Cultura & Società

Darwin, la Chiesa e l’evoluzione

div class=firma>di Tito ArecchiProfessore di fisica – Università di FirenzeIl recente dibattito sui programmi delle scuole elementari, che escludevano ogni cenno alla teoria darwiniana dell’evoluzione biologica, ha suscitato una reazione corale da parte della comunità scientifica, per cui il ministro Letizia Moratti è intervenuto, affidando il problema a un gruppo di biologi, visto che la commissione dei pedagoghi che aveva studiato la riforma dei programmi si era resa responsabile dell’esclusione.

Da uomo di scienza, non ho capito molto perché si era voluta questa esclusione: ricordo che quando mia figlia era alle elementari, (qualche decennio fa) la maestra con molta intelligenza riusciva a raccontare quel che sappiamo sullo sviluppo della vita in modo da affascinare i bimbi. L’unico inconveniente fu che in un fine settimana alcuni bimbi estrassero dall’acquario di classe un pesciolino, per vedere se il lunedì successivo le pinne si sarebbero trasformate in zampe: grazie a quel martire della scienza, tutta la classe capì che la scala temporale dell’evoluzione biologica è molto più lunga della nostra vita e anche di tutta la storia umana.

D’altronde per me, che ho fatto le scuole quando da poco Pio XII aveva affrontato il problema della evoluzione nella Humani Generis, non c’era nessun pericolo di conflitto con i dati di dottrina che ricevevo nella mia formazione cattolica; anzi, sarebbe stato offensivo pensare ad un Dio-burattinaio la cui azione dovesse determinare direttamente ogni fatto osservato. Era proprio il contrario nella tradizione culturale della Chiesa, da S. Agostino a San Tommaso: Dio opera per cause seconde che sono altre creature visibili e sperimentabili; e la scienza della natura non è altro che l’esplorazione di queste cause seconde, demandando alla metafisica o «filosofia prima» lo studio dell’essere in quanto tale, indipendentemente dalle connotazioni specifiche che catturiamo nelle nostre osservazioni. Il problema di una armonia fra Fede (verità rivelate) e ragione (verità accessibili alla nostra ragione autonoma) riguarda la filosofia prima e non la scienza, come discusso da Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio.

In effetti, questo quadro è stato modificato negli ultimi decenni dal diffondersi di due fondamentalismi: da una parte alcuni gruppi cristiani (non cattolici!) negli Stati Uniti cercano di imporre una corrente di opinione, detta creazionismo, in base a cui bisogna prendere alla lettera il racconto biblico della creazione in sei giorni, con tutte le specie, compreso l’uomo, apparse solo da circa cinquemila anni; dall’altra alcuni divulgatori scientifici – attraverso i media, giornali e tv – cercano di imporre il loro credo (scientismo) che la scienza possa dire tutto e che non esista altro di cui parlare. Si tratta in ambo i casi di una deficienza culturale, di una forma di intolleranza per cui il predicatore familiare con la Bibbia o lo scienziato familiare con le sue procedure tendono a svalutare modi alternativi di conoscenza, senza cercare di esplorarne la validità.

Credo che sia stato per evitare di dovere affrontare questo dibattito, che richiede una maturità di giudizio, che gli estensori dei programmi volevano rinviare a scuole più avanzate la presentazione della evoluzione; rinvio inopportuno per la mia esperienza di genitore e docente, in quanto si viene meno all’obbligo di dare risposte il più possibile esaurienti, e in ogni caso non ingannevoli, alle domande che anche i bimbi delle elementari si pongono.

La decisione del Ministro dovrebbe aver chiuso il caso, ma dato che è di moda tirare in ballo Galileo e Darwin e opporre la luce della scienza a una pretesa chiusura oscurantista della Chiesa, è bene sottolineare una cosa messa un po’ in sordina, che cioè la scienza moderna è figlia della rivoluzione culturale cristiana.

Nel pensiero antico manca l’idea di creazione dal nulla: o il mondo è emanazione, appendice necessaria di Dio, il quale perciò è un po’ calato nel mondo (pan-teismo: Dio in tutto); oppure la materia è organizzata a caso nelle varie forme, che pertanto sono precarie (a-teismo: assenza di Dio). Questo implica o che lo studio della natura è una teologia, impedendo pertanto una ricerca senza preconcetti, oppure che non esistono comportamenti ripetibili perché il caso può scompaginare quanto accaduto finora.

Invece la rivelazione biblica parla di un Dio che crea liberamente dal nulla. Questo ha almeno due implicazioni immediate: primo, l’organizzazione del mondo non è casuale ma vi si possono estrarre regolarità (le leggi di natura), secondo, il mondo non è parte necessaria di Dio, ma ha una sua autonomia, e pertanto può essere esplorato senza dover ricorrere a una teologia.

