Aziende che chiudono, centinaia di persone che perdono o stanno per perdere il lavoro, terziario in crisi, traffici portuali in stasi, famiglie sempre più povere: Livorno sente la crisi più che mai e la Diocesi si schiera al fianco di chi ne paga le conseguenze più gravi. «La Chiesa, che si occupa degli uomini in tutte le dimensioni della vita, non può restare in silenzio»: inizia così il monito del vescovo di Livorno, Simone Giusti, in un intervento diffuso ieri. E facendo riferimento in particolare alla situazione critica della raffineria Eni di Stagno continua: «ci sono mega aziende che si mettono in vendita su Internet senza preoccuparsi di chi vi lavora all’interno e nell’indotto (e sono oltre mille persone), né del territorio su cui opera da decenni. Mai si deve essere guidati nelle strategie aziendali solo dal profitto tanto più oggi, dinanzi ad una crisi così dura e tanto di più da parte di un’azienda dello Stato».«Questa crisi denuncia il vescovo è figlia dell’immoralità di tanti che dovevano controllare e non l’hanno fatto, di chi – a tutti i livelli -doveva indicare la strada giusta da seguire e non l’ha fatto, di chi ha pensato solo al proprio orticello e non allo sviluppo globale, di chi ha perso i valori della vita ed ha sostituito all’etica la sola logica del profitto e per di più immediato, facendo credere che agiva nell’interesse di tutti. E d’altra parte, il consumismo – che ci è stato prospettato come la soluzione alla crisi – in realtà crea falsi bisogni e induce le persone a soddisfarli ricorrendo al credito. E genera l’illusione che si possa vivere nell’agiatezza senza sudore».Ma il vescovo di Livorno non si ferma ad un pubblica denuncia: «Bisogna liberarci dal nostro egoismo ed insieme capire – in concreto – come cambiare la situazione. L’economia quella buona non è quella in cui c’è qualcuno che si arricchisce, ma quella che fa arricchire tutti, è quella che mira al bene comune. Per questo è sempre più urgente un codice etico comune, le cui norme non abbiano solo un carattere convenzionale, ma siano radicate nei diritti inalienabili dell’uomo, nella legge naturale inscritta nella coscienza di ogni essere umano o comunque in un’etica condivisa. Dove possiamo fondare oggi una etica della solidarietà a livello globale se non su evidenze etiche a livello antropologico? Mettere il bene comune al primo posto comporta che si riconosca oggi la preziosità e il vantaggio delle iniziative economiche della società civile o delle amministrazioni locali per la promozione del riscatto e dell’inclusione nella società di quelle fasce della popolazione che sono spesso al di sotto della soglia di povertà estrema e sono al tempo stesso difficilmente raggiungibili dagli aiuti ufficiali. In particolare, la società civile è chiamata ad assumere un ruolo cruciale in ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmente un fenomeno culturale e la cultura nasce e si sviluppa nei luoghi del civile».Ed è in questo senso che il Vescovo di Livorno chiede aiuto alle istituzioni cittadine, provinciali, regionali e anche a quelle nazionali, invitando a credere in una società dell’amore: «mi appello a voi tutti: mettiamo al centro l’uomo e diffondiamo la cultura dell’integrità, del bene comune, del vivere solidale. E questo lo dico sia come un Vescovo, che pensa che il Vangelo possa cambiare l’agire degli uomini e illuminare la strada dell’economia ma anche come cittadino che abita su un territorio con preoccupanti segni di crisi. Quanto sarebbe bello vivere in una città dove la solidarietà e il bene comune fossero la regole che ispirano ogni azione. Ma questo oggi può essere possibile? In questo io credo! Per questo lotto. Vi avrò al mio fianco?».