Toscana
Dalle Poste alla Ginori troppi posti a rischio
di Ennio Cicali
Chi l’avrebbe detto: anche le Poste licenziano La Toscana è una delle prime cinque regioni inserite nel piano di ristrutturazione, con un taglio di 474 portalettere, distribuito fra tutte le province e la parziale chiusura del CMP (centro di meccanizzazione postale) di Pisa che comporterà una riduzione del centro da 245 a 115 unità con un esubero di 130 lavoratori. In totale oltre 600 saranno i posti di lavoro tagliati. Forze politiche ed enti locali, principalmente i Comuni, si sono mobilitati contro il provvedimento che mette a rischio il servizio di recapito e la sopravvivenza di alcuni uffici postali, molti dei quali sono situati in zone disagiate.
I licenziamenti delle Poste si vanno ad aggiungere alle molte crisi aziendali che colpiscono le aziende toscane. Molte vengono da lontano, come la ex Mabro di Grosseto che ha visto mobilitate negli ultimi giorni le lavoratrici le ormai famose «vestaglie azzurre» costrette a scendere in piazza in difesa dei loro diritti. Le lavoratrici dell’industria tessile grossetana, che si trova da anni in una fase di grave crisi economica dalla quale la nuova proprietà non è stata in grado di tirarla fuori, hanno proclamato lo sciopero. Nonostante siano stati pagati gli stipendi non versati il 10 aprile, il futuro dell’azienda resta incerto. Il presidente della provincia di Grosseto ha chiesto l’intervento del presidente della Regione, Enrico Rossi, affinché tiri le fila della questione. «Adesso ha detto Leonardo Marras alle lavoratrici diamo un termine di 90 giorni alla proprietà della Mabro per trovare una soluzione. Serve un piano industriale valido per l’ingresso di un nuovo socio».
Tempo scaduto invece per la Richard Ginori messa in liquidazione dall’assemblea dei soci. Sull’azienda di Sesto Fiorentino, storica manifattura nata nei primi anni del 1700, gravano debiti per 40 milioni. All’indomani della messa in liquidazione, i sindacati sono scesi in sciopero chiedendo un tavolo regionale di crisi. Sindacati, partiti ed enti locali si sono mobilitati in difesa della fabbrica.
Dal sogno del lavoro all’incubo del fallimento per lavoratori della De Tomaso (1100 di cui 134 a Livorno). Le speranze si infrangono contro la realtà: la messa in liquidazione della società, rilevata tre anni fa dalla famiglia Rossignolo con l’ambizione di fabbricare un’auto di lusso. Svanita la possibilità di un socio finanziatore prima indiano, poi cinese tutto pare andare a rotoli. Devono ancora riscuotere gli ultimi stipendi, i dipendenti per lo più impiegati assunti per primi nello stabilimento di Livorno, dove la produzione non è mai cominciata mentre gli operai devono ancora riscuotere il Tfr, in media circa 20mila euro. Ma c’è anche chi arriva a 40mila.
Ci sono poi le situazioni di incertezza che colpiscono le aziende toscane di cui non si riesce a venire a capo. E il caso di Ansaldo Breda di Pistoia, appartenente alla galassia Finmeccanica, che vive in un clima di incertezza. Mentre nei primi giorni di aprile il ministro dello sviluppo Corrado Passera auspicava il rilancio della storica fabbrica, si accavallavano le voci dell’arrivo di un socio giapponese. Infatti, pochi giorni dopo arrivavano gli osservatori della giapponese Hitachi Rail, interessata a rilevare fino al 50% dell’azienda, oggi totalmente in mano a Finmeccanica. Le maestranze intanto continuano a dire «no» alla vendita della fabbrica pistoiese.
Attraverso i pochi significativi esempi fin qui citati ma ce ne sono ancora tanti appare sempre più problematico il panorama produttivo regionale. Manca un quadro certo di riferimento per la cosiddetta «industria avanzata», quella che prima era definita «pesante», alla base di un sistema economico non sottoposto alle aleatorie vicende dei mercati.
Secondo le accuse sarebbero stati dispersi quasi 13 milioni di euro, in particolare i contributi che la ex Isi ha ricevuto dalla Electrolux e dalla Regione Toscana che ha pagato per la formazione dei 370 dipendenti riassunti.
La vicenda ha avuto inizio nel 2008 quando la Elettrolux, multinazionale produttrice di elettrodomestici, decide di chiudere lo stabilimento di Scandicci dove da anni produce frigoriferi. Per diminuire l’impatto sociale di questa dismissione, con disoccupati e tutte le conseguenze che poi si sono verificate, l’Electrolux offre il suo sito produttivo a un gruppo di società, Energia Futura e Sol Energes, quest’ultima poi divenuta Isi. Gli amministratori della Isi, controllata dal gruppo statunitense «Mercatech», si impegnano a rilanciare lo stabilimento realizzando pannelli solari e altri elementi per il fotovoltaico. L’operazione è naufragata con il fallimento dell’Isi, che risale all’8 giugno 2011.
«Avevamo avuto sentore che ci fosse qualcosa che non andava e ne abbiamo avuta conferma dall’azione della magistratura». Così il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi dopo l’arresto dell’amministratore della ex Isi. «C’era un garbuglio lo avevamo capito: cercavamo di far uscire la cosa dall’intrigo e trovavamo delle difficoltà» ha concluso Rossi.