Toscana

Dal global alla pace

DI ANDREA FAGIOLIPer il secondo anno consecutivo la Regione Toscana ha promosso quello che viene definito il «Meeting di San Rossore» perché ospitato nella tenuta sul litorale pisano. Il tema di fondo, scelto l’anno scorso alla vigilia del G8 di Genova, è rimasto «From global to glocial» («Questioni globali, soluzioni sociali»), ma è stato allargato alla problematica della pace raddoppiando lo spazio per il dibattito: due intere giornate rispetto all’unica dell’anno scorso. Il dibattito d’apertura, una tavola rotonda con Ferruccio De Bortoli (direttore del «Corriere della Sera»), Giandomenico Picco (diplomatico delle Nazioni Unite), Cesare Romiti (presidente della Rcs Editori) e Massimo Cacciari (dell’Università di Venezia), doveva rispondere al duplice interrogativo: «Si può costruire la pace educando alla pace? Si può educare se non si è in pace?». Successivamente si sono registrati una cinquantina d’interventi su tematiche che hanno riguardato anche lo sviluppo sostenibile del territorio, il cibo e la biodiversità. Il confronto tra Romiti e CacciariQuando si parla di globalizzazione si suscitano passioni civili pari alle passioni d’amore: il cuore si riempie e il cervello si svuota». È ricorso al paragone sentimentale il presidente della Rcs (Rizzoli-Corriere della Sera) Cesare Romiti per definire le animosità che la questione genera. «È probabile che si riesca difficilmente a capirci», ha premesso in apertura della tavola rotonda su pace e globalizzazione al Meeting di San Rossore promosso dalla Giunta regionale toscana. E così è stato: una parte dei presenti (per la verità una sparuta minoranza) ha fischiato il presidente della Rcs a più riprese, mentre lui insisteva nel tentativo di «stemperare il fatto emotivo» richiamando chi «abbastanza inurbanamente» (sono parole sue) lo contestava.

«Non è vero che si debba partire dall’economia per risolvere il problema della globalizzazione – ha precisato subito Romiti – così come non è vero che la povertà di alcuni sia caratterizzata dalla ricchezza degli altri. Sono ugualmente distante – ha aggiunto l’ex presidente della Fiat – da coloro che ritengono ineluttabile e quindi immodificabile la globalizzazione, ma anche da coloro che la ritengono perversa e quindi da distruggere. Il vero problema è la democrazia: soltanto il 25% dei Paesi del mondo ha un regime democratico che rispetti i diritti civili. In tre quarti del mondo la democrazia non esiste. Eppure, non ho visto organizzare dai no global nessuna marcia nei Paesi poveri non democratici. È la mancanza di democrazia che porta agli svantaggi. Quindi, prima di un’economia sana, è necessario che si sviluppi la democrazia e la tolleranza. Senza questa condizione, l’aiutare economicamente i Paesi in difficoltà è tempo sprecato. Ma sbagliamo anche noi a deificare il mercato».

Uscendo dai limiti del tema assegnato (Bisogna partire dall’economia), Romiti ha detto che «l’origine di tutti i mali è il non intendersi tra popoli e religioni diverse. Non è la globalizzazione all’origine di tutti i mali così come la globalizzazione non è la soluzione di tutti i mali. Bisogna fare un salto ideologico. Altrimenti, se i problemi attuali restano tali la globalizzazione è il problema, non è la soluzione».

A Romiti, poi, non piace il termine globalizzazione: «È parola vecchia – dice –, richiama l’antica immigrazione». Preferisce parlare di «interdipendenza». Ma dal fondo del grande tendone allestito nel parco di San Rossore parte il coro di replica: «Per una vera democrazia, Cesare Romiti in fonderia», gridano i ragazzi dei centri sociali.

Ma anche il filosofo Massimo Cacciari, in fatto di termini si dice d’accordo con Romiti, che gli siede accanto nel dibattito dal titolo decisamente impegnativo: “Si può costruire la pace educando alla pace? Si può educare se non si è in pace?”.

