Cultura & Società
Da padre Mariano a suor Cristina. «Sì» o «no» ai religiosi in tv
I religiosi fanno parte della storia della televisione italiana. Oggi sembra quasi impossibile. Eppure è così. Basti pensare che il primo tormentone televisivo è stato il «Pace e bene a tutti» con cui padre Mariano, a metà degli anni Cinquanta, salutava i telespettatori della neonata Rai. «Padre Mariano è uno dei primi grandi successi della tv», scrive Flaminia Morandi nel suo volume dal titolo provocatorio La via dell’inferno (Bologna, Odoya, 2009) dedicato al progetto cattolico nella storia della televisione italiana. In quel caso padre Mariano faceva il suo «mestiere»: il predicatore. La novità di non poco conto è che lo faceva da un pulpito moderno che di lì a poco sarebbe diventato il principale mezzo di comunicazione di massa dando spazio a ben altri predicatori. Ma questo è un altro discorso.
Per tornare ai religiosi in tv, il caso più recente e dibattuto è quello di suor Cristina a Ballando con le stelle. La sua partecipazione come ballerina allo show del sabato sera su Rai 1 ha fatto discutere. Gran parte del dibattito si è svolto sui social, ma della questione si è parlato anche in altre sedi, ad esempio a TvTalk, su Rai 3, con ospite tra gli altri Giovanni Ciacci che in gara nella precedente edizione di Ballando con le stelle pretese di ballare con un uomo esplicitando le sue tendenze sessuali. Lui stesso ha interpretato la presenza di suor Cristina quest’anno come «l’acqua santa dopo il diavolo».
In effetti, può essere una lettura più appropriata di quanto si possa pensare. È infatti probabile che Milly Carlucci e Rai 1 abbiano pensato che c’era qualcosa da riequilibrare, anche se il casting variegato, particolare ed eccentrico è uno dei punti di forza del programma. Per cui l’ideale sarebbe stato avere suor Cristina e Ciacci allo stesso tempo, visto che il costumista dal pizzetto azzurro doveva esserci anche in questa edizione, sia pure in un ruolo diverso dal ballerino, ma poi l’accordo è saltato. Insomma, «l’acqua santa e il diavolo» insieme sarebbero stati il massimo per gli autori del programma.
Però, citando sempre il libro della Morandi, all’inizio si legge che il cristianesimo è comunicazione, ma «perché la comunicazione in qualche modo arrivi, bisogna mettersi sulla stessa lunghezza d’onda della cultura in cui si vive»: è necessaria, a giudizio dell’autrice, l’«inculturazione del Vangelo nella realtà mediatica».
Si tratta di un concetto già sviluppato anni prima in modo esemplare da Giovanni Paolo Il nella Redemptoris Missio quando parla di «nuova evangelizzazione» perché c’è una «nuova cultura», aggiungendo che «l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte» dall’influsso dei media. Però, dice ancora il Papa santo, non basta usare i media per diffondere il messaggio cristiano nella nuova cultura creata dalla comunicazione: «Occorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura”». Il problema è quindi più complesso, dice Giovanni Paolo II, «poiché e «questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici».
Ci si può allora chiedere, al di là delle polemiche, se le uscite di suor Cristina, prima a The voice of Italy e poi a Ballando con le stelle, non vadano in questa direzione. Lei è cosciente che la sua presenza in tv ha spaccato in due i telespettatori, soprattutto quelli cattolici. Lo ha detto anche nel corso del programma, aggiungendo però che questo accade perché la sua azione è innovativa, che non è il cosa fai che conta, ma come lo fai. Lei rivendica il coraggio di dire quello in cui crede. Addirittura, così facendo, rinnoverebbe il suo «sì a Gesù» e lo annuncerebbe alla vasta platea televisiva. Intento nobile, pertanto. C’è da capire che effetto possa aver fatto sul pubblico e sui suoi mondani compagni d’avventura. Di sicuro il suo messaggio in qualche modo è arrivato per la credibilità della persona, a differenza, ad esempio, del giurato Guillermo Mariotto che con la sua Madonna al collo e la recita del Salmo 150 o l’invito nella puntata del Sabato Santo a recitare il Padre nostro ha finito per apparire più macchietta che altro.
Certo qualcuno continuerà a storcere la bocca di fronte a una suora scatenata in un ballo senza rinunciare all’abito segno della sua consacrazione. Ma forse sta proprio qui la testimonianza di chi vive la fede con gioia e che intende l’impegno artistico come un prolungamento della vita religiosa. Suor Cristina diventa in televisione una Suor Angela o un Don Matteo con la differenza non da poco che lei è reale e loro sono finti. Senza dimenticare che quando si parla di tv, si parla sempre di rappresentazione della realtà.
A parte questo, quel germe di bene e di buon senso che alcuni personaggi di fantasia trasmettono attraverso la fiction, lei, persona vera, non può che trasmetterlo attraverso un reality. Ma come tutto quello che passa in televisione acquista significato dal contesto. Dipende, insomma, dalla figura che ti fanno fare. Lo strumento televisivo è in questo senso infido. Anche un religioso che va in tv con le migliori intenzioni può apparire profano in un ambiente profano.
Questo è il rischio che suor Cristina, con il benestare del suo ordine, ha accettato di correre. Ne è stata cosciente e altresì convinta che il suo sia un modo di annunciare il Vangelo al passo con i tempi e nei luoghi, sia pure virtuali, dove le persone sono numericamente più presenti e dove l’annuncio può pertanto essere amplificato. Per ora, come detto, il suo messaggio sembra sia passato, grazie anche al contesto, ovvero agli altri protagonisti del programma (dalla conduttrice, alla giuria, ai «colleghi» concorrenti) che hanno trattato la suora con rispetto. Sarebbe stato fin troppo facile metterla alla berlina, come hanno fatto molti frequentatori dei social network. Ciò non toglie che il capitolo dei religiosi in tv resti comunque aperto, compreso il dibattito.