Cultura & Società

Cucina: Gian Marco,dai vestiti ai fornelli

di Marco LapiLa passione per la buona tavola, si sa, contagia moltissimi palati. E non c’è periodo migliore di questo per parlarne: digeriti gli eccessi delle festività natalizie, ci riportano volentieri a gustare altri manicaretti la stagione ancora rigida e il Carnevale, periodo tradizionalmente «grasso» e dedicato, nella cultura contadina, all’uccisione del maiale. Ma se per la gran parte delle buone forchette ciò che conta è solo il piatto che hanno davanti, c’è anche chi, pur non essendo chef di chissà quale ristorante, trova addirittura più piacevole cucinare che mangiare.

È il caso di Gian Marco Mazzanti, di professione rappresentante di abbigliamento e per diletto – suo e dei suoi numerosi amici – cuoco nonché autore di libri di ricette. Con grande successo anche su quest’ultimo fronte: «Liscio come l’olio», piccola raccolta di 50 ricette con l’olio extravergine di oliva edita da Vallecchi al prezzo di copertina di 5,50 euro, è risultato il libro più venduto in assoluto nell’ambito dell’iniziativa «Toscana da leggere» promossa da Unicoop Firenze in sei ipermercati e tre supermercati della catena. Ma non è l’unico: dei dieci volumetti che compongono la simpatica collana «I quaderni del mangiar sano», Mazzanti ne ha scritti infatti ben sei, cinque dei quali già usciti («Ci casca a fagiolo», «Spirito di patata», Mettitelo in zucca», «Mai dire mais», oltre al già citato «capolista») e uno in corso di stampa («Ora sono cavoli», anche questo, come tutti gli altri, con 50 ricette).

L’attrazione di Gian Marco per i fornelli, ereditata dal padre Giancarlo e messa alla prova per la prima volta durante il servizio militare a Rimini, è andata affinandosi con l’organizzazione di grigliate e tavolate con gli amici, in particolare nella casa in campagna lungo la strada tra Firenze e la Consuma. «Non per sentirsi dire bravo – ci spiega – ma per il piacere della compagnia e anche per comunicare una passione, far conoscere i prodotti e gli abbinamenti, trasmettere una cultura gastronomica».

Le stesse cose che ha cercato di fare con i volumi che hanno preceduto i ricettari della Vallecchi, nati un po’ per caso, un po’ per necessità. Tutto partì a Natale 1993 con «Una compagnia di mestoli», una specie di quadernone fatto girare in più copie tra gli amici perché ogni famiglia vi aggiungesse le proprie ricette. Ma quella stessa compagnia, che faceva e fa riferimento alla parrocchia fiorentina di San Salvi, pensava anche a chi da mangiare non ne aveva proprio, attraverso il locale «Banco di Solidarietà» da cui di lì a poco sarebbe nato il Banco Alimentare della Toscana. C’era bisogno di mettere insieme un po’ di soldi per fare i pacchi per i poveri ed ecco allora l’idea di un primo, vero e proprio libro, «In cucina con me», i cui proventi sarebbero stati destinati a questo scopo. Fu un successo e Mazzanti ci prese gusto, dando alle stampe un testo dopo l’altro sempre allo scopo di finanziare l’attività benefica della parrocchia: «Nel paese dei mestoli» (1998), «Un pentolone di parole» (piccolo dizionario dei termini culinari, 2000), «I sapori che si raccontano» (dedicato ai prodotti tipici toscani censiti dall’Arsia, 2002) e «La buona tavola: un fatto di cultura e di civiltà» (2003), considerato da Gian Marco – e a ragione – il suo capolavoro, perché, come ancora ci spiega, non tratta solo di ricette ma, appunto, della nostra cultura gastronomica nazionale. Un viaggio immaginario lungo le «vie» dei diversi alimenti introdotte da prefazioni non meno interessanti dei successivi elenchi di ingredienti e dosi, anche perché, come ci dice ancora l’autore, «la cultura della tavola che va a finire alla ricetta comincia dalla pentola giusta e anche bella visivamente ma anche dalla manualità nel fare il battuto rinunciando a frullatori e mixer».