Per l’ex sindaco di Venezia, «educare alla pace significa appunto mettere prima di tutto ordine nel nostro linguaggio. E interdipendenza è meglio di globale. Bisogna partire dalle identità, perché vi è differenza solo se c’è identità. Il valore della differenza deriva dalla costruzione dell’identità. Riconosci l’altro nella misura in cui sei sicuro di te. L’identità forte ha bisogno di qualcun altro che lo riconosca. Una persona riconosce l’altro solo se è sicura di sé, altrimenti ogni cambiamento ambientale verrà percepito come un pericolo. Se invece uno è sicuro della propria identità, cercherà il dialogo e la relazione. Comprendere la straordinaria novità dei problemi di oggi è il miglior modo per educare alla pace».

Dialogare e comunicare proprio a partire dalle diversità è stato il senso anche dell’intervento di Giandomenico Picco, membro dal 1973 dell’Onu per il quale ha fra l’altro preso parte agli sforzi internazionali per il rilascio degli ostaggi occidentali in Libano e alla trattativa per il cessate il fuoco tra Iran e Iraq. Ha inoltre rappresentato il segretario generale nelle trattative per gli accordi di Ginevra del 1998 per l’Afghanistan. Picco ha iniziato parlando dell’esperienza del suo rapimento, avvenuto qualche anno fa e conclusosi con la liberazione di un centinaio di ostaggi occidentali e libanesi per evidenziare che può esserci dialogo tra chi la pensa diversamente e che le differenze non impediscono il con fronto. «La storia non ha mai ucciso, la religione non ha mai stuprato e le istituzioni non hanno mai distrutto edifici. Solo l’individuo può compiere certi gesti. Non so se la pace comincia dalla scuola o dalle istituzioni, ma vi posso dire – ha aggiunto Picco – con chi comincia: con la scelta e la responsabilità individuale. Ho sempre trovato importante cominciare da me stesso».

Pier Luigi Consorti: «Valore che s’impara ma non si insegna»Insegna a Pisa nel neonato corso di studi universitari in Scienze per la pace. E al convegno «From global to glocial. Questioni globali, soluzioni sociali», il professor Pierluigi Consorti (nella foto) è chiamato a dare la formula del… teorema della pace. Missione impossible: «Nessuno può pretendere di insegnare la pace – dice Consorti a TOSCANAoggi – quando la coscienza del destinatario del messaggio non abbia prima aderito a questo valore». Al contrario, «ciascuno può lavorare per imparare la pace, per piegare sé stesso verso la pace».

È anche il contatto quotidiano con i giovani che convince il docente universitario di questa teoria: 85 iscritti nel primo anno – un successo inaspettato – il corso universitario di Scienze per la pace a Pisa è frequentato da ragazzi tutti motivati da nobili principi, i più con esperienze alle spalle di volontariato. Gente a cui gli insegnanti potranno offrire solo due cose: accompagnamento e professionalità. Già, accompagnamento: «È pur vero – afferma Consorti – che nessuna coscienza nasce e si forma da sola. Matura nei piccoli o nei grandi gruppi, nell’habitat in cui un individuo cresce. Ma il primo laboratorio è la gestione del nostro rapporto con gli altri: faccio da solo o cerco condivisione? Rispetto chi ho accanto, lo ignoro o lo vedo come un ostacolo?».

Il professor Consorti, nel suo intervento all’incontro di San Rossore, sfata un altro tabù: «La pace non è sempre frutto della guerra – commenta –, siamo stati abituati a leggere la storia come ciclo naturale e continuo di popoli in pace e popoli in guerra… quasi convinti che solo attraverso l’esperienza della guerra sia possibile apprezzare il valore della pace. Oggi si è visto che la guerra è accettata come estremo rimedio al mantenimento di valori: si fa la guerra alla mafia, alla droga, alla prostituzione, si va in Kosovo per garantire i diritti di quel popolo. Allora si può asserire che la pace è frutto dello sviluppo, della solidarietà».• Antonelli: armonizzare economia, etica e giustizia sociale• Il sito della Regione dedicato al Meeting• Partecipa al nostro Forum• Vai al sondaggio