Vita Chiesa
Dal filippino al portoghese, quando la Messa parla straniero
Firenze, presenti 25 comunità
Firenze da sempre città aperta all’accoglienza, crocevia di storie e tradizioni, di arte e di cultura; fiorentini gelosi della propria «fiorentinità», ma aperti alla solidarietà. Il centro diocesano «Migrantes» è dedicato, fra le altre cose, proprio alla cura e alla gestione umana e spirituale delle comunità cattoliche straniere presenti nel capoluogo toscano.
«Attualmente – ci dice – padre Stefano Messina degli Oblati di Maria Immacolata, responsabile di questo Ufficio che esiste ormai da 20 anni – le comunità straniere presenti a Firenze, comprese quelle del carcere di Sollicciano, sono venticinque e ognuna di esse ha un proprio Cappellano; noi lavoriamo insieme per fare in modo che siano conservate le loro radici culturali e religiose di provenienza e di solito queste comunità sono seguite da persone che sono della stessa origine o che comunque parlano la stessa lingua. In questo momento mi sto occupando personalmente della Comunità dell’Eritrea che come sappiamo sta soffrendo molto per la guerra e la disperata ricerca di fuga; certamente per un lavoro così impegnativo si lavora in rete con la Caritas e con altri organismi assistenziali mentre noi ci occupiamo più specificatamente di evangelizzazione. L’aspetto che però desidero sottolineare è la grande risorsa, la grande ricchezza interculturale che queste comunità offrono a tutti, l’esperienza che con loro possiamo fare di una fede molto viva, sentita, partecipata che abbiamo il compito delicato e importante di non mortificare, ma anzi di cercare di favorire ogni giorno, attraverso un’apertura culturale e missionaria; per esempio mi viene in mente quanto sia importante curare negli incontri la tolleranza verso anche civiltà molto antiche come quella cinese che conta tante presenze in città e nelle zone limitrofe. L’arcivescovo è molto attento a questa problematica tanto che si preoccupa di trovarci sempre luoghi accoglienti ed idonei».
In questo nuovo e illimitato orizzonte abbiamo incontrato anche alcuni di questi sacerdoti che vivono ogni giorno in piccole «terre di missione» all’ombra della Cupola del Brunelleschi. Uno di loro, don Sergio Merlini, dopo essere stato per 24 anni missionario in Brasile, oggi si occupa della comunità brasiliana e angolese (entrambe di lingua portoghese) che da un anno fanno esperienza di conoscenza reciproca e di fraternità: «sono tutte persone che desiderano non perdere le proprie radici, le proprie tradizioni. In questo momento ci stiamo riorganizzando e i prossimi incontri li faremo presso la chiesa di santa Caterina a Coverciano. In tutto le persone di queste comunità sono una trentina, ci incontriamo per celebrazioni liturgiche e momenti di preghiera e poi cerchiamo sempre di favorire l’integrazione di queste persone e dei più piccoli nella vita della parrocchia di provenienza anche per quanto riguarda la preparazione ai Sacramenti».
Suor Maria Erlita, delle Suore Oblate dello Spirito Santo, dal 1992 è al fianco di don Gianni Guida che segue la numerosa comunità filippina di Firenze. Dal 1988 grazie all’allora arcivescovo Cardinale Silvano Piovanelli e a mons. Livi i tanti Filippini presenti in città hanno come sede in uso la chiesa di San Barnaba, che ricordiamo anche per un recente ed importante lavoro di restauro. Suor Erlita ci racconta che sono molti i gruppi all’interno della comunità ognuno con una propria occupazione ed un proprio responsabile; la Celebrazione Eucaristica è ogni domenica alle 18, mentre i matrimoni e i battesimi si celebrano alle 11.
Un’altra numerosa comunità in città è quella peruviana il cui responsabile don Manuel Cabrera racconta: «Abbiamo un nostro Consiglio Pastorale e le nostre celebrazioni sono molto seguite; come simbolo di interculturazione ed integrazione abbiamo scelto San Martin Parrez, un santo afro-indio-spagnolo».
In Borgo Pinti presso la Chiesa dei padri Assunzionisti si riunisce la piccola comunità francese, se ne occupa padre Giuliano Riccadonna, ma noi abbiamo incontrato il suo collaboratore padre Ruanga, congolese, di lingua francese che ci ha parlato di una piccola comunità formata da famiglie con bambini che sono seguiti anche per il catechismo; l’unica difficoltà è legata la fatto che la maggior parte di queste persone sono a Firenze per brevi periodi lavorativi e quindi è una comunità che cambia spesso la propria fisionomia.
«Non siete più stranieri, né ospiti, ma siete concittadini dei Santi e familiari di Dio» dice San Paolo nella Lettera agli Efesini: parole ancora di una sconvolgente attualità.
Sa ngalan ng Ama, Anak, at Espirito Santo risuona nelle chiese pisane del Carmine e di San Nicola, w imie Ojca, i Syna i Ducha Swietego fa eco in quella di San Francesco, mentre in Cattedrale «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» è declinato in francese, inglese, tedesco e spagnolo. Nell’Arcidiocesi di Pisa vi sono esperienze vive e consolidate di offerta spirituale e pastorale per i cattolici stranieri, con messe celebrate nelle lingue di origine delle comunità di immigrati.
