Italia
Crocifisso a scuola, una sentenza laicista
Un “ragionamento viziato sul presupposto che il crocifisso possa costringere ad una professione di fede, mentre esso è un simbolo passivo, che cioè non costringe in coscienza nessuno”. È il commento “a caldo” rilasciato il 3 novembre al SIR da Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa, poco dopo la sentenza con la quale nello stesso giorno la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha stabilito, a seguito del ricorso di una cittadina italiana, che l’esposizione del crocifisso in classe costituisce “una violazione al diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e con il diritto dei bambini alla libertà di religione”. Il ricorso a Strasburgo era stato presentato il 27 luglio 2006 da Solie Lautsi, madre di due ragazzi che nell’anno scolastico 2001-2002 avevano frequentato ad Abano Terme l’Istituto statale “Vittorino da Feltre”. La Lautsi si era già rivolta nel luglio 2002 al Tar del Veneto, che nel gennaio 2004 ha consentito che il ricorso venisse inviato alla Corte costituzionale, i cui giudici hanno stabilito di non avere la giurisdizione sul caso. Il fascicolo è quindi tornato al Tar che nel marzo 2005 non ha accolto il ricorso, sostenendo che il crocifisso è simbolo della storia, della cultura e dell’identità del nostro Paese. Posizione confermata nel febbraio 2006 dal Consiglio di Stato.
Un “ritorno” di laicismo? “Oltre che essere un simbolo religioso – conferma Dalla Torre – il crocifisso esprime la nostra cultura e identità. Abbiamo bisogno di elementi che facciano mantenere coesa la società intorno a valori tradizionali e fondanti”. Questo, precisa il rettore della Lumsa, “è peraltro il ragionamento che ha portato a numerose decisioni di giudici italiani che mi appaiono ancora del tutto condivisibili. Se il crocifisso non fosse anzitutto un simbolo culturale – e quindi non coercitivo per alcuno – dovremmo togliere tutte le croci presenti sulle nostre strade e piazze e questo sarebbe veramente ridicolo”. Per Dalla Torre non sono dunque “pertinenti” i richiami della sentenza in questione all’art.2 del protocollo n.1 (diritto all’istruzione) e all’art.9 in materia di libertà di pensiero, coscienza e religione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. “Mi pare – dichiara il giurista – che i giudici della Corte di Strasburgo continuino a manifestare una chiara lontananza da quelle che sono la realtà dei Paesi europei e le aspettative dei loro cittadini”. Dalla Torre parla di “uno dei tanti e ricorrenti ritorni di laicismo cui siamo ormai abituati” e rammenta che “i giudici europei hanno un’estrazione politica che non sempre corrisponde ai contesti nazionali dai quali provengono”. La sentenza afferma che lo Stato è tenuto alla “neutralità confessionale” nel quadro dell’istruzione pubblica: “Un’istruzione pubblica che non rendesse presente anche una dimensione religiosa – replica Dalla Torre – non sarebbe un’istruzione neutrale, ma di parte. Occorre senza dubbio tutelare la libertà religiosa, ma il fatto religioso non va nascosto. Farlo significherebbe assumere una posizione non laica ma laicista nel senso peggiore del termine”.
Visione parziale e ideologica. “La decisione della Corte di Strasburgo suscita amarezza e non poche perplessità. Fatto salvo il necessario approfondimento delle motivazioni, in base a una prima lettura, sembra possibile rilevare il sopravvento di una visione parziale e ideologica”. Questa la posizione della Conferenza episcopale italiana sulla sentenza, espressa il 3 novembre in una nota (leggi). “Risulta ignorato o trascurato il molteplice significato del crocifisso, che non è solo simbolo religioso ma anche segno culturale”, precisa la nota. Secondo i vescovi, “non si tiene conto del fatto che, in realtà, nell’esperienza italiana l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici è in linea con il riconoscimento dei principi del cattolicesimo” come “parte del patrimonio storico del popolo italiano”, ribadito dal Concordato del 1984. “In tal modo, si rischia di separare artificiosamente l’identità nazionale dalle sue matrici spirituali e culturali”, mentre, conclude la Cei, “non è certo espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione; alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche”.
