Italia
De Gasperi e il «sogno» di un’anima per l’Europa
Signora De Gasperi, cosa rappresenta il premio Europa?
«Il premio Europa significa premiare colui che assieme ad Adenauer e a Schumann ha avuto questa idea di unità europea e soprattutto ha lavorato durante gli ultimi anni della sua vita quasi esclusivamente per raggiungere questo obiettivo. Quando è morto mio padre molte cose non erano ancora concluse ma ricordo che soprattutto gli ultimi mesi, quando si trattava di votare il trattato per l’esercito comune, egli era molto angosciato perché temeva che questo voto non sarebbe passato. Gli ultimi giorni aveva le lacrime agli occhi e diceva: Se non lo facciamo adesso non lo faremo più. E il giorno prima di morire disse: Vedi, il Signore ti dà la forza, il coraggio, la vita, ti fa lavorare, ma quando credi di essere indispensabile egli ti dice che sei soltanto utile. E tu vorresti andare dall’altra parte con il tuo compito finito perché noi siamo fatti per le cose finite. Io ho fatto tutto quanto era in mio potere e la mia coscienza è in pace».
Quale era la caratteristica più «europea» di Alcide De Gasperi e della sua politica?
«La collaborazione, la cooperazione, la fratellanza, il desiderio di avere tutti amici, tutti proiettati verso un futuro meno egoista. La giustizia, il lavoro, la possibilità di migliorare lui le vedeva più possibili in presenza di un’unità di popoli».
L’Europa di oggi, nonostante i passi fatti, forse non è del tutto quella sognata da suo padre. Cosa manca?
«Quando mio padre morì, ricordo che andai a trovare Schumann per avere da lui qualche ricordo e lui mi disse che l’Europa stava cominciando ma aveva bisogno di un’anima. Mi pare che ancora oggi un’anima l’Europa non ce l’abbia. Ha fatto molti passi avanti, però, in realtà, l’anima non è ancora venuta fuori perché non è venuta fuori l’unità politica».
Si è parlato di un’Europa schiacciata sul versante economico, che ancora non riesca ad avere sul piano internazionale un peso diplomatico unitario. Che ne pensa?
«Quello politico è l’aspetto più difficile da intraprendere perché si tratta da parte dei vari paesi di rinunciare a una fetta della propria importanza e responsabilità per avere invece un turno diciamo così di presidenza politica. Allora mio padre e gli altri avevano pensato anche di mettere assieme un esercito ma non per combattere qualcuno, bensì per mettere insieme qualcosa che già esisteva. Questo era il punto di forza di questi tre uomini, che vengono chiamati i padri dell’Europa. Purtroppo la cosa non riuscì e il tutto fu rimandato di quarant’anni».
Un’idea forte di suo padre era appunto una difesa comune europea. La ritiene sempre essenziale?
«Io credo che non dobbiamo difenderci da nessuno ma dobbiamo cercare di avere assieme a noi altri paesi perché non ci sia bisogno di difendersi. L’importante sarebbe avere una voce europea nei confronti delle altre potenze del mondo. Se noi non siamo ancora Europa non significhiamo più niente, siamo troppo piccoli. Dobbiamo arrivare ad essere Europa prima che altre potenze escano con la loro grandezza».
Quale peso devono avere i valori della tradizione cristiana nella stesura della costituzione europea?
«Non bisogna dimenticarsi che le fondazioni dell’Europa sono cristiane, l’idea della democrazia viene dal cristianesimo come pure l’idea del rispetto della persona umana, della libertà. Non si può dimenticare l’origine di queste cose. Non è detto che si debba fare un’Europa cristiana, si deve fare un’Europa che non dimentica la cultura cristiana».
C’è qualche episodio legato a suo padre che ricorda particolarmente volentieri?
Alle 12,15 la Messa. Dopo il pranzo (prenotazioni ai numeri 055-59242, 055-430647, 055-862259 o 0574-499723 solo la mattina) la ripresa dei lavori che si concluderanno con la recita dei vespri.