Economia
Dazi, Moro: “Rischiano di danneggiare tutti”
Con i dazi minacciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump si profila "una situazione economica più difficile per tutti. Con le politiche monetarie di reazione all'inflazione il rischio è che le crisi diventino ancora più gravi". A parlare è l'economista Riccardo Moro, docente di politiche dello sviluppo alla Statale di Milano

L’economia mondiale e i governi sono in fibrillazione per la guerra dei dazi su alcuni prodotti – tra cui alluminio, acciaio, rame – scatenata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump soprattutto nei confronti di Canada, Messico, Europa, Cina. Gli altri Paesi, Ue compresa, stanno cercando di prendere delle contromisure. Con l’economista Riccardo Moro, docente di politiche dello sviluppo alla Statale di Milano (nel 2000 era stato direttore della fondazione Cei che si interessò all’operazione di remissione del debito di due Paesi africani) l’agenzia Sir ha cercato di capirne gli effetti sull’economia globale e in particolare sui Paesi meno sviluppati del Sud del mondo. “Tutti gli indici dicono che si va verso una crisi economica – avverte -. Se succede questo si riduce la domanda aggregata in generale, la domanda globale, quindi anche il Sud del mondo ne è danneggiato perché vende di meno. Se poi si produce un’inflazione più o meno generalizzata vuol dire che anche gli approvvigionamenti che questi Paesi devono fare all’estero diventano più onerosi”.
Quali potrebbero essere gli effetti dei dazi Usa a livello globale?
È difficile fare previsioni e capire esattamente cosa succederà perché gli annunci sono continui e continue sono le smentite parziali o totali. In generale
a livello globale c’è il rischio di una guerra commerciale, che ha come primo risultato sicuramente l’inflazione.
L’inflazione genera alti tassi di interesse perché le banche centrali cercano di contrastare l’inflazione.
Questo comporta di fatto una contrazione dell’economia. Di conseguenza ci sono problemi di occupazione e in termini di volume d’affari.
L’idea di Trump di attirare attività produttive negli Stati Uniti. Lui fa dichiarazioni roboanti ma in realtà l’unica cosa che potrebbe essere sensata è quella di indurre le imprese che hanno delocalizzato le attività produttive a produrre negli Stati Uniti, aumentando così l’occupazione interna, cioè ricreando le classi operaie e creando una distanza tra ceto medio, economicamente più privilegiato, e ceti popolari. Perché mano a mano che si delocalizzano attività produttive si riducono le opportunità di occupazione per i ruoli meno qualificati, che sono esattamente gli elettori di Trump che si sono lamentati dell’inflazione sotto la presidenza Biden. Che questo obiettivo si raggiunga è onestamente molto difficile da prevedere. Se si realizzerà sarà nel medio periodo, certo non in tempi brevi. Quindi si crea
una situazione economica più difficile per tutti. Con le politiche monetarie di reazione all’inflazione il rischio è che le crisi diventino ancora più gravi.
Quali le ripercussioni commerciali e geopolitiche?
È possibile che cambino le alleanze commerciali e gli equilibri geopolitici. Gli Stati Uniti potrebbero non essere più essenziali. Perché non c’è nulla negli Stati Uniti che altri Paesi non hanno, dal punto di vista produttivo, dell’informatica, della ricerca tecnologica, dei social. Il fatto che la Cina abbia prodotto una propria intelligenza artificiale dimostra che non c’è più un monopolio culturale, scientifico, tecnologico in nessun settore. Ciò significa che a un certo punto gli altri diranno: possiamo fare a meno degli Stati Uniti? E chi potrebbe beneficiare di tutto questo è la Cina. Perché la Cina continua ad avere produzioni a basso costo, tecnologicamente qualificate. Non è un caso che un giornale conservatore, neoliberista, come il Wall Street Journal abbia detto che ora queste politiche sono insensate.
Quale potrebbe essere l’impatto di queste nuove politiche statunitensi sui Paesi meno sviluppati del Sud del mondo?
Gli Stati Uniti hanno un rapporto piuttosto forte di scambi commerciali con l’America Latina. Le altre parti del Sud del mondo non hanno una dipendenza così forte. L’effetto maggiore ci sarà con l’interruzione dei fondi USA per gli aiuti umanitari.
L’effetto di questa decisione è che tutta l’Africa sta ora guardando verso la Cina.
Tanti Paesi africani sono andati nelle ambasciate cinesi a chiedere aiuti per sostituire le risorse che prima venivano dagli Stati Uniti. E la Cina – che non risponde mai in modo trasparente – non ha detto chiaramente no. Poi il Sud del mondo non esporta granché verso gli Stati Uniti anche se ha grandissime quantità di materie prime. Forse in Africa la componente più importante delle esportazioni in questi anni è stata principalmente la vendita all’estero di minerali, soprattutto verso la Cina, dove si fa la trasformazione dei prodotti nelle manifatture. Quello che si può prevedere è che in questo modo diventerà ancora più forte, da parte dei Paesi del sud del mondo, la tendenza a orientare, per le partnership commerciali e politiche, lo sguardo verso la Cina .
Siamo di fronte a una non comprensibile corsa verso l’indebolimento e l’isolamento degli Stati Uniti.
Un’altra considerazione è che con i dazi si compromettono gli investimenti industriali, che si sviluppano quando c’è una ragionevole sicurezza del futuro. Se un imprenditore non sa a che prezzi venderà domani e quali saranno i ritorni economici si crea un clima di sfiducia che riduce la propensione all’investimento negli Stati Uniti.
Però in Africa ci sono terre rare, petrolio…
Gli Stati Uniti e Trump hanno sicuramente interesse alle terre rare e a capire come si muovono pezzi di mercato non tradizionale. In Africa non sappiamo esattamente cosa stiano facendo. Sicuramente però mi pare difficile che possa trovare grandi disponibilità nel momento in cui chiude le risorse di USAid.
C’è una strategia dietro queste decisioni?
È difficile rispondere ma sembrerebbe di no. Personalmente sono molto spaventato da leader come Trump e Musk, che sono chiaramente due personalità borderline. L’autobiografia di Musk sembra rivelare un personaggio con un complesso di inferiorità mostruoso, con un desiderio di dimostrare al padre autoritario impossibile da soddisfare. Una sete di affermazione in tutti i settori che non ha limite, con un disprezzo totale della verità. Non segue una strategia politica ma un delirio personale. Trump è un po’ il bullo di quartiere, che invita Zelensky e poi lo insulta davanti alle telecamere. Questo è molto preoccupante. Non sembra seguire una strategia di governo e non si capisce neanche se c’è qualcuno dietro che muova i fili. A volte sembra di essere nel film di fantascienza “Idiocracy”, in cui la corruzione e il degrado culturale delle persone rendono tutti una massa di idioti.