Prato

Crescono i “Sì”, ma arrivano sempre più tardi

Nonostante tutto, sono in aumento. Nonostante la precarietà di tanti giovani, la crisi economica e le difficoltà lavorative, la voglia di matrimoni c’è: lo scorso anno – lo dicono i dati del Comune – i matrimoni celebrati a Prato sono stati 665, circa l’8% in più dell’anno precedente. Ma questo dato, da solo, non dice tutto: se si vanno a prendere i numeri forniti dalla Curia diocesana, che tengono conto anche delle nozze che i residenti del Comune hanno celebrato in altri territori (dentro o fuori la stessa Diocesi di Prato), la cifra totale dei matrimoni lo scorso anno è stata di 814, contro i 755 dell’anno precedente. La tendenza all’aumento – o comunque alla tenuta – anche in questo caso si conferma, confrontando la serie degli anni precedenti.La principale differenza che distingue i numeri diffusi dall’Ufficio statistico del Comune di Prato, e apparsi poi sulla Nazione, e quelli della Curia è dovuta al fatto che il 40% circa dei matrimoni religiosi di residenti o domiciliati a Prato vengono celebrati in chiese che sono fuori dal comune capoluogo, come Artimino o Sofignano, ad esempio. Con la conseguenza che il dato sui matrimoni concordatari – così si chiamano tecnicamente quelli in chiesa – è, per forza di cose, fortemente sottostimato dal Comune. Nel 2007 i matrimoni in chiesa di pratesi (sempre dai dati della Curia che comprendono anche quelli fuori comune o fuori diocesi) sono stati 447, il 54,92% del totale. Quelli religiosi celebrati nel solo comune sono stati 298, il 44,8 del complesso. Si assiste, sì, a un calo di quanti preferiscono il matrimonio concordatario rispetto a quello civile (nel 2006 – dati Curia – questa fetta era del 58,8%, nel 2005 57,78%), ma le nozze celebrate in chiesa rappresentano ancora una solida percentuale.Alto, naturalmente, il numero di matrimoni fra stranieri, che incide particolarmente sulla cifra dei matrimoni civili: su 367 «Sì» pronunciati in Comune nel 2007, 127 sono stati di coppie di stranieri, 80 di coppie miste, 160 di italiani. La percentuale più alta di stranieri che si sono sposati a Prato lo scorso anno è quella dei cinesi: 13,83% dei casi, con 92 matrimoni (dati Comune di Prato), quasi interamente celebrati fra connazionali: si è registrato un solo caso di uno sposo cinese che ha sposato una donna italiana.Cresce – a conferma di una tendenza iniziata negli anni 90 – l’età a cui si arriva al matrimonio: per gli uomini sfiora i 35 anni (34,60), per le donne i 32 (31,91), ed è uno dei dati più significativi delle recenti tendenze.Mancano dati statistici, invece, sulle coppie di fatto, anche da indicatori indiretti. Le sensazioni sul fenomeno, però, sono piuttosto univoche. La conferma viene, per esempio, dai parroci di due tra le parrocchie più popolate, Maliseti e Santa Maria del Soccorso. Mons. Santino Brunetti, parroco di Maliseti, sostiene che «Il fenomeno è in aumento. Si tratta di situazioni provvisorie, scelte o perché si pensa che i matrimoni vanno a rotoli, o perché, attenendosi alla tradizione, le nozze costano caro. In altri casi è una scelta di fuga, di disimpegno. Qualcuno poi fa quella che io, bonariamente, definisco “sanatoria”, e si sposa dopo un po’: diciamo che quest’anno, su 20 matrimoni che ho celebrato, sette erano di persone già conviventi».Secondo mons. Lorenzo Lenzi, reponsabile diocesano per la Pastorale familiare, «Le libere convivenze, sto parlando di rapporti stabili, sono eccezioni e c’è la tendenza a regolarizzare l’unione col matrimonio in coincidenza della nascita del figlio».Conferma don Marco Pratesi, parroco del Soccorso: «Statistiche precise non se ne possono fare, ma il dato più percepibile è l’aumento delle convivenze, specialmente fra i giovani. Magari poi ci si sposa, quando arriva un figlio e c’è più bisogno di concretezza e di un quadro di vita più stabile. Spesso il problema segnalato è che sposarsi costa se non si rinuncia, come quasi nessuno vuole fare, alla tradizioni. Le motivazioni che chi convive adduce più spesso è che sia una sorta di prova, davanti a tanti matrimoni che finiscono male, con separazioni e divorzi. Più che il matrimonio a essere andato in crisi è il modello tradizionale del fidanzamento».(dal numero 14 del 13 aprile 2008)

