Italia

Denatalità, Forum famiglie: “Lo stato deve fare di più”

Intervista ad Adriano Bordignon, presidente del Forum delle associazioni familiari: "Ogni anno che passa avremo minori possibilità di tornare, un giorno, a un equilibrio demografico nel nostro Paese"

Culle vuote denatalità

Sono oltre 5 milioni e 140mila gli “zoomer” nati dal 2005 al 2013 e residenti in Italia. Un numero destinato a ridursi nei prossimi anni, secondo le proiezioni elaborate dai demografi. Se però ci atteniamo alle intenzioni espresse dai ragazzi tra gli 11 ed i 19 anni una ripresa demografica appare non impossibile. È quanto emerge dall’indagine «bambini e ragazzi» presentata nei giorni scorsi da Istat.

Alcuni dati: i giovanissimi intervistati vedono il loro futuro in coppia (74,5%) e molti pensano al matrimonio (72,5%). Tra i giovanissimi il 69.4% desidera avere figli: di questi soltanto l’8,8% è per il figlio unico, mentre il 18,2% pensa a tre o più figli. Tra gli stranieri la percentuale di coloro che vogliono tre figli o più arriva al 20,5%.

Le nuove generazioni – sempre più multiculturali e digitali – esprimono più di una preoccupazione: un ragazzo su tre dichiara di aver paura del futuro e sempre uno su tre vorrebbe vivere all’estero da grande.
Intenzioni che vogliamo commentare con Adriano Bordignon, dallo scorso anno presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari. «Istat, con questa indagine, ci offre una lettura in controtendenza rispetto al “racconto” prevalente sulla società odierna. I più giovani, anche quando provengono da storie familiari complesse e faticose, dimostrano di avere una grande attrazione verso le relazioni familiari. Credo che questi desideri, così intimi e genuini, dovrebbero trovare ascolto tra le istituzioni».

Già, ma come?

«Per non tradire le aspettative e supportare questo desiderio di famiglia dei più giovani occorre un riconoscimento sociale della funzione delle famiglie. Ma servono anche misure economiche, fiscali e lavorative mirate. I giovani devono poter raggiungere presto indipendenza e realizzazione professionale per non dover rinviare all’infinito il sogno di “mettere su famiglia”. La società civile e i media anziché alimentare le dinamiche individualistiche, dovrebbero promuovere un cambiamento anche culturale, capace di favorire la cura delle relazioni e la capacità di condividere sfide e risorse. Preoccupa che un ragazzo su tre dichiari di avere paura del futuro e che il 34% vorrebbe lasciare l’Italia da grande: significa che i giovani si sentono dimenticati e non valorizzati dal sistema Italia. Se non saremo capaci di invertire la tendenza, finiremo per sperperare un patrimonio di fiducia, forza e creatività».

L’ultimo report dell’Istat pare in linea con altri studi sociologici pubblicati negli ultimi venti anni. Poi, però, nei fatti, il tasso di fertilità continua a ridursi, collocandosi ben al di sotto del ricambio generazionale. Perché?

«I figli nascono e crescono in un contesto che – malgrado tutto – li appassiona a rivedersi in una famiglia anche da adulti. Purtroppo, con il tempo, arriva la consapevolezza che nel nostro Paese scegliere la famiglia non è così facile. La bellezza delle relazioni porta con sé l’impegno a prendersene cura anche nella loro complessità, a costruire progetti di vita e a farsi responsabili della vita degli altri. Oggi alcuni modelli culturali non favoriscono tutto questo: stanno crescendo, infatti, l’individualismo e una minor capacità di stare di fronte ai conflitti e a trovare soluzioni mediative. E chi decide di mettere al mondo uno o più figli lo fa solo se è fortemente motivato, perché l’organizzazione sociale, effettivamente, è ostile alle famiglie con figli: penso alla difficoltà di accesso ai servizi e al mercato del lavoro, all’ inequità fiscale, al costo della vita, al mancato riconoscimento sociale».

«La donna non è pienamente libera di scegliere se portare avanti o meno la gravidanza» aveva osservato la ministra Eugenia Roccella in occasione degli Stati generali della natalità prima di dover rinunciare al suo intervento perché interrotta dalla contestazione di un manipolo di giovani. È così?

«È così. Il fenomeno della denatalità si associa anche alla mancanza di effettiva libertà di una coppia e di una donna di generare un figlio. In occasione degli Stati generali della natalità, già prima dell’intervento della ministra, era emerso come per favorire la ripresa della natalità non serve ‘convincere’ le donne ad avere un figlio quando anche non lo volessero: sarebbe ridicolo e irrispettoso. E però occorre mettere le persone nelle condizioni di portare a compimento il desiderio di avere un figlio. Troppe donne, anche oggi, si trovano costrette a ripiegare di fronte a questo desiderio perché le remunerazioni da lavoro, la precarietà, l’incertezza lavorativa, i pochi strumenti conciliativi, la carenza e l’onerosità dei servizi inducono a scelte di ripiego. Lo Stato deve fare di più. Molto di più».

È ancora possibile invertire il trend?

«Ogni anno che passa avremo minori possibilità di tornare, un giorno, a un equilibrio demografico nel nostro Paese. È per questo motivo che sollecitiamo il Governo, ma anche Regioni, enti locali e forze produttive a mettere in campo un grande piano di emergenza che integri potenti politiche natalistiche e appropriata gestione dei flussi migratori. Non si tratta di una delle tante politiche del Paese, ma della vera azione strutturale che determinerà il futuro delle prossime generazione. È necessario cambiare marcia, e forse anche motore. Noi non vogliamo essere tra quelli che saranno ricordati perchè sapevano ma non sono intervenuti».