Firenze

Crollo Firenze: card. Betori, nessuno può dire non mi riguarda

Nell’omelia per la prima Messa di Quaresima l’arcivescovo di Firenze ha ricordato le vittime di via Mariti

Prima di rivolgersi direttamente ai catecumeni, arrivati in cattedrale a Firenze per accogliere il saluto da parte dell’arcivescovo, il cardinale Giuseppe Betori ha parlato dell’incidente avvenuto in via Mariti venerdì scorso e costato la vita a quattro persone mentre le squadre dei vigili del foco cercano ancora un quinto operaio rimasto sotto il solaio sopra il quale si è schiantata la colonna di cemento del cantiere.

Di seguito l’omelia dell’arcivescovo Giuseppe Betori

OMELIA

Prima ancora di entrare in una riflessione legata alle letture proposte in questa prima domenica di Quaresima, è doveroso indirizzare la nostra mente e il nostro cuore accanto ai morti e ai feriti del tragico crollo di venerdì scorso in via Mariti, e quindi ribadire la nostra vicinanza alle loro famiglie e a tutti i loro cari, così pure all’intera nostra città, anch’essa vittima di questo evento luttuoso. Lo facciamo ovviamente con la preghiera, ma anche richiamando tutti al fatto che la dignità del lavoro, componente essenziale della dignità umana, ha come primo presidio la sua sicurezza. Il ripetersi di questi drammatici sinistri è evidente segnale che c’è ancora molto da fare in ambito legislativo, in quello imprenditoriale e delle organizzazioni dei lavoratori, in quello di chi ha responsabilità diretta dei luoghi di lavoro e della loro sicurezza. Anche di questo, che – per restare nel contesto quaresimale –potremmo definire una necessaria “conversione” sociale ha bisogno il nostro Paese, chiamando tutti e ciascuno all’esercizio della responsabilità. Siamo gli uni gli altri custodi dei nostri fratelli. Nessuno può sottrarsi e dire che non lo riguarda. Possa questo richiamo produrre decisioni adeguate da parte di chi è coinvolto nel garantire la sicurezza dei lavoratori, mentre come comunità cittadina siamo chiamati a non abbandonare le famiglie provate da questa sciagura e a nutrire gratitudine per i soccorritori. Sono sentimenti che condividiamo con il Santo Padre e per le sue parole gli siamo profondamente riconoscenti.

Infine in questa tragedia si intrecciano i temi della sicurezza nel lavoro e della convivenza sociale. Firenze ricordi per sempre il sacrificio di Mohamed, Taoufik, Mohamed e di Bouzekri (ancora disperso e che si teme di non trovare vivo), venuti da lontano per lavorare insieme a Luigi, che con loro ha perso la vita, e con gli altri feriti, anch’essi provenienti da altre nazioni, per dare forma nuova a uno spazio cittadino da tempo abbandonato. Sono persone migliori di chi li definisce “stranieri”, attribuendo loro più doveri che diritti. Quando si guardano e si giudicano con distacco, pensiamo che per Luigi sono stati semplicemente colleghi. La prossimità genera umanità. Luigi e i suoi compagni sono stati insieme vittime di un sistema sociale che, a riguardo dell’accoglienza e del lavoro, esige un ripensamento strutturale per superare scelte sbagliate e distruttive. Tutta la città rifletta sul fatto che le ingiustizie creano danni e morte, e il male non fa differenza fra gli uomini. Questa presa di coscienza ispiri un nuovo orientamento del pensiero, delle decisioni, delle azioni.

Veniamo ora alle letture di questa celebrazione per essere aiutati a vivere il cammino quaresimale appena iniziato. Vorrei fermarmi su tre concetti di fondo: la fede come combattimento, la fedeltà di Dio nella storia della salvezza e infine il ruolo dei sacramenti nella nostra vita ecclesiale e personale.

La fede come combattimento. La pagina del Vangelo di Marco che è stata appena proclamata, è breve e asciutta: racconta che Gesù viene condotto dallo Spirito nel deserto e che nel deserto viene tentato da Satana e servito dagli angeli, per poi, a seguito di queste tentazioni e dell’arresto di Giovanni Battista, iniziare la sua missione pubblica. Gesù viene tentato ma esce vittorioso dal suo confronto con il male per iniziare la sua missione.

È possibile che talvolta si intenda la vita di fede in maniera irenica e un po’ superficiale, come una vita che scorre con facilità, che non ha bisogno che della spinta iniziale e che poi procede da sé. Ma il Vangelo ci svela una situazione diversa. La fede appare come segnata da un carattere persino drammatico: conosce ostacoli e tentazioni, affronta resistenze e chiama al combattimento.

