Pisa

DALLA PILLOLA DI PINCUS ALLA RU486: L’UOMO INDESIDERATO

di Andrea BernardiniLa legalizzazione dell’aborto? Ha salvato la vita a centinaia di migliaia di donne che, altrimenti, avrebbero dovuto ricorrere – a loro rischio e pericolo – all’aborto clandestino. L’embrione ed il feto sono solo materia, non possono godere delle stesse tutele di una persona. La prevenzione (leggi la diffusione della contraccezione) sostenuta da campagne pubblicitarie e portata avanti dai consultori pubblici, comunque, ha permesso di ridurre la portata del fenomeno. La diagnosi preimpianto in caso di una fecondazione assistita? Necessaria perché i genitori hanno il diritto di sapere se il bambino che la madre ha in grembo potrà vivere una vita «degna di essere vissuta» oppure no, e solo vedendo i risultati delle analisi potranno decidere se portare avanti la gravidanza. La pillola del giorno dopo? È un anticoncezionale di emergenza, sicuro ed affidabile. E la Ru 486? «È come andare in un auto dotata non di uno ma di sei airbag».Quante volte abbiamo ascoltato opinion-leaders sciorinare con tanta certezza queste affermazioni. Renzo Puccetti, 42 anni, medico internista, pisano, esperto di bioetica, socio dell’associazione «Scienza & Vita» e della società scientifica interdisciplinare Promed Galileo, collaboratore del quotidiano Avvenire e della agenzia Zenit, smonta pezzo per pezzo queste tesi. Lo fa nel libro «L’uomo indesiderato: dalla pillola di Pincus alla Ru486», grazie a un ragionamento logico-deduttivo supportato dalla citazione di oltre duecento studi scientifici internazionali.Dottor Puccetti: quando inizia, secondo la letteratura scientifica, la vita?«Nel momento in cui lo spermatozoo e la cellula uovo fondono le loro membrane: quello è il momento in cui si forma un essere umano vivente, unico ed irripetibile».Nel 1978 il presidente della Repubblica Giovanni Leone (Dc), promulgò la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. I promotori dell’aborto asserivano che gli aborti clandestini, in quegli anni, avevano fatto troppe vittime tra le donne. Quante? «Sì, a quel tempo come ora circolavano cifre completamente campate in aria di tre, quattro milioni di aborti clandestini. La formazione che ho ricevuto all’Università mi impone di preferire i fatti.  L’Organizzazione mondiale della sanità indica una mortalità legata all’aborto clandestino di 3 casi ogni diecimila, gli studi indicano che il 30-80% delle donne che si vede rifiutare l’aborto fa nascere il bambino. La legalizzazione dell’aborto se anche salva una donna, condanna almeno milleottocento bambini a morire prima della nascita. Peraltro questa valutazione non tiene conto dell’aumento di mortalità tra le donne che abortiscono legalmente: il 300% con sette volte il tasso di suicidi. La promozione dell’aborto mediante la sua legalizzazione è nefasta per le donne tanto quanto per i bambini che non possono vedere la luce».I dati ufficiali forniti dal Ministero – che ogni anno presenta una relazione sull’attuazione della legge 194 – parlano di aborti in calo. Merito, si dice, della diffusione della cultura della prevenzione…. è proprio così?«Il ministro omette di dire che nei primi anni di applicazione della legge gli aborti legali sono cresciuti e solo rispetto a questo picco sono, negli anni, diminuiti. Vi sono poi rilevanti fattori sempre taciuti: il reddito, l’incremento di sterilità e dei casi d’impotenza nella popolazione. Invece ci si limita ad una celebrazione della legge davvero fuori luogo. Gli studi mostrano che la diffusione né della contraccezione ordinaria, né della pillola del giorno dopo sono in grado di ridurre nella popolazione il ricorso all’aborto: piuttosto è l’apertura delle donne alla vita, anche quando non programmata, il fattore più potente nel determinare un basso ricorso all’aborto. La costante opera educativa della Chiesa e l’azione dei volontari pro-life hanno fatto in questo senso molto».Parliamo di aborto farmacologico. Il ginecologo Silvio Viale, l’unico autorizzato alla sperimentazione della Ru486 al Sant’Anna di Torino, sta vivendo guai giudiziari perché accusato di violazione della legge 194. Ma altre sette regioni (la Toscana in primis) hanno deciso di importare la pillola abortiva direttamente dalla ditta produttrice per praticare l’aborto chimico. Il dottor Massimo Srebot, primario del reparto di ginecologia al «Lotti» di Pontedera, prima di avviare questa metodica, asserì: «È come andare in un’auto dotata non di uno ma di sei airbag». È vero?  «La propaganda non m’interessa. Di nuovo parlano i fatti e questi sono stati riportati in un articolo scientifico frutto del lavoro interdisciplinare di docenti universitari di ginecologia, internisti, psichiatri, biologi, farmacologi, a cui ho partecipato come co-autore, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Italian Journal of Gynaecology & Obstetrics. L’aborto farmacologico si caratterizza per una mortalità dieci volte maggiore, il tasso di complicanze è almeno doppio, il dolore risulta in un quarto delle donne di massimo grado, vi sono problemi psicologici nelle donne che vedono l’embrione fuoriuscito dal proprio corpo e la percentuale di fallimenti è nettamente maggiore. In Toscana una donna ogni sette, dopo le pillole abortive, ha dovuto comunque essere sottoposta ad intervento chirurgico. Inoltre, dopo l’introduzione della RU 486 si registra un incremento della propensione ad abortire».In questi giorni la direzione della Ausl 5 ha chiamato a rapporto alcuni medici pisani, perché si sono rifiutati di prescrivere il Norlevo, ovvero la pillola del giorno dopo. Quei medici erano obbligati a prescriverla: la tesi che abbiamo letto nella maggior parte della stampa laica. È proprio così?«È una visione della medicina completamente distorta che interpreta il medico come un juke-box. Il medico ha il dovere sempre di accogliere il paziente, ma la prescrizione di un farmaco è un atto medico e lo coinvolge in scienza e coscienza, la prescrizione non può, né deve avvenire se uno dei due criteri è violato».