 

Don Lenzi: «Da noi la famiglia tiene, ma occorrono politiche per lavoro, casa, figli»

Mons. Lorenzo Lenzi è il direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale familiare. Un osservatorio privilegiato per capire come la realtà del matrimonio sia vissuta oggi in Diocesi, quale sia lo stato di salute di questo sacramento. «Il matrimonio religioso, in chiesa, è quello che viene celebrato dalla maggior parte degli abitanti, residenti o domiciliati, del comune di Prato e dell’intera Diocesi. Finora, qui, i matrimoni civili non hanno superato quelli religiosi nel Comune di Prato e nella diocesi».Eppure i dati del Comune indicano che già dal 2005 i matrimoni concordatari, in chiesa, non sono più la maggioranza. In particolare lo scorso anno sono scesi al 44,8% del totale… «È importante leggere attentamente i dati e al tempo stesso tenere in considerazione alcuni aspetti nella procedura statistica. Infatti, una lettura veloce e semplicistica potrebbe alterare la realtà e creare, o consolidare, pregiudizi. In particolare, guardando ai matrimoni segnalati dall’Ufficio statistico del Comune di Prato, e recentemente pubblicati sulla stampa, c’è da tenere in considerazione che riguardo ai matrimoni religiosi sono stati considerati e segnalati solamente quelli avvenuti nelle chiese e luoghi del territorio del Comune di Prato. In realtà, il 40% dei matrimoni religiosi degli abitanti di Prato viene celebrato in chiese fuori dal Comune. Conseguentemente, non sono inseriti nelle tabelle statistiche annualli del Comune. Se si considera poi l’incremento, nel Comune di Prato, dei matrimoni solo con rito civile, appare determinato dall’alta percentuale di stranieri residenti o domiciliati, e da persone divorziate. Tuttavia, la percentuale dei matrimoni civili in Diocesi è inferiore rispettoa lla media regionale».La sensazione diffusa è, però, che il matrimonio, come sacramento e come istituzione, non se la passi proprio benissimo. Che la convivenza sia sempre più «alla moda». «A Prato c’è ancora un nesso stretto fra famiglia e matrimonio. La famiglia pratese tiene ancora abbastanza bene e la spinta alla frammentazione e alla decostituzione, pur accentuatasi in questi ultimi anni, rimane, però, inferiore alla media regionale e nazionale. Ancora i giovani pratesi considerano il matrimonio tappa importante per la loro realizzazione di coppia, anche se viene dilazionato. Infatti, l’età media per il matrimonio è di 34 anni per gli uomini, 32 per la donna. Un dilazionamento determinato a Prato, e in tutta Italia, per la reale difficoltà ad avere un lavoro stabile e un’abitazione autonoma. Anche la dimensione media della famiglia in Diocesi è lievemente più elevata rispetto alle altre province della Toscana. Mentre anche qui si assiste a una diminuzione del valore attribuito alla morale sessuale e coniugale. Questo fatto è determinato non solo dalla mentalità consumistica e individualistica, ma anche dal dilazionamento del matrimonio».Quali sono, allora, le idee su cui puntare per un rilancio del matrimonio e della famiglia?«È necessaria una politica familiare, a livello locale e nazionale, che favorisca davvero il lavoro stabile dei giovani, la casa e gli assegni adeguati per i figli piccoli. Oggi ci sono difficoltà culturali, proprie della nostra società, che influenzano fortemente i giovani. Ne cito alcune: la debolezza del progetto di vita, il ripiegamento sul presente, ovvero il vedere nell’istante attuale l’orizzonte unico di ogni gesto, la paura del futuro. Quindi è importante che i cristiani praticanti assidui e gli operatori delle attività parrocchiali valorizzino e testimonino i grandi valori e il progetto di Dio