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CRISI USA-IRAQ: CARITAS E MIGRANTES; LA GUERRA POTREBBE AVER PESANTI CONSEGUENZE SULLO SCENARIO MIGRATORIO
La guerra in Iraq potrebbe avere “pesanti conseguenze” anche sullo scenario migratorio che è “già di per sé difficile in condizioni normali”. Lo affermano la Caritas italiana e la Fondazione Migrantes della Cei che in conclusione del “Dossier Statistico Immigrazione 2003” lanciano un appello alla pace. “Senza pace e senza sviluppo ricordano la pressione migratoria diventa la bomba migratoria’. Di sicuro serve un maggiore spirito di solidarietà nei confronti dei rifugiati e dei profughi ma serve anche una maggiore spirito di pace nel rapporto tra gli Stati: quella pace che Giovanni Paolo II incessantemente continua ad invocare e per la quale all’inizio della quaresima ha invitato tutti alla preghiera, al digiuno e all’impegno in gesti concreti di riconciliazione”.
In realtà scrivono Caritas e Migrantes – esperti del settore e responsabili di governo non concordano sulle quote di popolazione che la guerra potrebbe far spostare. Alcuni hanno addirittura parlato di 1.200.000 profughi iracheni che in caso di conflitto potrebbero indirizzarsi verso l’Europa occidentale passando per il Nord Africa e quindi per l’Italia. Altri ritengono invece “impensabile” che il nostro Paese “possa essere invaso da un milione di profughi”. Intanto l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha annunciato di stare pianificando un intervento umanitario per 600.000 persone. Benchè non ci sia concordanza nelle previsioni, Caritas e Migrantes sono convinte che un conflitto in Iraq “avrebbe comunque un forte effetto distorsivo sulla politica migratoria” e ricordano che attualmente i profughi iracheni nel mondo sono 350.000 (il terzo gruppo dopo burundesi e afgani), dei quali 200.000 in Iran, 51.000 in Germania, 26.000 sia Olanda che in Svezia e 19.000 negli Stati Uniti. In Italia gli iracheni di etnia curda sono stati il gruppo più consistente tra i richiedenti asilo in Italia (1.985 nel 2001). Secondo Caritas e Migrantes “non bisogna neppure dimenticare la crescente pressione migratoria dall’Africa Subsahariana”.