Una “guerra preventiva” contro l’Iraq “avrebbe inaccettabili costi umani e gravissimi effetti destabilizzanti sull’intera area medio-orientale, e probabilmente su tutti i rapporti internazionali”: solo “l’arma della dissuasione”, esercitata dall’Onu, può costituire “un’alternativa in grado di garantire la sicurezza e la pace”, ad una di distanza dal “tragico 11 settembre 2001”. Aprendo il Consiglio permanente dei vescovi italiani (in corso a Roma fino al 19 settembre), il card. Camillo Ruini, presidente della Cei, ha sottolineato che, ad un anno dagli attentati delle Torri Gemelle, l’ “atteggiamento da tenere verso l’Iraq è senza dubbio necessaria la vigilanza più attenta e rigorosa, per prevenire il rischio di nuove e maggiori tragedie, i cui sviluppi sarebbero poi ben difficili da controllare. Ma ciò non significa ha puntualizzato il cardinale che possa essere intrapresa la strada di una guerra preventiva”: al contrario, è “l’arma della dissuasione, esercitata nell’ambito dell’Onu con la più forte determinazione e con il sincero e solidale impegno di tutti i Paesi capaci di esercitare un’influenza concreta”, che “può rappresentare un’alternativa in grado di garantire la sicurezza e la pace”; da parte sua, ha aggiunto Ruini, “anche il governo iracheno dovrà dar prova di realismo e di disponibilità a trovare e rispettare le intese”.Ruini ha poi messo poi l’accento sulle “crescenti smagliature” tra Usa ed Europa, dopo l’11 settembre, sottolineando che “i contrasti di origine economica, o su temi di diritti internazionale, si sommano a una divergenza assai pericolosa sul modo di garantire la sicurezza e combattere il terrorismo”. Ad un anno di distanza “dal tragico 11 settembre”, ha detto inoltre Ruini tracciando un’analisi di uno scenario internazionale “cambiato in profondità” e dominato dalla “minaccia del terrorismo”, sono “gli sviluppi di questi ultimi mesi” che, soprattutto, “aggravano” le preoccupazioni dei vescovi: “In Terra Santa ha fatto notare il presidente della Cei la fase acuta e particolarmente feroce del conflittoarabo-israeliano sai è cronicizzata”, generando “una forma di assuefazione, che porta a sottovalutare anche gli effetti dirompenti di questo conflitto sulla percezione che le popolazioni islamiche hanno del mondo occidentale”.