Cultura & Società

Covid, l’Accademia della Crusca e l’italiano sconfitto dagli anglismi

  Ne parla in un’intervista sul numero 22 di Toscana Oggi (in uscita il 7 giugno) il professor Claudio Marazzini, presidente uscente dell’Accademia della Crusca, ribadendo tra l’altro quanto già sostenuto dal collega linguista Salvatore Claudio Sgroi, e cioè che la bistrattata pronuncia “coronavairus” da parte del ministro degli Esteri Luigi Di Maio non era poi così sbagliata, perché adottata per una parola di origine anglosassone e non latina.

Che noi italiani siamo estremamente permeabili alla lingua del Regno Unito e degli Usa non è una novità, complice l’uso che se ne fa a livello internazionale, soprattutto in campi come l’informatica e l’economia o anche negli stessi documenti dell’Unione Europea. Tuttavia, come sottolinea Marazzini nell’intervista, altri Paesi neolatini si comportano diversamente, usando termini adeguati nelle loro lingue nazionali, come hanno fatto francesi e spagnoli usando rispettivamente confinement e confinamiento al posto di lockdown. Una scelta che avremmo potuto fare anche noi ma, come ha ammesso il presidente, c’è stata anche un’iniziale incertezza sulla traduzione più corretta da parte del gruppo Incipit dell’Accademia, che si occupa appunto di neologismi e forestierismi, e ormai il termine inglese (anzi, di origine americana) aveva preso troppo campo per pensare di poterlo arginare, dato che, spiega Marazzini “se i forestierismi arrivano a radicarsi non sono più sostituibili”.

Non per questo, aggiunge il linguista, “si devono demonizzare tutte le parole inglesi perché alcune nascono in inglese, ci arrivano così e non sono facilmente sostituibili”. Resta comunque migliore, come si diceva, l’atteggiamento “di altri popoli latini: basta prendere la stampa francese o spagnola – conclude – per vedere che il tasso di anglismi è minore”.