Caro Direttore,se guardo i giovani mi sembra di vedere un esercito di ragazzi tutti uguali. Pressoché omologati nel vestire, nel parlare, con poche specificità. Che distingue il giovane cattolico dal giovane di sinistra, se è vero che sul grande prato di Tor Vergata in occasione del Giubileo si trovarono alla fine della manifestazione non più tante forcine, come nella nota canzone, ma tanti profilattici, forse in misura uguale rispetto ai concerti rock e ad altri raduni non religiosi? Ed è secondo te normale che i papa boys partano da Santa Maria Novella alla volta di Roma per incontrare Benedetto XVI imbracciando la chitarra e provando a cantare: «Affacciati alla finestra, o papa mio»?Non si è un po’ perso il senso della misura? Si può omologare il Papa all’innamorata di turno o a Roberto Baggio, visto che i cori in piazza San Pietro ripetono canzoni in voga e sono gli stessi della Curva Sud dell’Olimpico o della Fiesole da noi? Non ci sono più distinzioni in tempo di globalizzazione? Prevale il gruppo (purtroppo talora il branco) sull’individuo? Chi può aiutare questi ragazzi a salvarsi da un appiattimento mediatico-tecnologico che rischia di azzerare l’attenzione per il singolo e la sua unicità e soprattutto il valore della coerenza, un tempo alla base della cultura, tanto più se cattolica?Gianna LelliFirenzeAl di là delle provocazioni, soprattutto quella che riguarda la mattina dopo a Tor Vergata (si trattò infatti di insinuazioni giornalistiche cadute poi nel nulla per mancanza… dei vuoti a perdere) la domanda che tu, cara Gianna, poni fa riflettere, soprattutto in un tempo in cui l’identità debole espone tutti al rischio dell’omologazione. Intanto per un giovane cattolico il caratterizzarsi, che non comporta certo un contrapporsi orgoglioso, non può consistere in atteggiamenti puramente esteriori che lo farebbero sembrare quasi… un mascherato di Dio. Ben vengano quindi le chitarre, il look alla moda e anche qualche coro. Quello che caratterizza è l’atteggiamento interiore, il desiderio-volontà di costruire il proprio futuro su solidi fondamenti alternativi ai modelli proposti.Una serietà di intenti e di comportamenti da cui nessuna realtà presente nella vita di un giovane può essere espunta né lo studio né il lavoro né il tempo libero e tanto meno l’affettività e la sessualità.Nascono e si radicano qui le scelte concrete, impegnative e coraggiose, differenziate necessariamente secondo le diverse vocazioni, ma tutte determinate dal credere che la vita ha un valore e realizzare qualcosa di positivo in noi e intorno a noi è possibile: segno questo di speranza, oggi forse la virtù più difficile che un cristiano è chiamato a testimoniare.Ma è certo che, mai come in questo tempo, è chiesto a un giovane di fede di imparare ad essere sempre più «persona», con la fortezza d’essere, dettata da una risposta decisiva all’Amore, quello che cambia la vita sul binario luminoso del vangelo ed è l’aggancio vero per i no che costano e i sì che impegnano: i sì e i no che fanno la differenza. Impostare così la propria vita non è facile, anche perché nel mondo adulto troppo spesso mancano punti credibili di riferimento che aiutino a percorrere una strada che, riconosciamolo, è piuttosto in salita.