Pisa

Da Greccio a Barga la tradizione dei presepi viventi

di Gualtiero Pia

Nei giorni precedenti la dolce ricorrenza della festa religiosa del Natale, per lodevole iniziativa di alcuni barghigiani, da qualche anno il Castello è animato da un suggestivo presepio vivente ormai diventato tradizione, nel quale rivive il mondo quasi ormai scomparso della civiltà contadina e artigiana, con i suoi molteplici aspetti di costumi e di lavori manuali. Un mondo che ritroviamo mirabilmente riprodotto nelle opere soffuse di poesia dei valenti artigiani del gesso della Val di Serchio, i figurinai, opere diffuse da secoli in tanti paesi del mondo. In questa particolare atmosfera sono opportunamente inseriti i personaggi evangelici di Maria e Giuseppe, del Bambino Gesù e dei Re Magi, impersonati con sincera partecipazione dagli abitanti del luogo.L’iniziativa, che possiamo definire «sacra rappresentazione», è stata apprezzata da varie comunità limitrofe, tanto da venire riprodotta con vivo successo, adattandola alle caratteristiche dei vari ambienti. Così, diversi paesi della Val di Serchio celebrano il loro «presepio vivente».Ma qual è l’origine storica dei tanto ammirati presepi viventi? È una domanda che molti si pongono. La risposta richiede un lungo passo indietro nel tempo. Infatti il primo presepio vivente vide la luce tanti secoli fa ad opera di San Francesco d’Assisi; il quale aveva rifiutato la ricchezza del padre e i piaceri di una vita gaudente per seguire i richiami evangelici e l’assoluta povertà.L’umile frate Francesco, con alcuni fedeli seguaci, fra i tanti ormai sparsi in tutto il mondo, verso la fine della sua vita terrena, nel 1223, trovandosi a Greccio, un paesino di pastori non lontano da Rieti, volle festeggiare la festa del Natale, da lui prediletta, con un rito collettivo che rendesse tutti partecipi del grande avvenimento che aveva sconvolto il mondo. Una stalla, una fanciulla che rappresentasse Maria, un pastore che rappresentasse Giuseppe, un neonato, un asino e un bue. Così il mistero della natività venne poeticamente calato in mezzo alla gente, suscitando sentimenti di tenerezza e d’amore.San Bonaventura narrò così la poetica vicenda di quel lontano presepio vivente:«Il terzo anno anziché il Beato Francesco morisse, sì gli venne voglia di fare memoria della natività di Cristo, per commuovere la gente a devozione. E ordinò di fare questa cosa al Castello di Greccio, nella maggiore solennità che fare si potesse; e acciocché di questa cosa non fosse mormorio, si ne volle la licenza del papa; e avuta la licenza, si fece apparecchiare la mangiatoia col fieno, e ivi fece venire il bue e l’asino, e facevi venire molti frati ed altra buona gente, e volle fare questa cosa di notte, e fu in quella notte bellissimo tempo e vi fu grande quantità di lumi accesi, e fu molto solenne di molti canti di laude… e l’uomo di Dio stava dinanzi al presepio, pieno di somma dolcezza, spargendo infinite lacrime di somma devozione e pietà».Ma Francesco è ormai giunto alla conclusione della sua vita. Il suo corpo è consumato, le piaghe provocate dalle stimmate sanguinano continuamente. Si dirige allora alla Porziuncola, assistito dal fedelissimo frate Leone, da altri confratelli e dall’assisana Chiara, sua fervente seguace e fondatrice dell’ordine delle Clarisse francescane. Il miracolo delle stimmate fa accorrere la folla che vuole esternargli affetto e venerazione, sentimenti che ancora oggi noi proviamo, credenti e non credenti, verso questo grande santo. Lo spirito di Francesco lo ritroviamo ancora vivo coll’infinito amore per l’umanità e la natura nei «Fioretti» e nel «Cantico delle Creature», sublimi inni di fede e opere che sono fra le più alte espressioni della sistemazione letteraria del «volgare», cioè della parlata del popolo, che diventa «lingua» soppiantando in questo ruolo il latino. Il linguaggio del tempo del presepio vivente del poverello d’Assisi è lo stesso parlato al tempo dei presepi viventi dei nostri giorni.