sulla famiglia. Ovvero sulla prima articolazione della grande famiglia di Dio, cioè della Chiesa. Il matrimonio è vocazione, l’amore coniugale e genitoriale è sempre orientato al dono e alla generosità, sull’esempio di Cristo. È importante oggi consolidare le convinzioni che la famiglia è patrimonio dell’umanità e ne costituisce uno dei tesori più importanti. Ce lo ha ricordato anche recentemente il Santo Padre: “La famiglia è ed è stata scuola della fede, palestra dei valori umani e civili, focolare nel quale la vita umana nasce e viene accolta generosamente e responsabilmente. La famiglia è insostituibile per la serenità personale e per l’educazione dei figli”». Del Campo: «Sposi “vecchi”: a rischio il ricambio generazionale. Ma non è colpa del precariato»Dal 2003 al 2007 c’è stato un aumento di quasi il 13% dei matrimoni a Prato. Non si può certo dire che sia un’istituzione in crisi». Michele Del Campo, sociologo e direttore di Fil, commenta così la recente serie dei dati sui matrimoni in città. «Mi sembra un incremento di tutto rispetto: la gente si continua a sposare», sottolinea.L’altra tendenza che più deve far riflettere, secondo il sociologo, è l’innalzamento dell’età a cui si arriva al matrimonio. «È una cosa risaputa, certo, ma le cifre lo fanno risaltare in modo chiaro. Dal 1990 fino a oggi si è alzata, a Prato, di cinque anni, arrivando a superare i 34 per gli uomini e a sfiorare i 32 per le donne. È questo il dato più preoccupante che emerge dalle statistiche. È la rincorsa della felicità individuale quella che influisce maggiormente: prima si pensa alla soddisfazione personale. Ma tutto questo ha una serie di conseguenze a catena: si fanno i figli più tardi e il ricambio generazionale rallenta. Se uno si sposa tardi, fa più fatica ad approcciare la generazione».Da cosa dipende questo ritardo? Forse va in parallelo con quello con cui si entra nel mondo del lavoro?«Non è del tutto vero: a Prato chi entra tardi nel mondo del lavoro sono i laureati. È limitata la problematica del ritardato ingresso nel mondo del lavoro: i precari a Prato non sono i precari del Sud Italia che devono mettere insieme tante, piccole, cose per arrivare in fondo al mese. Qui sono inseriti in processi produttivi anche forti. Non è la crisi economica, insomma, a spiegare del tutto il ritardo nell’età in cui si arriva a sposarsi. Il centro, invece, della questione, lo ripeto, è nella tendenza alla realizzazione di se stessi come singoli. Non si vogliono legami forti, si ricerca una felicità immediata, senza progetti troppo a lungo termine».Non è un modello sociale che alla fine mette in crisi il matrimonio stesso? «Non me la sento di affermare questo. Al contrario, se si guardano i dati pratesi degli ultimi anni, si assiste a una crescita del numero di matrimoni. Quello che sta cambiando è la logica: se nel complesso il matrimonio tiene, si assiste a una differenziazione fra le etnie, con gli stranieri che tendono a sposarsi di più e gli italiani un po’ più tardi. Ma dire che il matrimonio sia in crisi, questo non lo si può proprio fare».Da cosa dipende, secondo lei, la situazione pratese con questa tendenza all’aumento dei matrimoni? «L’incremento è attribuibile agli stranieri. D’altra parte Prato sta diventando sempre più città che ospita: ospita i fiorentini, ospita dall’hinterland. E questo fa sì che incrementi anche il numero dei matrimoni».A proposito dei matrimoni di stranieri, quali sono le tendenze che le sembra di cogliere?

«Una delle cose che emergono maggiormente è che ci si sposa per etnia. Eccetto i maschi italiani che tendono a sposarsi anche con donne di altre etnie, cosa che avviene nel 13% circa dei casi».