Queste implicazioni sono state la base della fioritura scientifica delle scuole medievali, di cui Galileo e Newton sono il coronamento e con cui non sono in opposizione come taluni credono. Nella Lettera a Cristina di Lorena, madre del Granduca di Toscana, Galileo dice che Dio ha scritto in due libri, il libro della natura e quello della rivelazione, e una lettura attenta e onesta dei due libri non può portare a conflitti. Purtroppo la Chiesa del tempo, nell’emergenza delle dispute religiose che opponevano le Chiese riformate a Roma, reagì con una chiusura per cui la libera investigazione, nata al suo interno per esplorare le cause seconde, proseguì al di fuori e spesso contro di essa.

Ma quando a metà ‘800 Darwin cominciò a parlare di evoluzione per mutazione e selezione (per capire questi termini, si veda la scheda) da parte cattolica si fu in genere più cauti di quanto non fossero gli esponenti della Chiesa anglicana, che finirono sbertucciati per posizioni ingenue e di basso profilo culturale, non solo sul piano scientifico-filosofico, ma anche sul piano della cultura interna della Chiesa, che aveva, come visto, già dai primi secoli dibattuto il problema della libertà di esplorazione del mondo.

La mia attitudine di scienziato e credente è che il mondo ha una sua consistenza autonoma, che è mio dovere esplorarlo con libertà, in base al mandato di Dio ad Adamo di dare un nome a tutti gli oggetti del creato, che in ogni caso la creazione libera porta ad un universo che ha un senso e tocca a me – leggendo il libro della natura – trovare questo senso; il caso non è il dominatore, ma è il nome che io attribuisco a fenomeni di cui mi sfugge (ancora o per sempre?) la spiegazione.

Quanto a quegli elementi di forza razionale che mi spingono a cercare Dio prima ancora che io lo trovi nelle Sue parole rivelate, questi NON dipendono da dettagli del mio programma scientifico, da questa o quella cosa che io so e un altro ignora: ci mancherebbe che per arrivare a Dio uno debba essere stato prima accettato in un’accademia!

Gli argomenti che mi portano a Dio sono alla portata di tutti, fanno parte di un senso comune che non ha bisogno di strumentazione scientifica: se guardo me stesso o il mondo attorno a me, vedo che ogni cosa è, è e basta, senza bisogno di specificare quelle collezioni di attributi che esploro con la mia scienza. Ma questo essere non è necessario, è quel che si dice contingente (oggi c’è domani non più: vale per me, per le stelle e per tutto ciò che osservo): deve perciò aver ricevuto l’essere da un Essere assoluto, che lo dona liberamente nella creazione. Dunque la creazione non è confinata all’origine del cosmo, ma continua sempre.Qui nasce una obiezione: se usiamo il nostro linguaggio per parlare di Dio non cadiamo nell’antropomorfismo (il Dio nostra proiezione di L. Feurbach)? No, se parliamo dell’essere in modo analogo, cioè non intendendo che il termine essere abbia lo stesso valore quando si parla di una creatura e quando si parla di Dio; e qui la nostra ricerca è aiutata dalla rivelazione: Dio parlando a Mosè dice di se stesso «Io sono colui che è». La schedaLa teoria di Darwin dell’evoluzione biologica, così come l’elaborazione del metodo di Galileo, va considerata come una delle più grandi conquiste scientifiche. Essa ha un immenso potere esplicativo: anche se non ha una forma definitiva e andrà modificata dall’aumento dei ritrovamenti fossili e dal progresso della biologia molecolare, non vi sono teorie alternative per spiegare quanto osservato. Vi è però il pericolo che la teoria dell’evoluzione biologica sia irrigidita in dogma mentre il suo potere esplicativo è ancora insufficiente e va messo alla prova. La teoria si compone di due elementi. In primo luogo vi sono mutazioni del materiale genetico, i geni composti di Dna. Le mutazioni sono piccoli cambiamenti nella struttura molecolare del Dna. Esse avvengono per puro caso, ad esempio in conseguenza dell’azione di elementi chimici o di radiazioni, e non sono dovute in alcun modo al bisogno dell’organismo di aumentare le proprie capacità di sopravvivenza. In secondo luogo, c’è la selezione naturale che garantisce la conservazione delle combinazioni di geni più adatte alla sopravvivenza. Gli animali con una combinazione genetica sfavorevole sono eliminati nella competizione da quelli dotati in maniera più vantaggiosa. Dal brodo primordiale alla scomparsa dei nostri immediati antenatiOgni forma di vita sulla Terra è basata su due classi di molecole organiche complesse: le proteine e gli acidi nucleici.

Gli acidi nucleici sono i costituenti essenziali della molecola a doppia elica (acido desossiribonucleico, Dna) che contiene in codice le istruzioni per costruire altro Dna e anche proteine. Alcune proteine poi sono gli enzimi che permettono di utilizzare le istruzioni in codice nelle operazioni di costruzione.

