Opinioni & Commenti

Dal Brasile il Papa richiama la Chiesa all’evangelizzazione

di Romanello Cantini

Il Brasile di oggi non è più quello che descrisse cinquant’anni fa Josuè de Castro nella prima denuncia della geografia della fame, quando i condadini del Nordeste non avevano nemmeno la forza per lottare per un pezzo di terra da coltivare, ma si davano da fare solo per ottenere sette piedi di terra in cui essere sepolti. Il Brasile è oggi la nona potenza economica mondiale, produce non solo caffè e canna da zucchero, ma anche aerei, e gli esperti ci vedono una delle grandi potenze del futuro.

Nonostante la crescita, rimangono al suo interno diseguaglianze abissali. Il venti per cento dei brasiliani, cioè oltre trenta milioni di persone, guadagna ancora meno di due dollari al giorno, anche se il presidente Lula ha promesso un salario minino di 140 dollari al mese.

Eppure il Brasile, come del resto l’America Latina, è oggi segnato, oltre che dai vecchi problemi sociali, da piaghe che derivano dalla rottura di fondamenti morali essenziali in cui, fra la miseria morale e la miseria sociale, non si sa più quale sia la causa e quale l’effetto.

Anche per questo richiamo ad una dimensione spirituale da difendere il messaggio che il papa ha rivolto all’America Latina nel suo viaggio in Brasile è apparso più universalista rispetto ad altri interventi del passato, più attento a valori di cui c’è bisogno anche al di là di questo continente, anche se in America Latina sono forse offesi in forme più drammatiche che altrove. Il papa che davanti ai settantamila giovani dello stadio di Pecaomba mette in guardia contro «la minaccia della violenza» sa di parlare di un paese in cui in media si contano 150 morti ammazzati al giorno.

Anche il duro monito contro i trafficanti di droga per i quali «Dio chiederà conto di ciò che hanno fatto» è tutt’altro che una condanna di maniera. Il Sudamerica è ormai il produttore mondiale della coca e di gran parte dell’eroina con una Colombia in cui la lotta per il narcotraffico ha scatenato una guerriglia da trecentomila morti, con un Messico in cui dall’inizio di quest’anno sono state uccise 960 persone del giro della droga, con un presidente della Bolivia che propone la legittimazione della coltura della coca. Il papa ha condannato anche quelle «libere unioni» che in America Latina non sono nemmeno le convivenze dell’Europa, ma quasi sempre incontri poco più che occasionali che lasciano dietro ragazze sole e «ninos de rua»: bambini soli condannati a drogarsi con la colla del calzolaio e ad uccidere o ad essere uccisi per una manciata di soldi.

Questa America Latina di oggi, da un lato ci segue, dall’altro ci precede in drammi annunciati per tutti. I suoi problemi, come gran parte dei nostri, non sono solo più tecnici, sociali e politici. Impastano insieme etica ed economia, solidarietà generale e responsabilità personale. Anche in questo il mondo si globalizza. E il papa, nel suo viaggio, ha potuto uscire da un certo cristianesimo geografico per cui in genere in simili occasioni c’era una sorta di repertorio di temi specifici a seconda dei paesi a cui si rivolgeva. Anche in quelli che una volta si chiamavano paesi del terzo mondo il papa lega ormai strettamente la promozione umana all’evangelizzazione.

In passato qualche volta si è rischiato, attraverso la focalizzazione eccessiva sulla promozione umana, quasi di considerare Dio prematuro per i poveri e di collocare la salvezza spirituale solo al capolinea del progresso materiale. Ora su questo tema il papa nella cattedrale di San Paolo ha detto: «Questa e non altra è la finalità della Chiesa: la salvezza delle anime ad una ad una». Ed ai vescovi latino americani: «I poveri sono i destinatari principali del Vangelo. Il vescovo, immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento ad offrire il balsamo divino della fede senza trascurare il bene materiale». La promozione umana non è cioè tanto una premessa, ma una promessa che è automatica se si ascolta e si pratica il Vangelo. «L’evangelizzazione – ha detto ancora il papa all’inaugurazione della Celam – si è sviluppata sempre insieme con la promozione umana e l’autentica liberazione cristiana».

E nella stessa occasione il papa ha aggiunto che «se la Chiesa si trasformasse direttamente in soggetto politico non farebbe di più per i poveri, ma di meno perché perderebbe la sua indipendenza e la sua autorità morale identificandosi con posizioni parziali». Che è in fondo il «ti ho tradito e ti tradirò» di don Milani di Esperienze pastorali con cui la Chiesa si riserva di giudicare qualsiasi azione e qualsiasi regime compresi quelli che ha creduto più favorevoli ai poveri.

E che i poveri abbiano bisogno non di solo pane lo dimostra il successo ottenuto nel continente latinoamericano dalle sette evangeliche che insistono soprattutto su un messaggio trascendente e che trovano seguaci soprattutto nei ceti medio bassi. Lo ha riconosciuto apertamente il papa in un passaggio significativo della sua conferenza stampa: «Noi cattolici dobbiamo divenire più dinamici nel rispondere alla sete di Dio avvertita specialmente dai poveri». Gli ultimi, insomma, non debbono rimanere tali, ma sembra che sappiano fin d’ora che nel discorso della montagna sono già primi.

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