Per Mazzanti «mangiare è un rito», come afferma nell’introduzione al «capolavoro» di cui sopra, all’inizio del quale ha riportato una massima del famoso gastronomo francese Brillat Savarin: «Il Signore prima ha voluto punire la creatura umana con la fame… poi l’ha premiata con l’appetito». Per questo, il suo impegno nel Banco di Solidarietà di San Salvi e nel Banco Alimentare della Toscana (è membro del Consiglio direttivo e infaticabile capo-équipe della Colletta di fine novembre) non è certo contraddittorio, anzi. «Mangiar bene – ribadisce – è un fatto di cultura, civiltà e di rapporti umani. E anche per il povero, un piatto di spaghetti cotti al punto giusto e ben conditi è meglio che un piatto di pasta scotta per la pura sopravvivenza». Come dire che se il cibo è nutrimento per il corpo, il buon cibo può essere in qualche modo nutrimento anche per l’anima. «E soprattutto il farlo», chiosa Gian Marco.

Da un anno Mazzanti fa parte dell’Accademia Italiana della Cucina, creata nel 1953 dal giornalista Orio Vergani per tutelare le tradizioni culinarie nazionali. Della sua delegazione (Firenze) fa parte anche il consigliere nazionale Paolo Petroni, autore di ottimi testi come «Il libro della vera cucina fiorentina», «Il grande libro della vera cucina toscana» e «Il libro della vera cucina marinara», editi da «Il Centauro». Gian Marco sembra ormai lanciato sulle sue orme: al suo attivo anche alcune relazioni alla delegazione e un articolo sulla cucina nella letteratura pubblicato sul mensile dell’accademia. Poi c’è l’idea di proseguire con i libri attraverso monografie sulle varie zone. E aprire un ristorante? «Se me lo chiedessero, vacillerei», confessa. Ma tutto, in fondo, era già previsto nella dedica di quel quadernone del Natale ’93 fatto girare tra gli amici: «…con la speranza di scrivere non un ricettario, ma un’enciclopedia di ricette con la nostra compagnia di San Salvi».

La piramide toscana del mangiar beneFinora nella piramide della corretta alimentazione sono stati inseriti nel tempo, a seconda del livello raggiunto dagli studi internazionali, i vari tipi di alimenti, in spazi ben definiti per frequenza e quantità ai fini di contribuire a un buono stato di salute e prevenire le patologie più comuni legate allo stile di vita.Alla base del triangolo compaiono l’attività fisica giornaliera e il controllo del peso. Quindi si sale ai settori importanti e raccomandati della frutta e della verdura. E infine, passando per legumi, pesce, carne bianca, uova e latticini, ci si inerpica in vetta, là dove è consentito «osare» (ma di rado) il consumo di burro e carni rosse.

D’ora in poi la celeberrima «piramide» parlerà toscano. Perché se mangiare correttamente fa bene alla salute, fa ancor meglio mangiare alimenti toscani. Lo sostengono le due agenzie regionali Arsia e Ars che, insieme all’Istituto nazionale della ricerca per gli alimenti e la nutrizione e in collaborazione con il Centro studi agronomici internazionali dell’Accademia dei Georgofili, hanno presentato nei giorni scorsi il progetto per costruire un «modello toscano» per una alimentazione salutare, in breve una «piramide» targata Toscana.

Con quali motivazioni e criteri i prodotti toscani verranno inseriti nella «piramide»? Si terrà conto soprattutto dell’importanza di accedere alla produzione locale, con bassi o assenti contenuti di sostanze chimiche, vicina al consumatore e quindi non conservata per lunghi periodi, studiata dal punto di vista dei nutrienti più importanti per la salute in relazione con «cultivar», razze e tecniche di produzione.

E siccome la regola dice che «la piramide va mangiata tutta», ecco che troveranno il loro posto l’olio extravergine d’oliva toscano, e anche (perché no, se in modica quantità) il vino toscano, i cereali e i legumi biologici, la carne proveniente da allevamenti «eticamente» condotti e tutti quei prodotti toscani le cui qualità tradizionali vengono esaltate da una realtà produttiva d’eccellenza.