Vita Chiesa

Da Firenze prove di «sinodalità» per rispondere all’appello di Papa Francesco

Una metodologia innovativa, che ha permesso a tutti di parlare confrontandosi in scioltezza e franchezza. Anche quando hanno preso la parola i vescovi, senza però mai monopolizzare il dibattito o intimidire chi voleva intervenire. È un coro di approvazione unanime, quello che da Firenze si leva a favore dei “tavoli” attorno a cui alla Fortezza da Basso si sono articolati i gruppi di studio del Convegno di Firenze, favoriti dalla presenza dei moderatori. Ne abbiamo ascoltati alcuni, uno per ogni “via” della Traccia – uscire, annunciare, educare, abitare, trasfigurare – in attesa delle conclusioni di domani.

Uscire.

“Così come stanno andando le cose, non si può più andare avanti”.

Per don Antonio Mastantuono, parroco di Larino, è questa la consapevolezza principale emersa finora nel suo gruppo. Per declinare nel concreto uno dei verbi più amati da Papa Francesco, “bisogna uscire anzitutto dentro la Chiesa: imparare ad abbattere divisioni, muri, barriere tra movimenti e associazioni, operatori di un’area e operatori di un’altra”. Ma uscire è anche “rompere con un certo linguaggio che ci impedisce di essere comprensibili a coloro che sono all’esterno dei nostri recinti”. Ed è proprio in quella direzione, verso il mare aperto, che bisogna tracciare la seconda traiettoria della Chiesa in uscita: “Uscire è il gesto della Chiesa che apre le porte e va all’esterno per evangelizzare. Uscire è andare verso l’altro, non per fare opera di conquista ma per ascoltare con lo stile dell’empatia”. “Simpatico”, puntualizza don Antonio giocando con l’etimologia del termine, è “colui che è capace di entrare in relazione profonda con l’altro, a partire dalla consapevolezza che noi cristiani non portiamo noi stessi, ma qualcun Altro”.

Annunciare.

“Concretezza, attorno a un tavolo, significa sentire che la Chiesa è plurale”.

Francesca Simeoni, già presidente nazionale della Fuci, sintetizza così il clima del suo gruppo sull’“annunciare”. “Il desiderio più forte – ci racconta – è quello di fare sintesi  con la vita: annunciare è una via delicata, su cui la Chiesa a volte fa un po’ fatica. Parte dal trasfigurare, cioè dall’aver incontrato Cristo, e si sviluppa attraverso la volontà di fare presa nei contesti concreti in cui si dipana la vita quotidiana”. “Cambiamento” e “decentramento”, le altre parole d’ordine per “andare al di là del proprio campanile”, attraverso un esercizio di ascolto che chiede “un maggior radicamento nella Parola di Dio, una formazione seria e una comunità fatta di relazioni umane autentiche”. “Una comunità accogliente è il primo annuncio”, dice Francesca con convinzione: “La Parola di Dio deve fare annuncio non dell’umano, ma nell’umano, nella concretezza dei bisogni e dei desideri degli uomini e delle donne”. Di qui la necessità di “rivedere tutto il sistema formativo della Chiesa, a partire dall’iniziazione cristiana, dalla catechesi e dalla formazione dei seminari”.

Educare.

“Questo non è un tempo per uomini soli”.

Marcello Tempesta, docente di pedagogia all’Università del Salento e membro della Consulta delle aggregazioni laicali, comincia da questa metafora per descrivere la “trasversalità” dell’educare, ambito a cui la Chiesa italiana ha dedicato questo decennio pastorale.  Dal gruppo da lui moderato, è giunta l’indicazione di “improntare l’azione educativa ad una grande prossimità” alla vita della gente. Per essere all’altezza delle richieste del Papa, ci vogliono tre aggettivi da aggiungere alla qualità dell’iniziazione cristiana: “Essenzialità, semplicità e concretezza”. A partire dalla famiglia, “ambito strategico da accompagnare in tutte le sue fasi”, e dalla scuola, “dimensione forse un po’ trascurata negli ultimi tempi dalla comunità ecclesiale”.

Abitare.

“Casa, famiglia, città, politica, cultura”.

Sono tanti i luoghi da “abitare”, verbo anche questo “trasversale” alla vita. Marisa Parato, responsabile nazionale della Conferenza Italiana degli Istituti Secolari, associa a questa “via” di Firenze il termine “conversione”, risuonato tra i tavoli del suo gruppo. “Conversione della Chiesa, dei cittadini, degli abitanti della polis”, a partire dal “vissuto storico-culturale dell’Italia”, che comporta la capacità di “riappropriarsi dei luoghi abitabili e di renderli nuovi, attraverso quello sguardo di umiltà, disinteresse e gratitudine chiesto dal Papa”. Decisivo è lo “stile di vita” del cristiano, fatto di “vicinanza, accompagnamento, ascolto, condivisione, interesse reale  per la persona che ci sta accanto”.

Trasfigurare.

“Se i cristiani non trasfigurano l’intera vita ad immagine di Cristo, cosa ci stanno a fare?”.

Monsignor Valter Danna, vicario episcopale della diocesi di Torino, sceglie un’immagine sanamente provocatoria per “un tema di sintesi”, quello del “trasfigurare”, che “è il quadro d’insieme, l’orizzonte ma anche il punto di arrivo delle varie vie di Firenze”. Di qui l’importanza della liturgia e di “una maggiore familiarità con la Parola di Dio”. Le nostre messe domenicali “dovrebbero essere più vive e meno verbose, perché rivolte a fare, più che a parlare di un’esperienza di Dio. Il silenzio, la lectio divina, l’Eucaristia al centro come momento per ripartire nella vita sono momenti dell’atto liturgico che andrebbero maggiormente valorizzati”.