Gesù che nel deserto ci rappresenta tutti nel confronto con il male. Egli è tentato, ma vince su Satana. Per questo possiamo rivolgerci a lui, a lui che ha fatto esperienza di ciò che noi stessi viviamo: il combattimento, cioè, che dobbiamo affrontare per rimanere radicati nella fede. In Gesù non abbiamo a che fare con un Dio lontano e insensibile, lontano da noi e dalle nostre battaglie dello spirito. No! Nel combattimento alziamo a lui la nostra mente e il nostro cuore; a lui che può sentire le nostre difficoltà, perché egli stesso le ha sperimentate in sé. Con Gesù, nel combattimento non siamo soli.

La fedeltà di Dio. La fedeltà di Dio all’uomo è un dato che si apprende con chiarezza dalla prima lettura, dal Libro della Genesi. Dio si rivolge a Noè al termine del diluvio e dice che la sua alleanza con l’uomo non conoscerà distruzione: l’arcobaleno che unisce il cielo alla terra diventa nel racconto della Genesi il simbolo di questa alleanza duratura. Non sarebbe inutile ricordare che l’arcobaleno è il segno della pace che Dio fa con l’umanità, per cui è illusorio pensare che gli uomini possano costruire rapporti di pace tra loro mettendo ai margini Dio, perché la pace è suo dono.

Ogni volta che l’uomo vedrà quel ponte tra il cielo e la terra potrà ricordare che Dio ha rivolto ancora una volta la sua benevolenza sull’uomo e su tutta la creazione; potrà ricordare che la fedeltà di Dio è stabile e forte.

La fedeltà di Dio nei sacramenti. C’è un luogo in cui la fedeltà di Dio si sperimenta in una maniera particolare: i sacramenti. Nei sacramenti si realizza la presenza di Dio, la presenza della sua grazia. La Chiesa ha sempre inteso i sacramenti come la via privilegiata in cui il mistero salvifico di Cristo in virtù dello Spirito santo si rende presente tra noi.

La Prima Lettera di Pietro tratta del battesimo, rievocando nel segno dell’acqua la vicenda di Noè. L’acqua salva, è strumento di salvezza: Noè e le persone con lui e gli animali non sono salvati dall’acqua, ma per mezzo dell’acqua. E quelle acque, che conducono l’arca costruita mentre Dio pazientava, sono segno dell’acqua del battesimo, che risana, purifica, salva.

I catecumeni. Oggi, in questa messa, non solo celebriamo la prima domenica del cammino della Quaresima, ma siamo raccolti attorno alla mensa della Parola anche per celebrare il rito di elezione di alcuni nostri fratelli e sorelle che chiedono di diventare cristiani, cioè di essere ammessi ai sacramenti dell’iniziazione cristiana nella Veglia di Pasqua.

Carissimi, la Chiesa mediante alcune domande che vi rivolgerò tra breve, vorrà verificare l’idoneità e la disponibilità a entrare nella comunità dei credenti in Gesù.

Le parole che ho sottolineato in questa celebrazione, cari catecumeni, sono rivolte a voi in modo particolare. Tra poche settimane qui in cattedrale o nelle vostre comunità riceverete i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucarestia; proprio quei sacramenti nei quali – come ho detto – è Dio che si fa presente con la sua grazia per la nostra salvezza.

Dio non vi lascia soli, non vi abbandona, anzi, nella vita sacramentale che inizia per voi nella Veglia di Pasqua, vi promette di essere sempre presente, di accompagnarvi, di custodirvi in ogni passo della vostra vita. Lo farà anche attraverso la comunità a cui appartenete e che continuerete a frequentare, come luogo che vi ha generato alla fede e che ancora vi sosterrà nelle vicende della vostra esistenza.

Chi entra nella fede e nella vita della comunità ecclesiale – cari fratelli e care sorelle – avrà continuamente bisogno della fedeltà di Dio. Ne avrete bisogno – e tutti noi ne abbiamo bisogno – come l’aria, perché solo se Dio ci assiste, solo se Dio volge a noi il suo sguardo misericordioso, solo se Dio custodisce i nostri buoni propositi, noi potremo sostenere il grande combattimento della fede.

Invocate continuamente la sua presenza, invocate la sua benedizione, invocate la sua misericordia, perché – come dice il Libro del Siracide – «chi confida nel Signore non subirà alcun danno» (Sir 32,24).

Giuseppe card. Betori