Lettere in redazione
Cremazione, pratica ancora poco diffusa
In una società sempre più longeva non sono i più numerosi coloro che si soffermano a «rappresentarsi la propria morte». Fino ai nostri giorni sono stati 36 miliardi i morti di tutta la storia umana. Con varie fasi di elaborazione del lutto, proposte di «consolazione» e difficili gradini di discernimento per «filosofare rettamente». Con tenaci virus, tra cui sibila allarme il virus Ebola, ci sono ancora mali incurabili. Nei laboratori avanzano linee di ricerca. Del tutto nuova l’idea di poter controllare l’invecchiamento per via genetica. Le statistiche demografiche presentano un quadro futuro con maggioranza di anziani che vivranno sempre più a lungo. Attualmente in Italia i giovani sono circa sei milioni in meno degli anziani.
Nel nostro tempo di crisi, ad evocare le due sillabe «dimenticate» che definiscono per tutti «un ’imminenza che incombe», sono cronache ricorrenti che presentano un serio problema per costi e spazi nei cimiteri. Sempre più si propone per tutti di scegliere quale destino riservare alle proprie spoglie mortali: la tradizionale inumazione o la cremazione.
In Italia, rispetto a Olanda, Francia, Germania e Belgio, la pratica della cremazione è ancora poco diffusa: tre lustri orsono oscillava intorno al 4%. È una scelta che riguarda sempre più persone. È stato dimostrato in più città del Nord che non appena c’è disponibilità di un impianto le richieste di cremazione aumentano nel giro di pochi anni. Si tratta di una scelta che si può prendere in assoluta libertà: non è vincolata ad alcuna fede religiosa ed anche la religione cattolica non si oppone alla cremazione. Le richieste di essere cremati comprendono esigenze di carattere igienico ed anche il proposito di limitare i costi legati alla cerimonia funebre.
Nel Catechismo della Chiesa cattolica, al paragrafo 2301, si afferma che «La Chiesa permette la cremazione, se tale scelta non mette in questione la fede nella risurrezione dei corpi». Perché se è vero che di per sé questa scelta non è in contrasto con la fede, è vero anche che è stata reintrodotta nel mondo occidentale in aperta polemica con la Chiesa e il suo insegnamento sulla vita ultraterrena.
Per gli antichi romani era una pratica comune. Poi il cristianesimo, con il suo annuncio della resurrezione dei morti, la fece cadere in disuso, senza peraltro che vi fossero norme che la vietavano espressamente. Da allora e per tanti secoli i cristiani hanno seppellito i loro morti, tanto che questa è diventata per loro una delle sette «opere di misericordia». Solo situazioni particolari (ad esempio epidemie di peste) potevano indurre a bruciare i cadaveri. Nel Settecento furono le logge massoniche, fortemente anticlericali, a reintrodurre la cremazione. Da qui la forte diffidenza della Chiesa che nel Codice di Diritto canonico del 1917, arrivò a vietarla in quanto espressione antireligiosa. È stato Paolo VI che il 5 luglio 1963, nel clima conciliare, pubblicò l’istruzione redatta dal Sant’Uffizio, «De cadaverum crematione» che pose fine al divieto, dal momento che la cremazione – si legge nel testo – «come non tocca l’anima, e non impedisce all’onnipotenza divina di ricostruire il corpo, così non contiene, in sé e per sé, l’oggettiva negazione di quei dogmi».
Nel 1968, poi, la Congregazione del Culto divino, pubblicando il nuovo «Ordo Exsequiarium», previde un rito religioso anche per chi avesse scelto la cremazione. L’attuale Codice di Diritto Canonico (canone 1176, §3) quindi la consente, ma con quella precisazione che poi ritroviamo nel Catechismo della Chiesa cattolica. Allo stesso tempo però la Chiesa sconsiglia di mantenere le ceneri in casa o di disperderle in luoghi diversi (ammesso che la legislazione del Paese lo consenta), secondo modelli resi celebri anche da alcuni film. Vale la pena citare a questo proposito quanto affermarono i vescovi italiani al termine della loro Assemblea, nel novembre 2009, a proposito della cremazione: «Come è noto, la Chiesa, pur preferendo la sepoltura tradizionale, non riprova tale pratica, se non quando è voluta in disprezzo della fede, cioè quando si intende con questo gesto postulare il nulla a cui verrebbe ricondotto l’essere umano. La memoria dei defunti attraverso la preghiera liturgica e personale e la familiarità con il camposanto costituiranno la strada per contrastare, con un’appropriata catechesi, la prassi di disperdere le ceneri o di conservarle al di fuori del cimitero o di un luogo sacro. Ciò che sta a cuore ai Vescovi è che non si attenui nei fedeli l’attesa della risurrezione dei corpi, temendo invece che la dispersione delle ceneri affievolisca la memoria dei defunti, a cui siamo indelebilmente legati nella partecipazione al destino comune dell’umanità».
Claudio Turrini