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DECRETO SICUREZZA: MONS. POMPILI (CEI), IRRINUNCIABILI DUE AZIONI CONVERGENTI

“Sulla questione dell’immigrazione – dichiara al Sir mons. Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei – vale anche oggi (cioè all’indomani dell’approvazione da parte del Senato del ddl sicurezza) quanto affermato nel comunicato finale dell’ultima assemblea generale della Cei tenutasi lo scorso mese di maggio”. In quella occasione, aggiunge il portavoce Cei, i vescovi “hanno concordato sul fatto che si tratta di un fenomeno assai complesso, che proprio per questo deve essere governato e non subìto. È peraltro evidente che una risposta dettata dalle sole esigenze di ordine pubblico – che è comunque necessario garantire in un corretto rapporto tra diritti e doveri – risulta insufficiente, se non ci si interroga sulle cause profonde di un simile fenomeno. Due azioni convergenti sembrano irrinunciabili. La prima consiste nell’impedire che i figli di Paesi poveri siano costretti ad abbandonare la loro terra, a costo di pericoli gravissimi, pur di trovare una speranza di vita. Tale problema esige di riprendere e incrementare le politiche di aiuto verso i Paesi maggiormente svantaggiati”. La seconda risposta al fenomeno migratorio, ricorda mons. Pompili sempre richiamando le conclusioni dell’ultima assemblea Cei – “sta nel favorire l’effettiva integrazione di quanti giungono dall’estero, evitando il formarsi di gruppi chiusi e preparando ‘patti di cittadinanza’ che definiscano i rapporti e trasformino questa drammatica emergenza in un’opportunità per tutti. Ciò è possibile se si tiene conto della tradizionale disponibilità degli italiani – memori del loro passato di emigranti – ad accogliere l’altro e a integrarlo nel tessuto sociale. Suonerebbe infatti retorico l’elogio di una società multietnica, multiculturale e multireligiosa, se non si accompagnasse con la cura di educare a questa nuova condizione, che non è più di omogeneità e che richiede obiettivamente una maturità culturale e spirituale”.In riferimento sempre alla questione migratoria, mons. Pompili richiama anche le parole del card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei nella prolusione all’ultima assemblea dei vescovi. Accanto al “valore incomprimibile di ogni vita umana, la sua dignità, i suoi diritti inalienabili” disse il cardinale “ce ne sono altri, come la legalità, l’affrancamento dai trafficanti, la salvaguardia del diritto di asilo, la sicurezza dei cittadini, la libertà per tutti di vivere dignitosamente nel proprio Paese, ma anche la libertà di emigrare per migliorare le proprie condizioni da contemperare naturalmente con le possibilità d’accoglienza dei singoli Paesi, o magari solo per arricchirsi culturalmente. Motivo per cui il singolo provvedimento finisce con l’essere fatalmente inadeguato se non lo si può collocare in una strategia più ampia e articolata che una nazione come l’Italia deve darsi a fronte di un fenomeno epocale come la migrazione di intere popolazioni. La geografia infatti ha connesso un elemento – per così dire – vocazionale, un’indole che connota il Paese in rapporto alla sua collocazione storico-ambientale”.Due, conclude mons. Pompili richiamando sempre le parole del card. Bagnasco, le domande da porsi: “che cosa facciamo per contribuire a che i figli dei Paesi poveri non si vedano costretti ad affrontare qualunque rischio pur di darsi una speranza di vita? Cosa facciamo per assicurare un’effettiva integrazione agli immigrati che giungono nelle nostre città?”. “La via della cooperazione internazionale deve diventare un caposaldo trasversale della politica italiana ed anche europea, una scelta oculatamente perseguita e dunque anche impegnativa sul fronte delle risorse”, la risposta alla prima domanda. “Solo migliorando le condizioni economiche e sociali dei Paesi di origine dei nostri immigrati si può togliere al fenomeno migratorio la propria carica dirompente”, fa notare il portavoce della Cei, e questo “è un motivo in più perché l’Italia si attivi molto nella riformulazione” di “più giusti meccanismi di governo dell’economia mondiale”. Per rispondere alla seconda domanda, “conta ovviamente il posto di lavoro e una dimora minimamente dignitosa, ma tutto ciò – anche quando è assicurato – non basta. Bisogna evitare il formarsi di enclave etniche, perché così non solo si scongiurano micro-conflitti diffusi sul territorio, ma si modifica la percezione circa la presenza di stranieri”.Sir