Toscana

Criminalità  straniera: un’indagine per prevenire

di Ennio Cicali

Droga, prostituzione e commercio di esseri umani, sono i settori dove operano molti criminali e mafiosi d’origine straniera presenti in Toscana. Chi sono? Da dove vengono? Quali attività svolgono? Si sarebbe portati a dire che la criminalità è caratterizzata dalla presenza esorbitante dei cinesi; questi sono sicuramente un numero rilevante, ma non sono certo soli, anzi sono in buona compagnia. Occupano determinati segmenti criminali, ma non tutti; tanti altri sono scoperti o occupati da altri.

Conoscere meglio la mappa e le dinamiche della criminalità organizzata, indagando anche su realtà e presenze finora meno conosciute, in modo da prevenire e intervenire meglio: è questo l’obiettivo che si propone la ricerca «La criminalità straniera in Toscana» realizzata da Regione Toscana e «Avviso Pubblico», associazione di enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie, affidata al professor Enzo Ciconte, già autore di un’indagine sulle infiltrazioni e gli interessi delle mafie italiane. Il lavoro consente di fare il punto sulla realtà di soggetti criminali arrivati da altri paesi e variamente intrecciati con le organizzazioni italiane. 

Allo scambio di merci illegali o criminali, come tabacchi e stupefacenti di ogni tipo, si sono affiancati rifiuti tossici e nucleari e una «merce» del tutto particolare: quella degli esseri umani. Donne e bambini sono venduti come fossero delle merci qualsiasi, al pari di armi, droga, rifiuti tossici.

Le mafie cinesi e albanesi sono caratterizzate da fortissimi legami familiari che le rendono impenetrabili, simili alla ‘ndrangheta calabrese. Gli interessi degli albanesi sono circoscritti al traffico degli stupefacenti, in particolare cannabis che producono in Albania, al riparo delle autorità italiane, e dal controllo e sfruttamento della prostituzione. In quest’ultima attività gli albanesi hanno assunto un ruolo leader, allargandosi anche nello sfruttamento di donne di altre nazionalità. A Firenze sopratutto, ma anche in altre realtà della Toscana, i criminali albanesi furono i protagonisti assoluti di furti e rapine che crearono un notevole allarme sociale.

In Toscana non operano solo criminali albanesi. Droga significa anche criminalità slovena e sudamericana. I dominicani viaggiano con gli ovuli nello stomaco, muovendosi tra Arezzo, Firenze, Montecatini e Livorno. In alcune zone ci sono anche i russi. Secondo la Dna «sono stati accertati in Toscana sospetti acquisti, da parte di cittadini dell’ex Unione Sovietica, di aziende agricole e di industrie produttrici di oggetti di largo consumo (scarpe, vestiti, elettrodomestici, ecc) per l’esportazione nei paesi di origine e dell’intero est europeo. Ipotesi investigative fanno ritenere che tali acquisti siano stati fatti con danaro proveniente da azioni delittuose consumate nei paesi di origine».

I nigeriani costituiscono una struttura chiusa, senza alcun rapporto con altre etnie. Al traffico di droga si aggiunge lo sfruttamento della prostituzione. Giovani donne reclutate nei villaggi sperduti della Nigeria, che al loro arrivo in Toscana in gruppi «organizzati» sono sbattute sul marciapiede. Una delle caratteristiche della mafia nigeriana è il ricorso frequentissimo ai riti voodoo per assoggettare le giovani donne, ma alla bisogna rivolto anche agli uomini.

A preoccupare di più  in Toscana è soprattutto la criminalità di origine cinese, sia per il rilevante numero immigrati presenti sul territorio, soprattutto a Prato e dintorni, sia per l’alone di mistero che circonda le Triadi, la particolare mafia di quel grande paese. Una violenza che viene da lontano caratterizza l’operato dei mafiosi cinesi all’interno della loro comunità. Violenze che cominciano da cui inizia il viaggio della vittima che dalla Cina vuole arrivare in Italia. Nella ricerca si fa riferimento a vari episodi, compreso quello di una donna arrivata a Firenze dalla Cina per ricongiungersi al marito. Il racconto della donna da il quadro vivido di una travagliata esperienza personale, conclusa con il pagamento di un riscatto di 11 mila euro.

All’inizio, qualcuno aveva pensato che l’attività di queste organizzazioni potesse transitoria e in parte è stato così.  Ma il dato nuovo, rileva la ricerca del prof. Ciconte, è che l’attività criminale dei nuovi arrivati s’è trasformata fino ad assumere un carattere permanente. Con l’andare del tempo questa stabile presenza potrebbe porre un problema di primaria grandezza relativo alla presenza di criminali italiani e stranieri. Se ci saranno forme di coabitazione criminale oppure guerre per il predominio territoriale o negli affari illegali, solo il tempo potrà dirlo. Una ragione in più per la società civile e le istituzioni di non abbassare la guardia.

Da non confondere con gli immigrati onestiA partire dalla fine degli anni novanta del Novecento e nei primi anni del nuovo millennio sono arrivati in Italia un numero impressionante di onesti lavoratori stranieri, persone piene di voglia di lavorare e una grande massa di persone in fuga dai loro paesi dove, rimanendo, rischiavano la vita per motivi politici, per difendere la libertà di esprimere la propria opinione; assieme a loro è arrivata una quota rilevante di criminali. Non è certo un fenomeno originale perché è sempre stato così in tutti i fenomeni migratori, compreso quello italiano sviluppato tra seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento: le masse di lavoratori onesti sono sempre state accompagnate da criminali. Organizzazioni straniere che cominciano ad avere qualche rapporto con le organizzazioni criminali italiane. Un elemento all’origine di una «forte preoccupazione». «La Toscana non è terra mafiosa, ma è un territorio dove la mafia è presente e non solo quella italiana – afferma Federico Gelli, vice presidente della Regione – Un dato preoccupante, ma in linea con il nostro grande impegno di questi anni e con gli interventi che abbiamo avviato sia per la prevenzione, sia per la repressione». Commentando la ricerca del prof. Ciconte, Gelli sottolinea che si parla di mafia, quindi da non confondere con la stragrande maggioranza di immigrati che si sono inseriti attraverso il loro lavoro e hanno collaborato a emarginare i connazionali delinquenti.