Tra le comunità più radicate a Pisa e provincia, quella dei filippini conta oltre duemila fedeli: famiglie con bambini, molti i giovani. Sono badanti di anziani, domestici, meccanici, cuochi, camerieri, operai. Da una decina di anni la comunità, molto unita, ha consolidati punti di riferimento nelle parrocchie della diocesi (nella foto, l’arcivescovo di Pisa, mons. Giovanni Paolo Benotto, con un gruppo di filippini). Messe in lingua Tagalog (parlata dall’omonima e importante etnia dell’arcipelago-stato del sud est asiatico, concentrata nella capitale Manila) si celebrano la prima e terza domenica del mese al Carmine (nel pomeriggio), grazie all’impegno di padre Augusto Tollon, con il supporto di sacerdoti filippini che giungono apposta da Roma. Da un anno, inoltre, con l’arrivo del viceparroco John Thaddeus Alabastro di Manila, i filippini «pisani» si ritrovano anche in San Nicola, la seconda domenica del mese, per partecipare alla «loro» messa. Le liturgie sono animate da un coro di giovani, aiutato da suore filippine. La comunità ha vissuto una giornata speciale, domenica 9 gennaio, per l’incontro con l’Arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto, che ha presieduto la prima concelebrazione eucaristica dedicata ai filippini, insieme con il parroco padre Mariano Raspanti e il vice John Thaddeus, che ha tradotto in simultanea in lingua Tagalog.
Nella chiesa di San Francesco a Pisa, dei frati minori conventuali, la domenica si ritrovano le polacche che lavorano come badanti nelle famiglie cittadine e della provincia. Padre Tomasz Rylko di Danzica, affiancato dai padri Cristoforo e Raffaele, è l’amministratore parrocchiale dal 2008. Spiega: «Sin dal ’93 qui ci sono frati polacchi (presenti anche a Viareggio), e da allora si celebrano messe in lingua. Circa un centinaio di polacche partecipano all’eucarestia la domenica, nel pomeriggio, il loro unico giorno libero. Sono signore (l’età media è intorno ai 50 anni, provenienti soprattutto dal sud della Polonia) che sentono molto la lontananza dalla famiglia rimasta nel paese di origine. Ogni due mesi circa tornano a casa, avvicendandosi con amiche o parenti». Un bel momento per tutte loro, aggiunge Padre Tomasz, è stato un recente battesimo, da lui celebrato in lingua, come richiesto dai genitori: lui italiano, lei polacca.
Spostandosi in provincia, un riferimento importante è il Duomo di Pontedera. Spiega il proposto, don Franco Cancelli: «Nel nostro territorio da tempo sono insediati gruppi e comunità di immigrati, come senegalesi, nigeriani, rumeni, filippini, polacchi, ucraini, che lavorano nelle fabbriche della zona o come badanti e collaboratrici domestiche. Numerose le famiglie stabili. A favore dei cattolici stranieri, da anni in Duomo distribuiamo i testi tradotti della liturgia della Parola della messa domenicale (salmo, letture, Vangelo): un’iniziativa consolidata che consente loro una partecipazione più consapevole all’eucarestia». Aggiunge il vicario parrocchiale brasiliano don Messias Barsella: «I testi della messa ogni settimana sono tradotti in portoghese, tedesco, inglese, francese, spagnolo e polacco. Un supporto molto apprezzato da quanti non conoscono bene l’italiano».
Tornando nella città della Torre Pendente, va ricordato che liturgie nelle principali lingue europee sono celebrate periodicamente in Cattedrale, mèta di molti turisti (ma anche fedeli) stranieri.
Cinese, polacco, pakistano, albanese, ukraino e altre ancora. Sono le lingue, dieci in tutto, parlate nel corso delle messe celebrate dalle dieci cappellanie straniere presenti nella Diocesi di Prato.
Una realtà diffusa quanto invisibile agli occhi dei pratesi ma molto sentita dagli stranieri, che nella celebrazione della messa nella loro lingua, animata secondo le loro tradizioni, impreziosita dai loro canti, ritrovano identità e senso di appartenenza.
Ma non potrebbero partecipare alla messa domenicale nelle rispettive parrocchie pratesi? «Certo, molti lo fanno – afferma mons. Santino Brunetti vicario episcopale per gli immigrati – ma la possibilità di partecipare ad una messa nella propria lingua è altrettanto importante. Questa opportunità permette loro di conservare la propria identità. E poi, queste messe aiutano la comprensione dell’omelia, dei concetti e delle riflessioni espresse dai cappellani».
Dieci sono le cappellanie con relative messe in lingua celebrate, alcune ogni domenica, altre una o due volte al mese, in diocesi, c’è quella polacca, rumena, ukraina (celebrata secondo il rito orientale), albanese, cingalese, spagnola, cinese, pakistana, nigeriana e filippina. Quasi tutte frequentatissime e molto attese perché momento di forte aggregazione. La comunità cinese, formata da circa un centinaio di fedeli, si ritrova alla chiesa dell’Ascensione e ha un proprio consiglio pastorale. «Che lavora molto e anche bene – aggiunge ancora mons. Brunetti – organizza feste ed è molto attento all’aiuto reciproco all’interno della comunità».
Da tempo mons. Brunetti lancia un invito ai pratesi: «Partecipiamo qualche volta alle loro celebrazioni, alcune sono molto belle e suggestive. Sarebbe anche un modo per non apparire come estranei».