi tra gli 11 ed i 19 anni una ripresa demografica appare non impossibile, come abbiamo scritto nello scorso numero presentando i risultati dell’indagine «bambini e ragazzi» realizzata da Istat…

«Ho letto l’intervista al presidente del Forum Adriano Bordignon, le cui parole condivido. Dobbiamo partire dai desideri dei giovani, che rappresentano una speranza. Mettiamo i nostri giovani nelle condizioni di avere il numero di figli desiderato! Chiediamoci però perché dopo i vent’anni vengono fatte altre scelte. La risposta è abbastanza semplice: il nostro modello prevede la realizzazione individuale attraverso il lavoro e il successivo godimento del frutto del lavoro, ossia l’acquisto di beni materiali, o, più semplicemente, di momenti di svago, divertimento e tempo libero. I figli possono essere visti come un impedimento a questo schema. La soluzione? Una società e un’economia più attenta alle relazioni e al bene comune. Dove non vieni misurato per quello che hai, ma per quello che sei e per quello che rappresenti verso gli altri e verso la comunità. In una visione “glocal” che ha sì uno sguardo a livello globale, ma che allo stesso tempo guarda al benessere del territorio. Dove più che il conto in banca, vale la somma delle relazioni che garantiscono solidarietà e gioia comune. Come, ad esempio, i figli. Utopia? Forse. Ma se in tanti fanno lo stesso sogno, questo prima o poi è destinato a diventare realtà».