Toscana
Da Firenze, un calcio alla Sla
Sclerosi laterale amiotrofica, da Pisa la speranza di una cura
di Alessandro Banti
I primi sintomi sono quelli di un generale affaticamento, si fatica ad usare un braccio o una mano, poi la debolezza aumenta, la massa muscolare diminuisce fino a perdere tutte le attività motorie volontarie: è la terribile progressione della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) più conosciuta come «morbo di Gehrig», dal nome del campione americano di baseball Lou Gehrig morto nel 1941, prima vittima accertata di questa patologia. Terribile perché sembra colpire in primis proprio soggetti forti e inattaccabili come gli sportivi e anche perché colpisce il fisico ma non la mente: la personalità, l’intelligenza e la memoria restano inalterate e il malato si vede lentamente svuotare di tutte le sue forze senza possibilità di opporsi.
Al momento infatti non esistono cure per la SLA: l’unico farmaco approvato è il Riluzolo, la cui assunzione può rallentare la progressione della malattia ma non fermarla.
Di SLA in Italia sono morti oltre trenta ex calciatori professionistici (di alcuni dei quali non si conosce il nome per motivi di privacy) e sei sono quelli attualmente ammalati. Troppi per una malattia che ha fortunatamenteun’incidenza bassa nella popolazione in genere (3-6 casi ogni 100 mila persone).
Da molti anni si cerca di capire quale relazione possa esserci tra l’attività del calcio e la SLA e per il momento nessuna tra le tante ipotesi è stata dimostrata: in primis non è stata trovata alcuna correlazione tra la SLA e il doping, anche perché in altri sport nei quali si è fatto purtroppo ampio uso di doping come il ciclismo non ci sono stati casi di SLA.
Poi si è parlato delle conseguenze dei traumi da gioco, dei sovraccarichi di fatica, dell’abuso di farmaci antinfiammatori e addirittura del contatto con pesticidi e diserbanti usati per mantenere l’erba dei campi da gioco. Certo è che i fattori genetici sembrano la prima delle cause della malattia ma le ricerche continuano per cercare eventuali concause legate al calcio o a sport giocati nelle stesse condizioni (rugby) per poter prevenire ulteriori episodi.
Prima di Stefano Borgonovo il caso più famoso nella nostra regione era stato quello di Gianluca Signorini, pisano ed ex giocatore del Pisa nonché in serie A con Parma, Roma e Genoa, morto nel 2003 a soli 42 anni. Ma la lista di giocatori toscani di nascita o d’adozione colpiti dalla SLA è purtroppo lunga: ricordiamo Armando Segato, giocatore della Fiorentina negli anni ’50, il primo calciatore a cui fu diagnosticata la malattia in Italia e morto a Firenze nel 1973 a 44 anni, Ubaldo Nanni, ex calciatore del Pisa morto nel 2006 a 44 anni e il ponsacchino Adriano Lombardi, giocatore e allenatore di seria A, scomparso meno di un anno fa a 62 anni. Doloroso rileggere una delle ultime interviste che quest’ultimo rilasciò a La Repubblica: «Ho giocato con Tardelli e Vierchowod ma adesso non ce la faccio nemmeno a grattarmi la testa. Lo devo chiedere alle mie bambine. Ho fatto i corsi di allenatore con Lippi e Scoglio, ma ora non riesco più a girarmi nel letto. Lo devo chiedere a mia moglie. Ho giocato 500 partite di campionato, quasi tutte con la fascia da capitano, ora non posso giocare più a niente, nemmeno a vivere. Sono un altro calciatore condannato dal morbo di Gehrig».
All’Università di Pisa il professor Francesco Fornai e la sua equipe stanno lavorando sul litio, un farmaco da molti anni usato in psichiatria, per trovare un rimedio definitivo. Da uno studio condotto su sedici pazienti è stato verificato che il litio rallenta il progredire della SLA. Lo studio è stato pubblicato a febbraio su una rivista scientifica americana, Pnas. Il professor Fornai ha scoperto che il litio infatti stimola l’autofagia delle cellule, un processo che consente alla cellula di rinnovare il proprio contenuto e di rimuovere selettivamente gli organelli danneggiati e d’altro canto diminuisce la formazione di proteine tossiche per il sistema nervoso, in particolare il glutammato. La conseguenza di tutto ciò è un sostanziale arresto della progressione della SLA, constatato non solo sui topi di laboratorio, ma anche sull’uomo.
