Firenze

Dal patriarca di Baghdad Raphael Sako la testimonianza di una Chiesa martire

Il Patriarca di Babilonia dei Caldei vive a Baghdad, la città capitale dell’Iraq nota per le cronache di guerra, di violenza e di persecuzione. Originario di Mosul, la biblica città di Ninive, è stato arcivescovo di Kirkuk nel nord dell’Iraq e dal febbraio 2013 è Patriarca dei Caldei. La realtà da cui proviene quindi è una realtà problematica ma ricca di storia  e di storia cristiana. Secondo la tradizione l’annuncio del Vangelo è arrivato in quell’area geografica grazie alla predicazione dell’apostolo Tommaso che si spinse fin laggiù a causa della presenza di comunità giudaiche a cui ha voluto annunciare la novità di Cristo. La presenza cristiana in Mesopotamia  è già significativa alla fine del primo secolo e per questo la Chiesa caldea è una delle più antiche. Ha conservato una semplicità ed essenzialità nelle forme, anche nella liturgia, lontane dal trionfalismo greco. È una Chiesa martire, ha spiegato con fermezza  e lucidità Sako, non nel senso che si cerca il martirio ma che è cosciente che ogni vera relazione richiede sacrificio, fino alla morte. E la nostra fede, ha aggiunto il Patriarca, nasce appunto dall’incontro con Dio che è all’origine del rapporto di amore che viviamo nella fede. Prima ancora che dogma o razionalità la fede infatti è rapporto d’amore. Gli evangelisti non hanno inteso scrivere libri di teologia, ma ci hanno raccontato la personale esperienza di fede facendoci giungere il kerygma, l’annuncio dell’amore di Dio, che in arabo è tradotto con «notizia di gioia». Questa testimonianza di fede vissuta nella gioia ha un valore incommensurabile perché proviene da una Chiesa che sulla croce non rappresenta mai Cristo. Le croci caldee, ha spiegato il Patriarca, sono senza Cristo, sono chiamate «croci gloriose»; Cristo non si trova sulla croce perché è risorto. E questo è fonte di speranza e di fede per i cristiani perseguitati: è la stessa sorte che li attende anche in mezzo alle difficoltà. Uniti a Dio immortale otterremo la vita immortale: è questo che infonde coraggio e forza, speranza e libertà nel cuore dei cristiani perseguitati.L’Anno Santo della misericordia indetto da papa Francesco, ha proseguito Sako, sarà l’occasione per convertire il cuore di tutti alla misericordia per essere autentici missionari della misericordia a tutti i livelli: come sacerdoti, come catechisti, come laici, come genitori. Tutti siamo chiamati al perdono senza limiti. Il Figlio di Dio non ha mai rifiutato nessun peccatore, ha osservato il Patriarca, ricordando che in arabo il termine misericordia indica il grembo della donna: Dio accoglie i peccatori come la donna accoglie la vita nuova. Il nostro Dio è misericordioso e ci accoglie con calore e amore. Dare testimonianza di questa misericordia di Dio incline al perdono significa rendere una testimonianza credibile e sconvolgente per un musulmano che non è abituato ad un Dio di misericordia e di amore.  Numerose le occasioni in cui Sako ha potuto dare prova del cuore grande e misericordioso di Dio: dall’aiuto materiale offerto anche ai musulmani, alla cena offerta durante il Ramadan che mette insieme sunniti, sciiti, curdi e etnie varie, al suo sorriso capace di scaldare il cuore dei profughi di Erbil. Davvero «Allah è piccolo» come ebbe occasione di spiegare ad un anziano musulmano «perché si è fatto piccolo incarnandosi per rendere noi grandi». I musulmani apprezzano la capacità dei cristiani di perdonare, li considerano inclini alla serenità e alla fraternità e notano  la differenza con la loro attitudine alla vendetta. Il rapporto con l’Islam non è facile, ammette Sua Beatitudine Sako, anche se è necessario distinguere tra Islam che è una religione e i musulmani che sono persone, e perciò non tutte uguali. Sono stati istruiti a considerare la loro religione come l’unica e non riescono a comprendere e ad accettare i cristiani che considerano infedeli, spesso purtroppo un obiettivo da colpire. L’errore grande compiuto dall’Islam consiste nella mancanza di una seria ermeneutica: prendono alla lettera quanto leggono nel Corano. E’ l’errore che la Chiesa ha commesso nei confronti della Bibbia fino a 500 anni fa.  Ci sono però, confessa il Patriarca, musulmani che hanno salvato cristiani. Il dialogo può nascere da una serena e pacata conoscenza reciproca. Celebrare il Dio della misericordia significa vivere la liturgia nella gioia e nella pace, senza ricorrere a gesti eclatanti. Soprattutto indispensabili sono la preghiera personale ed il silenzio. Il cristiano con fiducia e dignità sa di essere figlio di Dio ed è questo che proclama nella liturgia. E a Baghdad, come a Mosul o a Kirkuk i cristiani partecipano con gioia e con fede, coscienti che essere testimoni di Cristo  può richiedere il sacrificio della vita. Non abbiamo paura, ha esclamato Sua Beatitudine, perché fede e martirio nella lingua araba hanno la stessa radice: la fede è l’incontro personale con Cristo che ci conosce e ci ama ed esige una testimonianza fino al sacrificio. Anzi il martirio, afferma Sako con serenità e fermezza, è il carisma della nostra Chiesa! Ma non c’è nessuna intenzione di abbandonare la Patria svuotando così quel territorio della presenza cristiana. Sebbene prima della caduta del regime i cristiani fossero un milione e mezzo e ora si contano solo 400mila cristiani, Sako non ha nessuna intenzione di abbandonare Baghdad: rimarrebbe comunque come Patriarca dei musulmani! Sono preziose per loro le testimonianze di sostegno, di solidarietà e di vicinanza della Chiesa occidentale. E nello stesso tempo noi abbiamo molto da imparare soprattutto sul rapporto corretto con i musulmani. È necessario accoglierli, ci invita Sako, offrire loro aiuti materiali ma anche organizzare una vera e propria pastorale di contatto con i musulmani, invitandoli all’integrazione, alla conoscenza della nostra fede per evitare barriere e chiusure. Forse nessun musulmano si convertirà, ma almeno non avrà parlato male dei cristiani. E questo, ci testimonia il Patriarca, a lui è riuscito diverse volte.