Lettere in redazione
Dal nucleare ai rifiuti vince la politica del no
L’articolo in prima pagina di Claudio Turrini (n. 6 del 13 febbraio Nucleare, anche sull’atomo scontri a suon di pregiudizi), che condivido, mi dà l’occasione di «dire la mia» su alcune delle tante cose da rivedere e riformare che oggi costituiscono l’impianto frenante della macchina Italia. Sul nucleare, abolito tramite referendum nell’anno 1987, l’Italia era all’avanguardia, ma da allora abbiamo perso in scienza e tecnologia. Oggi siamo costretti per alimentare il nostro fabbisogno di energia elettrica a ricorrere all’estero con un aggravio per le nostre imprese superiore al 35%.
Per la costruzione della centrale nucleare di Montalto di Castro, l’Enel aveva già speso fior di miliardi di lire, ma dopo il referendum tutto è stato buttato al vento. Oggi quella grossa quantità di energia elettrica ci manca e dobbiamo procuracela dalla vicina Francia (di produzione nucleare) ma non certamente in regalo.
Altro aspetto che ci distingue è quello dei rifiuti, che soprattutto in Campania, ha messo in ridicolo di fronte al mondo il nostro Paese. Per risolvere il problema basterebbe fare quello che altri paesi stanno facendo, ma non è così. I termovalorizzatori nessuno li vuole e nemmeno le discariche: in alternativa non si riesce a fare né una buona raccolta differenziata né impianti di compostaggio. All’estero i termovalorizzatori, oltre a risolvere lo smaltimento dei rifiuti, servono a produrre energia elettrica noi invece esportiamo rifiuti con costi esorbitanti.
Qualsiasi iniziativa è quasi impossibile per la quantità di autorizzazioni richieste, ma soprattutto per il tempo, calcolato in anni, per ottenerle. In queste condizioni sarà difficile una ripresa economica e le conseguenze si faranno sentire specialmente sull’occupazione giovanile. È la politica dei NO, del muro contro muro che perdurando farà retrocedere il nostro Paese dalla settima potenza industriale verso posizioni da retrovia. O si cambia in fretta o purtroppo così sarà la nostra sorte.
Aver rinunciato al nucleare, chiudendo in fretta e furia le nostre centrali è stato un errore che il Paese ha pagato caro. Non credo però che la strada che è stata imboccata per impiantarne di nuove porterà molto lontano. Sono quasi dieci anni che sono iniziati i lavori della Tav Torino-Lione e ancora siamo in alto mare. E un tunnel ferroviario, per quanto impattante sul territorio, non evoca certo gli spettri del disastro di Chernobyl. In Italia abbiamo 60 mila metri cubi di scorie radioattive. Eppure non abbiamo ancora trovato un sito sicuro per stoccarle. Nello scorso autunno la Sogin, società controllata dal Tesoro per la gestione degli impianti nucleari, ha individuato 52 aree con caratteristiche adatte per ospitare il sito. Il governo afferma che la scelta non verrà imposta, ma assegnata con una specie di «asta»: la comunità che accetterà i depositi radioattivi sarà infatti compensata con forti incentivi economici. Ma l’elenco è per ora in cassaforte, per evitare l’esplodere preventivo delle proteste. Ecco: se si riuscirà a costruire questo sito per le scorie, allora anche il ritorno al nucleare potrà avere qualche chance. Altrimenti sarà solo fumo negli occhi.