Il dottor Mario Melazzini fondatore dell’associazione AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) parla di «scoperta sconvolgente, se fosse provata meriterebbe il Nobel». «Certo» aggiunge «per il momento i numeri sono piccoli e i pazienti presentavano tutti un quadro atipico, migliore della media, ma le premesse fanno ben sperare».
Tant’è che lui stesso ha già scritto ai neurologi vicini all’associazione per sollecitarli ad avviare uno studio osservazionale: «Li ho invitati a prescrivere i sali di litio ad alcuni dei nostri malati, in uno studio che coinvolgerà almeno 200 persone, e in meno di un anno i risultati, se ci sono, saranno evidenti, così che potranno essere codificati in tempi brevissimi».
Intanto il dottor Melazzini ha confermato che quasi tutte le Regioni hanno attivato dei tavoli ad hoc e si sono impegnate per garantire ai malati l’assegnazione dei comunicatori vocali, dispositivi a controllo oculare come quello che usa Borgonovo per combattere la sua coraggiosa sfida.
La serata al Franchi: Il coraggio di Stefano
di Stefano Prizio
A volte la corrente può fermarsi, l’acqua turbinosa riposare un attimo, per chi scappa frenetico al centro del fiume è un’occasione per guardare le sponde. Il mondo del calcio, veloce, ricco e patinato, qualche volta sa prendersi una pausa, sa ricordarsi dei valori che, almeno sulla carta lo fondano. Come è accaduto l’8 ottobre scorso, in occasione della partita «Tutti per Stefano Borgonovo». La cornice è il «Franchi» di Firenze, l’occasione è un omaggio ad un calciatore del passato che vive anni di vento e tragedia, l’ex attaccante della Fiorentina e del Milan Stefano Borgonovo, costretto al silenzio e all’immobilità dalla Sla (sindrome laterale amiotrofica), una malattia ad oggi incurabile che alcuni scienziati ed un magistrato come Raffaele Guariniello sospettano essere anche un male professionale del calcio. A Firenze ci sono tutti, le vecchie e le nuove glorie di Fiorentina e Milan, da Antognoni a Ronaldinho, dall’allenatore del Chievo Iachini, riproposto in versione mediano mordace, all’idolo di casa rossonera Franco Baresi.
E poi Roberto Baggio, l’altra metà del cielo, l’altro lato della «BB», o «B2» che dir si voglia, la coppia di bomber della Fiorentina di fine anni ’80, Baggio e Borgonovo. Roberto Baggio, imbiancato e un po’ appesantito, amico fraterno di Stefano che prende possesso della carrozzina del suo compagno di reparto e se lo porta in giro per lo stadio, come quando, vicini vicini, si confezionavano a vicenda assist e gol. Baggio, lo stadio di Firenze lo attendeva da una ventina d’anni, dopo l’addio amaro avvenuto quando si consumò il passaggio di proprietà della Fiorentina, dai Pontello ai Cecchi Gori. Gli scontri di piazza sono un ricordo sbiadito, resta l’affetto per il divin codino e dalla Fiesole rimbalzano vecchi cori, per Borgonovo, ma anche per Baggio. «Mio marito è emozionato e felice e io sono felice per lui dice la signora coraggio, Chantal, la moglie di Stefano Borgonovo tutta questa energia positiva gli darà la carica almeno per i prossimi due anni. Mio marito per più di due anni non ha voluto incontrare nessuno, questa apertura eccezionale ha cambiato la nostra vita, abbiamo un progetto da portare avanti adesso». Stefano Borgonovo esce dal silenzio e torna alla vita, decide di diventare simbolo della lotta alla Sla, di lì l’idea di creare una Fondazione per raccogliere fondi a fini di ricerca ed assistenza dei malati.
Stefano Borgonovo lascia il pudore sul suo letto di malato e si offre nudo all’arena. E ad accoglierlo trova il popolo del calcio. Ad accoglierlo ci sono tutti, compresi Marcello Lippi, coi ragazzi della Nazionale italiana in ritiro a Coverciano, e Adriano Galliani, due personaggi che allo stadio di Firenze non sono mai stati ricevuti con grazia.