Sbagliato e miope. “La sentenza della Corte europea è stata accolta in Vaticano con stupore e rammarico”: così padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. “Il Crocifisso – ha aggiunto padre Lombardi in una dichiarazione resa a Radio Vaticana e al Tg1 nella serata del 3 novembre (leggi)- è stato sempre un segno di offerta di amore di Dio e di unione e accoglienza per tutta l’umanità. Dispiace che venga considerato come un segno di divisione, di esclusione o di limitazione della libertà. Non è questo, e non lo è nel sentire comune della nostra gente. In particolare, è grave voler emarginare dal mondo educativo un segno fondamentale dell’importanza dei valori religiosi nella storia e nella cultura italiana. La religione dà un contributo prezioso per la formazione e la crescita morale delle persone, ed è una componente essenziale della nostra civiltà. È sbagliato e miope volerla escludere dalla realtà educativa”. Infine da padre Lombardi un richiamo di taglio europeo: “Stupisce poi che una Corte europea intervenga pesantemente in una materia molto profondamente legata all’identità storica, culturale, spirituale del popolo italiano. Non è per questa via che si viene attratti ad amare e condividere di più l’idea europea, che come cattolici italiani abbiamo fortemente sostenuto fin dalle sue origini. Sembra che si voglia disconoscere il ruolo del cristianesimo nella formazione dell’identità europea, che invece è stato e rimane essenziale”.
Radici cristiane. “Crediamo che l’accoglienza dell’altro e il rispetto della sua diversità debbano partire dal riconoscimento della propria identità” afferma Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari (leggi). Il crocifisso, osserva, è il riconoscimento “delle radici cristiane della società italiana ed europea, parla nel nostro Paese della stragrande maggioranza degli studenti e delle famiglie che scelgono l’insegnamento della religione cattolica”. “Attenderemo di leggere le motivazioni della sentenza – conclude Belletti – ma allo stato dell’arte la Corte sembra prefigurare per i popoli del Vecchio Continente una cittadinanza priva di soggetti chiari e definiti, una società dal volto senza lineamenti”. Molte altre associazioni, tra le quali Mcl, Agesc e Comunità Papa Giovanni XXIII, si sono poste in questa stessa linea.
Bertone: «Ma è ragionevolezza?». La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’esposizione nelle aule del crocifisso provoca veramente una perdita. Il mio commento non può che essere di deplorazione. E aggiungo che noi dobbiamo cercare con tutte le forze di conservare i segni della nostra fede, per chi crede, ma anche per chi non crede. Lo ha detto il segretario di Stato vaticano, card. Tracisio Bertone, a margine di una conferenza stampa svoltasi il 4 novembre all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. Abbiamo ascoltato ha detto il cardinale l’eco e il dolore di chi si sente un po’ tradito nelle proprie radici cristiane pensando che questo simbolo religioso è il simbolo di un amore universale; un simbolo non di esclusione ma di accoglienza. Purtroppo, ha aggiunto il cardinale, ci vengono tolti i simboli più cari. E ciò è veramente una perdita per tutti. Le nostre città, le nostre strade, le nostre opere d’arte sono pubbliche, allora dovremmo togliere tutti i crocifissi e tutte le opere che presentano questo simbolo? Mi domando se questo sia un segno di ragionevolezza?. Rispondendo infine a una domanda se la Chiesa farà dei passi dopo la sentenza, il cardinale ha dichiarato: Farà dei passi nel senso di stimolare la Conferenza episcopale e i cristiani a reagire; non possiamo interferire sulla Corte europea.
Senza la Croce non c’è storia né libertà. Per nessuno (di GIUSEPPE ANZANI)