Nelle pozze di brodo primordiale erano presenti gli elementi necessari per costruire proteine e acidi nucleici: zuccheri, fosfati, amino acidi; tuttavia il grosso problema è dato dal fatto che le proteine (enzimi) non possono essere costruite se mancano gli enzimi. È come il problema dell’uovo e della gallina. La soluzione di questo problema costituisce l’impegno attuale della biologia. Un successo in tale senso però costituirà solo il primo passo nella spiegazione dell’origine del più semplice organismo vivente in grado di svolgere le funzioni essenziali: utilizzare energia, conservare la propria integrità di insieme, crescere e duplicarsi con precisione in una sequenza indefinita di moltiplicazioni.

Siamo molto lontani dalla comprensione di tutto ciò: eppure, circa 3 miliardi e mezzo di anni fa la vita ebbe inizio sulla Terra, si sviluppò e si diversificò.

In tutte le forme viventi oggi note, (micro-organismi, piante, animali) il materiale genetico è costituito dagli stessi elementi fondamentali, e le proteine sono formate dagli stessi 20 aminoacidi. Questa constatazione depone a favore dell’ipotesi di un’unica origine della vita, dalla quale è scaturita l’immensa varietà degli esseri viventi e, allo stesso tempo, evidenzia l’estrema improbabilità di questa origine.

I fossili dei primi organismi conosciuti mostrano che questi rassomigliavano a batteri e sono chiamati eobatteri. Poiché l’atmosfera primitiva non conteneva quantità adeguate di ossigeno, gli eobatteri ricavavano la loro energia dai materiali organici del brodo primordiale ed il loro materiale genetico era localizzato in filamenti a spirale liberi all’interno della cellula (come nei batteri ed in tutti gli altri procarioti sino ai nostri giorni).

Si ritiene che gli eobatteri abbiano trovato difficoltà a causa dell’esaurimento del cibo formatosi dalle reazioni chimiche del mondo prebiotico e concentrato nel brodo. Dopo centinaia di milioni di anni però, gli organismi viventi svilupparono mutazioni che permisero di utilizzare fonti alternative di energia. La più importante è la comparsa di pigmenti che assorbono la luce solare e ne utilizzano l’energia (fotosintesi) come fanno le alghe verdazzurre con. il pigmento verde: la clorofilla. Anche i batteri svilupparono pigmenti adatti a compiere la fotosintesi. Le alghe azzurre si estesero fino a coprire le acque superficiali. Gli stromatoliti sono resti fossili che ne testimoniano oggi l’esistenza. L’influsso della luce solare sulla clorofilla di queste alghe converte anidride carbonica e acqua in ossigeno e zucchero. In tal modo in qualche miliardo di anni, dall’atmosfera primitiva, che conteneva pochissimo ossigeno ed alte percentuali di anidride carbonica proveniente dalle esalazioni dei vulcani, si formò l’ossigeno dell’attuale atmosfera terrestre. I primi organismi multi-cellulari la cui esistenza è documentata dai fossili sono le meduse ed i vermi, che vengono fatti risalire a circa 700 milioni di anni fa.

Tutto ciò che possiamo sapere dei due o tre miliardi di anni precedenti, è che l’ossigeno dell’atmosfera giungeva a circa metà del livello attuale e che si verificò un assestamento genetico negli organismi eucarioti, per cui il codice genetico del Dna si raccolse all’interno del nucleo centrale delle cellule dove era più protetto e così guidava il processo di riproduzione riducendo il margine degli errori di trascrizione.

Se pensiamo alla scala temporale dell’esistenza degli organismi viventi ciò che sembra superare ogni immaginazione è l’enorme durata della più semplice fase procariota, che continuò per 1600 milioni di anni prima che si verificasse il riassestamento del materiale genetico negli eucarioti.Con la comparsa, avvenuta circa 700 milioni di anni fa, degli organismi multicellulari ebbe inizio la differenziazione cellulare secondo le diverse funzioni, che rivelò le immense capacità innovative dell’evoluzione biologica. Questo avvenimento è una rivoluzione dopo miliardi di anni di vita unicellulare. Possiamo disegnare un diagramma della storia della vita, che rappresenti la principale biforcazione tra piante da un lato ed animali dall’altro con le successive ramificazioni di ordini, famiglie, generi e specie. Ad esempio, i resti fossili dicono che 500 milioni di anni fa prosperavano gli artropodi trilobiti che si estinsero 200 milioni di anni fa.

I grandi dinosauri dominavano la Terra a partire da 225 milioni di anni fa ma si estinsero 65 milioni di anni fa. Da allora in poi predominarono i mammiferi. Apparvero allora i nostri remoti antenati primati, ma le testimonianze sono assai incomplete, così che i dettagli dell’origine ominide sono ancora incerti. Non vi sono testimonianze fossili dell’epoca che va da 8 milioni di anni fa sino alla comparsa dei primi ominidi (Australopithecus) che risale circa a 5 milioni di anni fa.

Siamo osservatori necessariamente parziali dello spettacolo dell’evoluzione perché ci interessa soprattutto la linea evolutiva che probabilmente condusse alla comparsa dei nostri immediati antenati, l’Homo Sapiens, circa 200 mila anni fa.