Ma il clima è diverso dal solito, sugli spalti ci sono gli ultras, vecchi e nuovi, ma anche genitori con bambini, padri e madri che hanno intuito come una serata come quella per Stefano Borgonovo sia l’iniziazione perfetta alla vera bellezza del pallone. Sulle gradinate c’è rispetto, commozione, lacrime e applausi. La partita finisce 4 a 1 per la Fiorentina, con le squadre delle vecchie glorie e dei professionisti che si mescolano e battagliano allegramente, ma è contorno. La gente vuole riabbracciare Stefano Borgonovo e godersi questo calcio a misura d’uomo che si manifesta ormai così raramente. Il cammino di Stefano Borgonovo non si fermerà qui, il suo ex procuatore, Carlo Pallavicino, instancabile deus ex machina dell’evento fiorentino, sta già lavorando assieme all’ex allenatore della Fiorentina Fatih Terim (anche lui al «Franchi» come tanti vip del calcio italiano e internazionale) per realizzare una serata per la lotta alla Sla in Turchia, Stefano Borgonovo ha già fatto sapere di volerci essere.
Anche la Fiorentina sta pensando alla possibilità di rinnovare l’evento, magari organizzando un’amichevole estiva, un appuntamento fisso a cadenza annuale, con il Milan, ma anche con altre società italiane ed europee, i cui incassi verrebbero devoluti alla ricerca contro la terribile malattia che afflligge così tanto calciatori. Da una sedia a rotelle Stefano Borgonovo ha mosso le montagne.
La storia: Vinicio, l’ottico che ora parla con gli occhi
di Mauro Banchini
Ha tempo per guardare la tv, per leggere giornali on line, per scrivere e-mail. Da qualche anno vive sdraiato su un letto. Immobile. Malato. È uno con la Sla.
Con Deanna, la moglie, ha appena festeggiato 42 anni di matrimonio («Anni bellissimi dice lei, che non nasconde lacrime pesanti anni che auguro a tutte le coppie. Ma adesso è difficile. Bisogna stringere i denti, imparare a vivere alla giornata, a convivere con il dolore e con la sofferenza Pensavo che la nostra vita dovesse finire in modo diverso. Avevo messo nel conto una malattia, ma non questo tipo di esperienza»).
Di politica ne è passata molta, dagli anni Settanta all’inizio del nuovo secolo, nel piccolo retrobottega di Vinicio, nel centro storico di Pistoia: esponente di punta della sinistra diccì, erano in molti a fare un salto quotidiano da questo ottico che di politica ne capiva.
Poi, attorno a quattro anni fa, quella strana difficoltà a muovere la mano. I primi accertamenti. I primi sospetti. La diagnosi finale. Chiara e impegnativa, cattiva da accettare. Cattiva per lui e per Deanna. Per lui e per i figli. Ma anche per lui e per i tanti amici che, piano piano, Vinicio non l’hanno visto più. Ha rallentato. Si è fermato.
In molti lo vanno a trovare, amici e avversari di un tempo lontano. Superando una ritrosia e un timore fin troppo comprensibili. Lui è contento. Non parla. Ascolta. Non fa una smorfia, ma sorride con gli occhi. Andarlo a trovare forse lo aiuta, ma di sicuro aiuta chi lo va a trovare. Entri sperando di fargli un piacere, a Vinicio. Esci con la certezza che il regalo grande te l’ha fatto lui.
Scherzi su Berlusconi (a Vinicio, in tutta franchezza, Silvio non è mai andato a genio) e sul piddì che non si è ancora capito che pesce è. Parli della fede e del calcio, del nuovo vescovo e delle vacanze (le tue). Di un sacco di cose, parli con Vinicio.
Immobile, lui riesce a far girare gli occhi. Dice tutto, con gli occhi. Ci scrive al computer. Uno di quei miracoli che riconciliano con la tecnologia. Muovendo le palpebre ha scritto alla cronaca cittadina de La Nazione, a un collega che, quattro anni fa, gli fece l’ultima intervista.