Toscana
Costituzione, italiani al voto 60 anni dopo
Il tema «è complesso, scivoloso, e presenta molteplici sfaccettature», come ha ammesso Andrea Ambrosi, ordinario di Diritto costituzionale Università di Padova, in un recente convegno organizzato a Chioggia dalla Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici). Eppure gli elettori avranno a disposizione solo un «sì» o un «no». O respingere in toto le modifiche, o prenderle così come sono. Un compito davvero difficile.
Che dopo sessant’anni ci fosse bisogno di qualche modifica alla struttura dello Stato sono quasi tutti d’accordo. Del resto la «Bicamerale», presieduta da D’Alema, aveva lavorato a lungo in questa direzione e con il concorso di tutte le forze politiche. C’è chi osserva che riforme del genere andrebbero concordate tra maggioranza e opposizione ed è vero ma questa è un’obiezione debole. Anche il centrosinistra approvò la sua riforma per pochi voti. E non si può neanche lasciare all’opposizione un potere di interdizione totale, una sorta di ricatto per cui niente può essere fatto senza il suo consenso. Le perplessità più grosse sono invece sui contenuti. Partiamo dall’aspetto su cui la Lega ha puntato i piedi, la «devolution», cioè il trasferimento di poteri alle regioni.
Perplessità ancora maggiori riguardano il superamento del bicameralismo perfetto che attualmente impone che ogni legge sia approvata nello stesso testo da Senato e da Camera. L’obiettivo è legittimo, ma la ripartizione delle competenze osserva ancora Ambrosi «assai difficilmente sarà praticabile senza continui conflitti tra le Camere». Insomma le previsioni sono di un ingolfamento del sistema con continui ricorsi alla Corte Costituzionale, che anche se resa più «politica» (gli eletti dal Parlamento diventano 7 su 15) non è detto che poi si orienterebbe in senso diverso dall’attuale.
Quello fissato per il 25 e 26 giugno prossimi, sulla legge costituzionale recante «Modifiche alla Parte II della Costituzione» (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005), è il primo caso di referendum richiesto da tutti e tre i soggetti: parlamentari, cittadini e consigli regionali.
Il 17 febbraio erano state depositate in Cassazione un milione di firme raccolte a partire dal 17 dicembre 2005. Oltre allo schieramento del centrosinistra, ai banchetti per le sottoscrizioni si erano impegnate anche la Cgil e le Acli. Il 22 febbraio la Cassazione aveva dato il via libera alla richiesta del referendum anti-devolution presentata da quindici Consigli regionali, Sardegna in testa. Il 14 febbraio invece, erano state depositate, sempre in Cassazione, le firme di 112 senatori e 249 deputati del centrosinistra, sempre per chiedere la consultazione referendaria sulle modifiche apportate dal centrodestra alla Costituzione. A differenza dei referendum abrogativi delle leggi ordinarie, questa volta non è previsto un «quorum» da raggiungere. La riforma sarà approvata se otterrà la «maggioranza dei voti validi».
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