I primi sette mesi di Marco e Marzia

Cosa c’è di straordinario in una coppia che decide di diventare una famiglia? Il coraggio di assumersi delle responsabilità. La nostra società incita al disimpegno e spinge a pensare che la cosa più importante sia solo il presente, l’oggi. Quello che contraddistingue una famiglia è l’unione del presente con il passato e il futuro. Impegnarsi a fondo in un progetto e farlo proprio così tanto da decidere di sacrificarsi per l’altro. Abbiamo incontrato una coppia di sposi «novelli» per parlare con loro della vita quotidiana. Siamo andati a trovare Marco Ruggeri e Marzia Senesi. Non sono persone famose e non ricoprono incarichi politici, economici o, più in generale, pubblici. Sono semplicemente una nuova famiglia come tante altre, con i problemi di tutti. Entrambi nati nel 1977, Marco e Marzia sono cresciuti a Montemurlo dove hanno deciso anche di comprare casa.

La loro storia sentimentale è curiosa. Si sono conosciuti da piccoli, ai tempi delle elementari-medie grazie alle attività della parrocchia di Montemurlo ma poi si sono completamente persi di vista. Si sono ritrovati cinque anni fa grazie allo sport. Marzia giocava in una squadra di calcetto, allenata da un amico di Marco che gli chiese di aiutarlo ad allenare il team femminile. Lui si ricorda di averla conosciuta molti anni prima e inizia una frequentazione sempre più assidua. Sono stati fidanzati per 3 anni e mezzo e poi si sono sposati il primo settembre 2007. Godono ancora dell’«aura» degli sposini, ma in sette mesi hanno già provato cosa vuol dire vivere insieme. «Come sono stati questi primi mesi? Le prime settimane sono state molto strane. Dovevamo prendere ritmi e tempi nuovi. Capire come vivere insieme, all’inizio non è facile». Timidi e molto educati, quando parlano vanno al nocciolo del discorso. Spesso si danno ragione l’un l’altro, in modo da sostenersi sempre ed è chiaro che vanno molto d’accordo. Ma allora non si litiga mai in questa casa? «Certo, capita su piccole cose per la stanchezza dovuta a una lunga giornata di lavoro, quando manca la lucidità per riflettere bene». Emerge subito una delle difficoltà maggiori delle coppie moderne: il poco tempo per stare insieme. Marco è un informatico che lavora nella zona di Capalle e torna a casa alle 18.30. Marzia, da poco in cerca di occupazione, ha lavorato negli ultimi due anni come impiegata nella stessa zona tra Prato e Campi Bisenzio. Il percorso di ritorno fino a Montemurlo nell’ora di punta non deve essere una passeggiata. Inoltre, Marco è impegnato da più di dieci anni negli scout di Chiesanuova. Quest’attività lo porta fuori casa per diverse ore alla settimana. Marco riconosce a sua moglie il merito di impegnarsi molto più di lui nella gestione della casa e scherzando, ma non troppo, la chiama «il capofamiglia». Marzia non vive questa situazione con disagio perché ritiene che l’attività del marito sia importante e meritoria. Lei sostiene la causa degli scout, liberandolo da tanti obblighi familiari. Tolti questi impegni, Marco e Marzia stanno spesso insieme: «Ora sento proprio l’esigenza di stare di più a casa», insiste Marco. La forza di questa coppia è la condivisione degli obiettivi: «Il matrimonio è stata la conseguenza normale dell’evoluzione del nostro rapporto». Potevano decidere di convivere?, li provochiamo. «È una scelta da rispettare se è fatta da chi non ha fede. D’altra parte, per conoscersi non c’è il periodo del fidanzamento? È chiaro che la sicurezza dell’altro al 100% non ci può mai essere, ma la profonda conoscenza sì. I compromessi fanno parte della vita di coppia ma hanno un senso se non vanno a intaccare i valori di fondo della nostra fede». Come dicevamo gli «sposini» hanno le idee chiare e le esprimono con semplicità e serenità. Cosa si aspettano dal futuro? «Di continuare così e, magari, di avere due figli». Con i nostri migliori auguri di figli maschi… e femmine.Francesco Marini